Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Studio
descrittivo sulle modalità di gestione del bambino con
infezione delle vie urinarie nella pediatria di famiglia
T.
Gazzotti, S. Uccella, G. Aceti, R.C. Cannavo', C. Cives,C. D'Aleo, P.
De Mango, F. De Sanctis, S.Di Giuseppe, A. Ferrara, T. Gazzotti, L.
Marolla, F. Melideo, D. Morano, L. Oliviero, I. Rafele, S. Uccella,
C. Vignuda, R. Zand
Il
lavoro "sul campo" dei pediatri di famiglia di Roma è
importante per diverse ragioni. In primo luogo rileva l'eterogeneità
e le difficoltà nella gestione dei casi con sospetta infezione
delle vie urinarie. In secondo luogo ci consente di riflettere,
ancora una volta, sulle controversie e sulle novità che
riguardano le cose da sapere e da fare di fronte ad un bambino con
documentata infezione urinaria. Su molti punti, anche in letteratura,
si continua a discutere. Alcune delle conclusioni che gli Autori del
lavoro portano alla nostra attenzione sono in parte discutibili, o
meglio oggetto di discussione. In attesa delle linee guida condivise
che sono state annunciate come una prospettiva "locale" di
gruppo, rimandiamo all'editoriale
di Marco Pennesi pubblicato su questo numero di novembre di
Medico e Bambino ed alla rubrica
elettronica Il Punto su... che affronta alcuni dei problemi
aperti in tema di infezione delle vie urinarie. La ricerca
dei colleghi di Brescia sul RVU è di utile ed importante
completamento.
La
Redazione delle pagine elettroniche di Medico e Bambino
Descriptive
survey on the managment of urinary tract infaction in pediatric
general practice
Key
words. Urinary tract infection, management, family
pediatricians, audit
Summary:A survey on the evaluation and management methods of urinary tract
infections in children was done by a family pediatricians group in
Rome. The results reveal vast variations in handling the diagnoses,
the therapy, and, the second level analyses. This variability is due,
in part, to the lack of sharing guidelines, where the numerous
guidelines are sometimes in conflict with each other, and, in part to
the real or perceived problems of adopting simple diagnostic
practices in the pediatrician's office.
Introduzione
Le
infezioni delle vie urinarie (IVU) rappresentano una patologia
frequente: infatti in uno studio svedese la prevalenza stimata in una
popolazione infantile di età compresa tra 0 e 11 anni è
di circa il 3% nelle femmine e l'1% nei maschi . Nei bambini il
reflusso vescico-ureterale (RVU) è considerato una condizione
anatomica predisponente per le infezioni urinarie, infatti è
presente in meno dello 0,5% della popolazione infantile generale ma
nel 30-50% dei bambini con IVU (2,3,4).
L'IVU può essere causa di danno renale permanente. Il
rischio di cicatrice renale è maggiore nei bambini piccoli con
RVU di grado elevato rispetto a quelli con RVU di grado basso ed è
maggiore nei bambini con RVU rispetto a quelli senza (4).
Il rischio di cicatrice renale aumenta anche con l'aumentare dell'
intervallo tra inizio dell'infezione e inizio della
terapia(2,5,6,7).
In quest'ottica è particolarmente importante la diagnosi
precoce al fine di iniziare un trattamento più rapidamente
possibile.
C'è
difformità in letteratura riguardo la scelta del tipo di
antibiotico da utilizzare, che prevede l'uso di ben 8 molecole
(4,5,6,8)
con diversi schemi posologici, ma si concorda sulla durata della
terapia di 7-10 gg nelle infezioni alte e di 3-4 nelle infezioni
basse (4,6,7,8)
In Italia
sono carenti le valutazioni che hanno valutato nella pratica clinica
ambulatoriale le modalità di gestione dei casi con IVU . Una
sorveglianza è stata condotta con descrizione delle attitudini
dei pediatri di famiglia (PdF) tramite questionario (9).
Nell'ambulatorio
pediatrico le difficoltà di gestione si manifestano già
al momento del sospetto di IVU nell'individuare, in base alla
clinica, se l'infezione è delle basse vie urinarie (cistiti) o
delle alte (pielonefrite). Anche se in letteratura viene dato un
forte valore predittivo per la diagnosi di pielonefrite alla febbre,
alcuni autori ritengono che non c'è un sintomo che possa
permettere la diagnosi clinica di localizzazione (4).
