venerd�, 10 Ottobre 2008, ore 10:30
“Il marketing dei farmaci, del resto, è il lavoro dell’industria. All’industria piace chiamarlo educazione, ma non lo è. È marketing.” (Relman AS, JAMA 03.09.08)
L’educazione medica continua (ECM) fa parte ormai della nostra vita professionale. Tutti i congressi, grandi o piccoli che siano, tutti i corsi di formazione hanno il loro accreditamento. Con l’introduzione di questo sistema qualcosa è sicuramente cambiato rispetto a una maggiore disponibilità di “in-formazione” da parte degli operatori sanitari. Le ricadute di tutto questo lavoro, intenso lavoro, per la salute del paziente, per la migliore gestione delle risorse, sono tuttavia poco note, almeno in Italia.
Sicuramente le ricadute positive possono esserci se il metodo dell’ECM risulta essere adeguato e se la (in-)formazione che viene fornita è coerente con le evidenze scientifiche disponibili (la Clinical Evidence) che devono tenere conto anche dei bisogni reali e delle scelte motivate dei pazienti. Uno dei problemi che mettono in discussione la validità di una educazione coerente con questa missione è che in più del 50% dei casi gli eventi a cui noi tutti partecipiamo sono sponsorizzati (a volte organizzati e gestiti) dall’industria farmaceutica. Di questo problema si è discusso in contemporanea sulla rivista JAMA1 e sul BMJ2 nel mese di settembre. La rivista inglese ha pubblicato a riguardo il parere di un pediatra italiano che si occupa da tempo di formazione, Alfredo Pisacane.
La discussione negli Stati Uniti
Nel mese di giugno di quest’anno, due prestigiose associazioni mediche hanno prodotto dei documenti sul problema dell’ECM e dei rapporti con l’industria. Pur partendo dalla medesima preoccupazione, giungono a conclusioni in parte differenti1. Il primo rapporto dell’American Medical Association (AMA) raccomanda che le istituzioni mediche e i singoli operatori sanitari non accettino più finanziamenti da parte dell’industria. Raccomanda inoltre che le Università e le Istituzioni che svolgono di solito la formazione limitino il più possibile i finanziamenti per le loro attività da parte del marketing. L’AMA non propone quali possano essere le fonti alternative del finanziamento per l’ECM.
L’altro prestigioso organismo, l’Association of American Medical Colleges (AAMC) (rappresentativo delle medical school accreditate negli USA e di 94 società scientifiche e accademiche), non rifiuta il supporto dell’industria ma dichiara che questo supporto dovrebbe essere ricevuto e coordinato da un ufficio centrale per l’ECM in ogni singola istituzione. Quello su cui sono concordi sia l’AMA che l’AAMC è che il mondo accademico e gli organismi in generale che fanno la formazione dovrebbero evitare qualsiasi forma di pagamento o regalo da parte dell’industria data ai medici, agli studenti, alle singole facoltà.
La risposta dell’industria non si è fatta attendere e l’Associazione delle industrie farmaceutiche statunitensi in un documento del 10 luglio ha annunciato nuove linee che proibiscono regali dati ai singoli operatori sanitari3. Tuttavia queste raccomandazioni possono avere una adesione “volontaria” e non vi è alcun divieto per il pagamento di relatori o consulenti.
Le proposte sul BMJ
Alfredo Pisacane2 riporta i rischi di una ECM che ha dietro le spalle i finanziamenti da parte dell’industria. Dichiara la necessità che l’industria non abbia influenza nella scelta dei relatori, che non decida gli argomenti da trattare nei corsi di formazione, ma è ugualmente preoccupato che una ECM finanziata dall’industria, anche se apparentemente autonoma nei programmi, possa lo stesso influenzare i provider, i relatori e i partecipanti4. Le proposte dettagliate che riporta sono molto pragmatiche e interessanti. In sintesi riguardano 7 aree possibili di intervento.
La possibilità di fare la formazione in piccoli gruppi, per risparmiare sui costi e per essere più funzionali ed efficaci sui bisogni formativi. Le autorità nazionali e locali dovrebbero definire, insieme agli operatori sanitari e alle società scientifiche, le aree prioritarie della formazione, a partire da specifici bisogni. Il Ministero della Salute italiano ha identificato gli obiettivi generali dell’ECM, ma questi risultano essere generici e non funzionali a priorità che possono essere diverse a seconda dei problemi delle singole realtà. I singoli provider dovrebbero essere valutati e possono essere dispensati a fornire i crediti solo se rispondono a essenziali obiettivi e se adottano un metodo adeguato di formazione5. Il lavoro dovrebbe essere periodicamente valutato rispetto ai risultati ottenuti sui processi di conoscenza dei partecipanti e sulla qualità delle cure raggiunte.
