Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Dicembre 2009 - Volume XII - numero 10
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di viaggio
Il
primo impatto con l'Angola
Specializzando
in Pediatria, Clinica Pediatrica IRCCS Burlo Garofolo,
Università di Trieste
Indirizzo
per corrispondenza: contgabriele@gmail.com
Ciao a
tutti.
Qui
umanamente parlando per il momento reggo, fortunatamente le origine
abruzzesi mi aiutano, ma professionalmente sono proprio cazzi!! Che
sia la volta buona che mi metta a studiare! Mi mancano le nostre
giornate in reparto! Vi racconto qui di seguito un po’ come
vano le cose.
Ebbene
sì, mi ci sono volute 2 settimane per metabolizzare, digerire
e poter buttare giù due righe.
Per i
primi 10 giorni non mi sembrava certo di stare in Africa!
Certo, la
popolazione è africana (neri), ma se non fosse per questo e
per le patologie tropicali... il calore dell’Africa, della
terra madre di tutte le terre... beh c’è ben poco!
Si perché
qui si vive e si lavora dentro a un piccolo lager, dotato di camera
con bagno (rubata non appena se ne è liberata una, la mia
iniziale era senza bagno e più triste dell’urologia
dell’ex ospedale civile di Gorizia...). Qui “dentro”
nella “casa” ci sono gli altri volontari che uno dopo
l’altro, manco ci fosse un’epidemia (la suina??) se ne
ritornano a casa... infatti il luogo di queste ridente capitale
africana (un guazzabuglio di traffico, gente e immondizia) che
maggiormente frequento e conosco è proprio l’aeroporto!
Tutto
questo comunque è stato l’inizio... ANGOLA - GABRI 3-0
Al lavoro
ce ne sono di cose da fare, imparare, burocrazia da compilare, cose
da capire, modi per farsi capire, strategie da attuare per
intendersi, pazienza, pazienza, rabbia per le cose che non vanno,
frustrazione per le cose che non capisco, non so fare e dovrei, mente
vuota o troppo piena, frustrazione per la morte che non arriva mai o
per quella che arriva e, diavolo, ora no, non l’aspettavi!
Dicevo
questo era l’inizio... certo ora qualcosa ne capisco in
più...ma resta pur sempre un oceano, dove colmo 1-2 goccine al
giorno e dove piano piano mi sto facendo il pelo sullo stomaco.
Pazzesco, intendiamoci non giustifico il “non fare” e il
“lasciar morire per indifferenza”, “per il cambio
turno” e nemmeno per “la necessità di mangiare il
panino” ma mi sto accostumando (italiano o portoghese?) a
farmene una ragione, che la vita e la morte vanno a braccetto, che in
fin dei conti il mio impegno, la mia forza lavora, le mie attenzioni
le sto dedicando ai loro figli e se poi loro stessi (medici,
infermieri, madri) se ne fregano, beh non posso cambiar il mondo!
Sto
diventando come loro??
Questo
era l’inizio.
Poi mi
hanno portato alla scuola qui vicino, complesso scolastico che va
dalla I elementare alle superiori, all’interno del nostro muro
di cinta (un giardino dove c’è di tutto, il nuovo
campetto di calcio a 7, in terra battuta, o meglio argilla stirata
con qua e là medio-piccole increspature e declivi concavi dove
perdere ginocchia e caviglie; macchine abbandonate, un florido
orticello immerso in detriti e materiali di scarto, macchine
agricole, una ruspa che prima o poi voglio poter manovrare - sogno di
ogni bambino maschio - e qualche container parcheggiati con lauta
ricompensa da versare alle casse dei preti). Si, perché mi
dimenticavo, all’interno del nostro lager c’è il
convento e il seminario. Gente accogliente, solidale, ospitale ma da
capire e interpretare, no preti delle nostre terre, qui il
seminarista veste alla moda con cellulare e stile diaconale.. Ma
tutta brava gente!
Confuso,
si perché ora riemergono in superficie tutti i miei pensieri.
Dicevo
poi mi hanno portato alla scuola e come per incanto e un po’
anche per magia la tristezza è volata via e mi è nata
dentro una carica irrefrenabile data da quei candidi cori mattutini
degli scolaretti delle elementari: 14 file, di 18-20 bambini,
maschietti e femminucce, disposti in fila indiana, nel tentativo per
definizione irrealizzabile (qui in Africa, ma forse tipico dell’età)
di mantenere i ranghi ordinati. Camici bianchi, piccoli soldatini,
gioiosi e cantanti, occhi grandi, denti bianchi, camici bianco latte
dicevo (non hanno l’acqua calda e la strada è sempre
così polverosa.., argillosa, che non mi capacito come facciano
a essere cosi bianchi questi maledetti camici), tutti neri, ma
proprio neri..dai capelli a treccioline decorative alle piante dei
piedi. Piccoli ma dalla voce intensa, del timbro squillante, ritmica,
accompagnata da meticolosi movimenti delle mani, delle braccia e dei
piedi. Gioiosi, che mi trasmettono una gioia immensa e mi fan capire
che questa sì, questa è la MIA AFRICA!
E poi c’è
il BAIRO... il quartiere, dedalo di strade polverose, una sorta di
favelas, si proprio favelas composta da latta, legno, plastica,
carcasse di cisterne, di uomini..gente con una propria autonomia, una
lixeira (un immondezzaio a cielo aperto). Non mi è mai
capitato di vedere una cosa simile. Gli abitanti del bairo sono per
il 70% di età inferiore ai 18 anni! Pazzesco, le strade sono
tutto un pullulare di gambette, vestitini, treccine, piedini nudi,
pozzanghere di liquami, bambini e bambine che giocano a pallone,
saltano l’elastico, si spingono su monopattini artigianali,
evitano di farsi investire dalle macchine, trascinano recipienti di
30kg di acqua, ridono e scherzano e sembrano felici! Sembrano, ma
penso sotto sotto sappiano che non gli resta altro che farsela
passare! Luoghi dove l’uomo bianco fa scalpore, dove toccare la
mia testa pelata diventa il gioco del quartiere, dove senti
sussurrare le vocine dei bambini “homen brancos, homen
brancos”. Dove diventi l’invitato per eccellenza!
Ospitalità
e dignità senza eguali... ospiti a cena di amici di amici che
vivono in 4 in 8 mq, che condividono il giardino (2mq) con un’altra
famiglia. Che preparano il piatto migliore della casa, che comprano
le birre con lo stipendio, che percepisci a pelle che non si tratta
di falsità!
E poi
vien la messa celebrata da un frate nero, in portoghese, all’interno
dell’ospedale...tutto a un tratto il mio lager perde le
inferiate e le mura di cinta (che mi proteggono dall’esterno??)
e d’incanto, a occhi chiusi coccolando un bimbo da me
ricoverato (pareva autistico, perché qui si caricano il figlio
sulle spalle e per 8 ore al giorno, 7 giorni alle settimana questo
disgraziato interagisce solo con la schiena della madre?????),
percepisco di essere in AFRICA! Musica, canti, spiritualità,
balli questa sì che è una festa e poi lui, il mio
piccolo “autistico” mi guarda e mi stampa un sorriso a 56
denti (tutti bianchi!)... questione di stimoli?
Come
prima parte può acabare (finire).
Datemi il
tempo di metabolizzare... le caipirinhas!
Vi
abbraccio tutti,
Gabriele
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