Un'ulteriore
difficoltà si ha nella scelta degli esami diagnostici, in
quanto proprio nei bambini più piccoli, che necessitano di una
diagnosi più rapida (multistix, es urine), è necessario
in caso di positività dello stix (secondo alcune linne guida)
confermare la diagnosi con l'urinocoltura (4)
Inoltre in questi bambini è difficile raccogliere un campione
di urine sterilmente, c'è resistenza da parte dei genitori ad
usare il metodo di raccolta del mitto intermedio e il sacchetto è
ancora ampiamente utilizzato, sebbene la maggior parte degli autori
ne sconsigli l'uso (4,5,6,8,10
).
Anche il
tempo di risposta delle indagini può essere particolarmente
lungo o la risposta stessa essere poco attendibile dato il tempo
intercorrente tra raccolta e semina delle urine. Per queste ragioni
alcuni pediatri preferiscono affidare la loro diagnosi al solo es
urine o multistix (4,5,6,11,12).
Dopo la
diagnosi il pediatra ha di fronte vari passaggi critici come cercare
di individuare la sede dell'infezione e la presenza di RVU con
esami di laboratorio e strumentali in vista di un diverso follow up
in caso di IVU alta.
Scopo del
nostro lavoro è stato quello di descrivere la gestione da
parte del PdF in presenza di un sospetto di infezione delle vie
urinarie
Questo
lavoro è una fotografia del comportamento dei PdF in una
particolare area italiana.
Il passo
successivo sarà l' elaborazione di linee-guida, per la
diagnosi e la corretta gestione dei casi di IVU, e la verifica
dell'applicabilità delle linee-guida definite.
La
popolazione partecipante era rappresentata da PdF di Roma reclutati
tra i 60 che frequentavano un corso di aggiornamento mensile
organizzato dall' ACP Lazio.
Lo studio
si è svolto dal Giugno '99 fino al Luglio 2000, i pediatri
coinvolti nello studio sono stati sottoposti ad un
questionario-intervista telefonico ogni qualvolta avevano un sospetto
di IVU in un proprio assistito sulla base delle manifestazioni
cliniche.
Le
informazioni sul caso venivano raccolte entro 3 gg dal sospetto
clinico attraverso una intervista telefonica “aperta”;
l'intervistatore raccoglieva i dati dell'ascolto riempiendo le
caselle di un questionario predisposto e alla fine faceva le domande
per completare le parti mancanti.
Erano
esclusi dalla segnalazione i bambini che avevano avuto in precedenza
un episodio di IVU o con malformazioni note del distretto renale.
Nel
questionario dovevano essere riportati tutti i sintomi clinici
riferiti, il sintomo principale di presentazione ed i dati obiettivi
osservati dal pediatra.
Il
secondo contatto avveniva nel momento in cui erano disponibili le
risposte degli esami effettuati e in ogni caso al massimo dopo 15gg e
si proseguiva l'intervista sulle modalità di comportamento
osservate dal pediatra nella gestione del caso.
Il terzo
contatto avveniva dopo circa 2m dal primo e, nel caso il pediatra
avesse formalizzato la diagnosi di IVU, si registrava la terapia, la
richiesta di esami laboratistici o strumentali, i contatti con i
centri di terzo livello. Ad ogni pediatra era richiesta la
motivazione delle diverse scelte decisionali.
I casi
erano consecutivi e tutti i pazienti eleggibili sono stati inclusi
nello studio.
Per
l'interpretazione dei risultati diagnostici il multistix è
stato considerato positivo in presenza di almeno un + di leucociti
e/o nitriti, l'esame urine in presenza di più di 15
leucociti per campo e/o di nitriti e l'urinocoltura in presenza di
almeno 100.000 colonie di un solo batterio.
I dati
sono stati raccolti su un archivio elettronico. Le tabelle di
frequenza delle informazioni raccolte sono state prodotte con
Microsoft Excel.