Ogni singola istituzione dovrebbe destinare una parte del proprio budget per le attività dell’ECM, in conformità agli obiettivi e ai metodi sovraindicati. L’ex Ministero della Salute aveva raccomandato che le ASL destinassero l’1% del budget totale alle attività dell’ECM. Credo che questa raccomandazione non sia stata mai di fatto verificata nella sua effettiva attuazione, che probabilmente potrebbe ovviare a una parte delle esigenze economiche che derivano dalla pratica dell’ECM. Le autorità sanitarie nazionali dovrebbero creare un ufficio per la formazione a distanza (e-learning). In Italia l’AIFA è stata tra le prime a muoversi in questa direzione creando un sistema, chiamato <a href="http://aifa.progettoecce.it">ECCE</a>, che alla fine del 2007 ha avuto l’accreditamento di 26.000 medici e 56.000 infermieri. Modelli simili, a mio avviso, potrebbero essere adottati per un e-learning su specifiche aree mediche, come quella della pediatria. In merito al ruolo delle industrie farmaceutiche, quello che sarebbe auspicabile è che i finanziamenti fossero destinati a un fondo centrale comune (o di singole istituzioni o gruppi di istituzioni) invece che a singoli relatori o a specifici eventi. Questo in linea con quanto riportato dall’AAMC. Come ultima proposta quello che si richiede è che i medici possono in parte pagare la loro ECM. Pisacane riporta la sua esperienza a riguardo: 200 pediatri hanno partecipato a diversi eventi formativi pagando, per 12 ore di corso, 50 euro a testa.
Sognando una ECM diversa
È tempo che la formazione vada ridiscussa e ridefinita in merito ai suoi veri obiettivi e alla possibilità che possa essere davvero rispondente ai bisogni della comunità medica, di altri professionisti sanitari, oltre che ai bisogni di salute dei cittadini.
Al di là di prese di posizione così autorevoli da parte di organismi e istituzioni e delle proposte per un nuovo corso (da discutere, ottimizzare), un pensiero in più deve essere fatto per essere sicuri che questo auspicabile cambiamento sia duraturo e soprattutto motivato. Il dato di fatto è che in questi anni l’industria farmaceutica si è, in larghi settori, impossessata della formazione (e che questo ha i suoi vantaggi, economici per potere fare la formazione, di organizzazione, ma anche e soprattutto i suoi limiti), deve farci riflettere sul perché questo è avvenuto, sul perché è diventata (quasi) la regola, con importanti e significative eccezioni. E questo senza guardarsi indietro, senza avere il coraggio di dire: esiste un altro modo per poter garantire l’aggiornamento, la mia formazione, il mio modo di rapportarmi di fronte alle società e istituzioni professionali e scientifiche che dovrebbero rappresentarmi, il modo di vivere il mio ruolo di operatore in una società che spero sia sempre più civile e rispettosa delle regole? È avvenuto forse perché la classe medica (che è molto diversa ad esempio da quella infermieristica che, pur dovendo vivere l’ECM, non gode di privilegi) gestisce un potere che a volte rischia di non essere funzionale a una professione che è, non dimentichiamolo, di servizio. La classe medica, la medicina, come diceva Maccacaro, evidentemente continua a essere potere e il potere ha i suoi interessi: in parte privati, in parte di categoria. E anche il principio che “così fan tutti” o, peggio, la pratica di una moralità tutta esteriore, sotto la cui veste opera l’interesse esclusivo del guadagno o della carriera, dovrebbero essere tema di riflessione.
Non si tratta qui di fare moralismi, in un percorso che deve avere i suoi correttivi e dai quali nessuno di noi è esente. Ma è anche vero che senza una nuova etica morale e soprattutto intellettuale, questi correttivi rischiano di rispondere solo a esigenze del momento. Il compito che ci viene dato per questo cambiamento è come prima cosa di responsabilità personale. Ma anche di capacità di gruppo per sensibilizzare chi poi queste cose le decide. Ma noi per primi dobbiamo essere convinti e crederci, ragionando molto di più sui contenuti della “nuova” ECM (magari basata sulla ricerca, accreditata e di gruppo, sui nuovi bisogni socio-sanitari) che sulla forma (come facciamo senza i finanziamenti). Il dibattito, speriamo civile, è aperto e speriamo anche che non rimanga confinato sulle pagine del JAMA o del BMJ o di organismi istituzionali oltre confine.
Bibliografia
1. Relman AS. Industry support of medical education. JAMA 2008; 300:1071-3.
2. Pisacane A. Rethinking continuing medical education. BMJ 2008; 337:a973.doi: 10.1136/bmj.a973.
3. Gould M. End of the free lunch? BMJ 2008;337:a1399. doi:10.1136/bmj.a1399.
4. Moynihan R. Doctors’ education: the invisible influence of drug company sponsorship. BMJ 2008;336:416-7.
5. Knowles MS, Holton EF, Swanson RA, Holton E. The adult learner: the definitive classic in adult education and human resources development. 5th ed. Houston, TX: Gulf, 1998.
Federico Marchetti
Clinica Pediatrica, IRCCS "Burlo Garofolo", Trieste