Sedici
pediatri di famiglia di Roma hanno volontariamente aderito allo
studio. La tabella 1 illustra le loro caratteristiche
Tabella
1
Numero
pediatri aderenti all'iniziativa
16
F
15
Età
media
48,56
(41-58)
Anzianità
di laurea
22,8
anni (16-34)
Anzianità
di specializzazione
19,7
anni (15-31)
N°
medio di assistiti
635
N°
totale di assistiti
10166
Zona
di Lavoro
-
centrale 3 (18,7%)
-
periferica 13(81,3%)
La quasi
totalità dei partecipanti era composta da donne con elevata
anzianità di laurea e prevalentemente massimaliste.
La
popolazione assistita dai pediatri partecipanti allo studio
comprendeva 10166 bambini di età compresa tra 0 e 14 anni. Il
12.7% degli assistiti aveva un'età inferiore a 2 anni e il
50% erano femmine.
Caratteristiche
dei pazienti
Durante
lo studio sono stati segnalati 230 bambini con sospetta infezione,
con età da 1 mese a 13 anni. Dei 230 sospettati 131 (56 )
avevano meno di 2 anni, in particolare 29 (12.6%) avevano un'età
tra 0 e 3 mesi, 137(59%) dei sospettati erano femmine.
Al
momento del sospetto è stato chiesto ai PdF di formulare anche
un'ipotesi sulla localizzazione dell'infezione. Dei 131 bambini
<2aa, 89 avevano la febbre;in questo sottogruppo l'ipotesi di
infezione alta (pielonefrite) è stata formulata 35 volte (39%)
e quella di infezione bassa 54 volte (61%). Nei restanti 42 bambini
con età <2aa senza febbre si è sospettata
l'infezione alta 5 volte (12%) e l'infezione bassa 37 volte (88%)
(tabella 2)
Dei 99
bambini con età >2aa con sospetto di IVU, 37 avevano la
febbre; in questo sottogruppo l'ipotesi di infezione alta è
stata formulata 16 volte (43%) e quella di infezione bassa 21 volte
(57%). Nei restanti 62 bambini > 2aa senza febbre, l'ipotesi di
infezione alta è stata ipotizzata 6 volte (9.6%) e quella di
infezione bassa 56 volte (90.4%) (tabella 2).
Tabella
2
131
BAMBINI < 2ANNI
99
BAMBINI > 2 ANNI
89
con febbre
42
senza febbre
37
con febbre
62
senza febbre
Sospetto
IVU alte
35
(39.3%)
5
(12%)
16
(43.2%)
6
(9.6%)
Sospetto
IVU basse
54
(60.7%)
37
(88%)
21
(56.8%)
56
(90.4%)
Su 230
bambini con sospetto di IVU, 126 (55%) presentavano come sintomo
principale la febbre, 59 (26%) disturbi minzionali, 15 (6.5%) scarso
accrescimento, 12 (5.2%) diminuzione dell'appetito, 12 dolori
addominali, 6 diarrea o ittero (Tabella 3)
Tabella
3
Sintomi
percentuale
<2aa(N=131)
>2aa
(N=99)
Febbre
126
(55%)
89
37
Disturbi
minzionali
59
(26%)
10
49
Scarso
accrescimento
15
(6.5%)
15
0
Diminuzione
dell'appetito
12
(5.2%)
12
0
Dolori
addominali
12
0
12
Altro
6
5
1
Mentre
nei bambini con sospetto di IVU <2 anni la febbre era il sintomo
più frequente (89/131), nei bambini > 2 anni i sintomi più
frequenti erano rappresentati dai disturbi minzionali (49/99). La
febbre nei bambini più grandi era presente in 37 casi su 99.
Sul
totale dei 230 bambini con sospetta IVU, 53 sono stati considerati
affetti, 151 non affetti e in 26 casi non si era giunti ad alcuna
conclusione diagnostica. Sul totale di 10166 assistiti la percentuale
dei casi con IVU è pari allo 0.53%
Su 53
bambini dichiarati affetti da IVU, 33 (62%) avevano un'età
inferiore a 2 anni; in particolare il 9% aveva un'età
compresa tra 0 e 3 mesi, 40 (75%) dei bambini con IVU erano femmine e
solo nell'età tra 0 e 3m prevalevano i maschi.
Dei 53
bambini con diagnosi di IVU, 27 (50.9%) avevano la febbre al momento
del sospetto.
La
diagnosi
L'approccio
diagnostico in presenza di un sospetto di IVU è risultato
essere molto eterogeneo come si può osservare nella Figura 1
Fig.
1 Esami diagnostici utilizzati per la diagnosi di IVU
In
particolare, mentre la maggior parte dei 230 pazienti aveva ricevuto
combinazioni di diversi esami tra i quali era sempre inclusa
l'urinocoltura, alcuni avevano praticato un solo esame: 19 (8.2%)
solo il multistix e 26 (11.3%) solo l'esame delle urine. Nove
pediatri su sedici (56.2%) non avevano il multistix a studio.
Il 98%
dei bambini < 2aa che avevano eseguito l'urinocoltura, avevano
raccolto il campione col sacchetto.
Sui 53
casi con diagnosi di IVU, 40 avevano urine e/o multistix ed
urinocoltura positivi. Per quanto riguarda multistix ed esame urine
in tutti i casi erano presenti i leucociti, solo in 3 leucociti +
nitriti. Quattro avevano eseguito solo l'esame urine o il multistix
che erano positivi, di questi uno era piccolo con febbre, tutti
avevano presenza di leucociti e nitriti
In un
caso relativp ad una bambina di 3 anni e mezzo con febbre e dolori
addominali era stata posta la diagnosi di IVU anche se l'urinocoltura
che era sterile perché c'era leucocituria, nitriti, VES pos
e PCR neg.
Negli
altri 8 casi la risposta degli esami non era pervenuta al pediatra
che li aveva prescritti, oppure non era completa. In 4 di questi casi
(fra cui 3 bambine maggiori di 2aa con disturbi minzionali senza
febbre) il pediatra aveva fatto diagnosi di IVU basandosi solo sui
sintomi; negli altri 4 (3 lattanti,di cui 1 con febbre) si era basato
sulla positività del solo esame urine.
In questo
periodo di osservazione non ci sono stati ricoveri ospedalieri x IVU
al di là di quelli dei nei b. ni con diagnosi di IVU già
compresi nei 53.
Su 151
pazienti giudicati non affetti da IVU, 104 (68.8%) avevano
l'urinocoltura sterile o negativa, anche se in 9 di questi le urine
o il multistix erano risultati positivi (tutti >2aa con febbre e
leucocituria =falsi positivi); 33 avevano eseguito solo multistix o
es urine che erano risultati negativi. Di questi 14 erano piccoli, di
cui 11 con febbre.
In 3 casi
la diagnosi di IVU era stata esclusa, pur essendo le urine e
l'urinocoltura entrambe positive. Di questi tre bambini, 1 aveva un
esantema critico, 1 aveva una fimosi ed un'urinocoltura positiva
per proteus ed 1 aveva l'urinocoltura positiva per pseudomonas
(considerato dal pediatra un germe da inquinamento).
In 10 (7
piccoli con febbre) casi l'urinocultura richiesta non era
pervenuta, perciò l'IVU era stata esclusa sulla base del
quadro clinico (:5 di cui 3 ebbero un esantema critico) o dei
risultati negativi delle urine/stix(:5, di cui 3 piccoli, uno con
febbre) .
In un
caso le indagini non erano state eseguite ed anche il pediatra ne
aveva tralasciato l'esecuzione perchè il giorno dopo la
febbre era scomparsa
In 26
pazienti (14 piccoli di cui 8 con febbre) non era stato possibile
arrivare a formalizzare la diagnosi di IVU: in 24 casi perché
le analisi erano incomplete o mancava l'esame urine, l'urinocultura
o entrambi; in 2 casi perché esame urine ed urinocoltura erano
discordanti.
La
Terapia
Nei 53
casi con diagnosi di IVU la terapia più praticata è
stata amoxicillina + clavulanico (N=17), cefalosporine di 3^ e 4^
generazione (N=10) , amoxicillina (N=7 di cui 3 piccoli con febbre),
trimetoprim-sulfametossazolo(N=6, di cui 1 piccolo con febbre),
fosfomicina (1 bambina di 6aa con disturbi minzionali senza febbre)
non comunicata (N=12); i giorni di terapia sono stati da 7 a 10.
In tutti
casi in cui era stata effettuata l'urinocoltura, la terapia era
stata iniziata dopo il prelievo delle urine.
In 3 dei
26 casi con diagnosi di IVU dubbia era stata comunque praticata una
terapia antibiotica.
Gli
esami successivi alla diagnosi
Su 33
bambini con età <2aa (22 con febbre) con diagnosi di IVU :
in 14 casi i pediatri non hanno eseguito alcun ulteriore esame, in 12
casi hanno richiesto solo un'ecografia ed in 7 casi l'ecografia e
la cistoureterografia minzionale (CUM): 4 di questi ultimi (CUM
positiva ed ecografia negativa) sono risultati affetti da RVU (3°-4°
grado).
Su 20
bambini > 2aa con diagnosi di IVU: in 17 casi (di cui 15 con
disturbi minzionali senza febbre) i pediatri non hanno eseguito alcun
ulteriore, in 3 casi hanno eseguito ecografia e CUM: di quest'ultimi,
un bambino è risultato essere affetto da doppio distretto
renale senza reflusso. Il quadro riassuntivo del programma
diagnostico intrapreso dopo la diagnosi è riportato in Tabella
4.
Tabella
4
di 33
b.ni con ivu<2aa
14
non hanno eseguito nessun ulteriore esame
12
solo ecografia
7 eco
e CUM
di 20
b.ni con ivu> 2aa
17
nessun esame
3 eco
e CUM
RVU
4:
tutti < 2aa con febbre (CUM+ ECO-)
DOPPIO
DISTRETTO
1:
>2aa (CUM- ECO+)
L'incidenza
di RVU nei bambini in cui il reflusso è stato ricercato
con una CUM è pari al 40%.
Lo scopo
dello studio era quello di descrivere il comportamento dei PdF nella
gestione dell'IVU. Abbiamo rilevato numerosi passaggi critici e
comportamenti diversi nelle scelte decisionali del pediatra
ambulatoriale di fronte ad un bambino con sospetto di IVU.
L'obiettivo
condiviso da tutti gli esperti, in pratica l'unica certezza, è
diagnosticare presto tutte le infezioni e risparmiare più
cicatrici renali possibili attraverso un trattamento antibiotico
precoce. Sui passaggi necessari a raggiungere un tale obiettivo,
tuttavia, molti sono i pareri, a volte discordanti tra loro.
Proviamo
a calarci nei panni di un pediatra ambulatoriale e a seguire un
ragionamento corretto per ipotizzare le cause delle eventuali
difformità nei punti critici.
La
prima domanda è: quando sospettare l'infezione?
Poichè
nessun sintomo ha un forte valore predittivo di localizzazione,
bisognerebbe sospettare l'infezione alta in tutti i casi di febbre
senza altri sintomi, o con altri sintomi sfumati, ma anche, nel
lattante senza febbre se c'è rallentamento di crescita,
diminuzione dell'appetito, diarrea, vomito, ittero, condizioni
generali scadute; nel bambino sotto i due anni se c'è febbre
oppure dolori addominali, diarrea, vomito. In pratica, sotto i due
anni di vita ogni volta che si pone il sospetto di IVU bisognerebbe
pensare ad un'infezione alta. Nei bambini al di sopra dei due anni
di vita il sospetto di pielonefrite deve nascere ogni volta che ci
sia febbre elevata, dolori ai fianchi o addominali, vomito.
Data la
difficoltà su base clinica a differenziare la localizzazione
delle IVU al momento del sospetto clinico alcuni autori, ad esempio
l'AAP, preferiscono, nei bambini < 2 aa, non citare le due
localizzazioni (alta o bassa).
Nel
nostro studio su circa 10000 utenti degli studi pediatrici i pediatri
hanno sospettato l'infezione 230 volte e hanno trovato un'IVU
nello 0.53% della popolazione afferente agli ambulatori durante un
anno di osservazione; questa percentuale è largamente
inferiore al 2% cui fanno riferimento la maggior parte degli studi
(1).
Non
abbiamo spiegazioni certe per questa differenza tra l'incidenza
attesa e trovata, possiamo però ragionevolmente fare delle
ipotesi:
La
popolazione presa in esame nello studio di Wimberg, composta da
bambini che afferivano ad un pronto soccorso per malattia acuta non
essendo presente una pediatria territoriale, è più
selezionata della popolazione presa in esame nel nostro studio,
composta da bambini sani e malati che accedono allo studio del
pediatra di famiglia (sorveglianza di tipo passivo).
I PdF
non hanno sospettato l'infezione abbastanza spesso e soprattutto
non hanno preso in esame la possibilità di una pielonefrite
ogni volta che avrebbero dovuto. Infatti nei bambini al di sotto i
due anni laddove ogni sospetto di IVU dovrebbe accompagnarsi
all'ipotesi di pielonefrite troviamo un sospetto di infezione alta
solo nel 37.4% (40/131), in parte per l'attesa di una malattia
molto frequente come l'esantema critico. Nei bambini maggiori di
2aa si sarebbe dovuta sospettare un'IVU alta in tutti i casi con
febbre o dolori addominali e cioè 49 volte, invece troviamo
quest'ipotesi solo 22 volte. Nella stesura delle linee guida che
seguirà questo lavoro si dovrà porre particolare
attenzione alla raccomandazione di sospettare più spesso
l'infezione e di considerare più frequentemente la
localizzazione alta.
Il
sistema di rilevazione dei dati richiedeva almeno un'intervista
telefonica per ogni sospetto e spesso ci sono state difficoltà
di reperimento del referente; questo ha creato in alcuni casi una
sottosegnalazione dei sospetti e quindi anche di alcune infezioni
infatti c'è un range di segnalazione di casi sospettati per
pediatra che va da 2 a 24 casi.
Ci
potrebbe essere un effettiva riduzione del numero delle infezioni,
come sembrerebbe confermato dal fatto che, nello stesso periodo non
ci sono stati ricoveri per IVU nella popolazione studiata
Per
quanto riguarda sesso ed età abbiamo risultati simili a quelli
riportati in letteratura.(3,4)
La
seconda domanda è: come fare la diagnosi?
Gli
esami a disposizione sul campione d'urina sono: il multistix che si
può usare nello stesso momento in cui si pone il sospetto in
ambulatorio e dà una risposta immediata; l'esame delle urine
e l'urinocoltura che necessitano di un laboratorio e danno una
risposta nei giorni successivi.
Il
multistix è considerato attualmente (4,11,12,13,14)
un test molto valido, paragonabile all'esame completo delle urine
(12,13)
per una prima conferma del sospetto diagnostico, e fortemente
significativo nell'escludere l'infezione, se negativo. I due
parametri da considerare, sono leucocituria e presenza di nitriti,
che se applicati insieme hanno un'alta sensibilità, ma una
specificità del 72%in caso di positività di uno solo
dei due parametri, quindi quasi nessun falso negativo un po' più
falsi positivi (4,11,12,13,14),
abbiamo invece un'alta specificità quando essi sono entrambi
positivi (4,11).
Molte scuole privilegiano l'uso del multistix - esame urine per la
loro attendibilità e semplicità d'uso.
Comunque,
partendo dalla premessa che il Gold Standard per la diagnosi di IVU
sia un'urinocoltura non inquinata (4,5,7,8,10),
abbiamo a disposizione il metodo del mitto intermedio (il migliore
possibile in ambulatorio) o il sacchetto; il mitto intermedio è
ancora poco diffuso tra i pediatri e a volte disatteso dalle mamme,
ma il sacchetto si accompagna ad una specificità
inaccettabilmente bassa.
Di fronte
a questi problemi sorge una nuova domanda: quando il pediatra,
nell'interesse del bambino, deve avere in mano una documentazione
forte di infezione urinaria? Quando cioè deve fare diagnosi
solo dopo un'urinocoltura positiva e quando è sufficiente
una positività del multistix o delle urine per nitriti e/o
leucociti??
Probabilmente
è necessaria l'urinocoltura in tutti i casi in cui l'iter
successivo alla diagnosi impone ulteriori esami forse invasivi o un
follow-up particolarmente attento (tutti i bambini piccoli e tutti i
grandi con sospetto di pielonefrite= vedi sopra) e ci si può
accontentare di un multistix solo quando si possono escludere sulla
base della clinica l'infezione alta (bambini grandi senza febbre e
con disturbi minzionali).
Riassumendo:
sospetterò frequentemente l'infezione, farò un
multistix per nitriti e leucociti ad ogni bambino con sospetto di
IVU, e, in caso di positività eseguirò un'urinocoltura
in tutti i bambini piccoli (<2aa) e ai grandi con febbre e/o
dolori addominali. Nei piccoli dovrò motivare fortemente i
genitori ad eseguire il prelievo col metodo del mitto intermedio.
L'unico
gruppo in cui ragionevolmente potrei permettermi di non eseguire
un'urinocoltura è quello dei grandi, senza febbre, con
disturbi minzionali e con i parametri del multistix nitriti e/o
leucociti positivi, anche qui debbo però aver presente una
falsa positività della sola leucocituria (leucocituria
febbrile) ; in questo caso la non esecuzione dell'urinocoltura
esiterebbe in una inutile terapia antibiotica.
In caso
di negatività di entrambi i parametri nei bambini piccoli,
dovrò controllare attentamente il quadro clinico successivo
sapendo che esiste una piccola percentuale di falsi negativi specie
nel lattante, ma l'urinocoltura qui non si ritiene necessaria (4).
Vediamo
come hanno agito i nostri pediatri di fronte a questo problema
La scelta
degli esami diagnostici è stata molto variabile. La prima
differenza ha riguardato proprio l'uso del multistix; come abbiamo
rilevato ben 9 pediatri (56%) non avevano il multistix a studio. I
motivi di questo bassa utilizzazione, vanno ricercati nella scarsa
conoscenza del test e della sua validità e nell'idea che
l'uso del test a studio comporti un aggravio di lavoro. La rinuncia
ad uno strumento così valido e pratico può ridurre la
motivazione delle famiglie ad iniziare la terapia dopo il prelievo
dell'urinocoltura in mancanza di una prova iniziale di malattia e
non aiuta il pediatra ad escludere l'infezione al momento del
sospetto.
La
seconda differenza ha riguardato il valore diagnostico dato a priori
ai diversi esami: nel 19% dei casi sospettati (45/230 di cui 19
bambini piccoli) i pediatri hanno ritenuto sufficiente un multistix o
un esame delle urine per fare o escludere la diagnosi, mentre
nell'80% (185/230) dei casi hanno ritenuto necessaria anche
un'urinocoltura.
Almeno
per i 19 bambini piccoli questa scelta non sembra accettabile, visto
che la gestione dopo la diagnosi potrebbe richiedere indagini a volte
invasive, è bene avere in mano una documentazione sicura
dell'infezione.
Nei
bambini al di sotto dei 2 anni per l'urinocoltura è stato
usato quasi sempre il metodo del sacchetto scelto per la facilità
d'uso anche se se ne riconosceva la scarsa attendibilità. Su
questo punto sarà necessario motivare fortemente i pediatri e,
quindi, anche i genitori all'uso del mitto intermedio anche nel
lattante. Tuttavia bisogna ricordare che i bambini che hanno avuto
un'urinocoltura positiva avevano anche le urine o il multistix
positivo, in questo caso dunque si dovrebbe convalidare il risultato
anche se le urinocoltura erano prelevate col sacchetto.
In alcuni
bambini, di cui 14 con età <2aa, quasi tutti con febbre,
l'IVU è stata esclusa basandosi sul risultato del solo
multistix senza l'ausilio dell'urinocoltura. Dato che la
sensibilità di multistix e es. urine non raggiunge il 100%
(4),
è verosimile che alcune diagnosi di IVU siano state mancate.
La
positività del multistix x esterasi leucocitaria in bambini
con urinocoltura sterile (9 su 104) conferma la necessità di
considerare la presenza aspecifica di leucociti nell'urina durante
la febbre (15).
Pertanto laddove la diagnosi si è basata solo sul multistix ci
può essere stata un eccesso di diagnosi. In un caso si è
data importanza maggiore all'esame delle urine persino quando c'era
un'urinocoltura sterile.
Analizzando
il comportamento dei pediatri sembrerebbe che la paura
dell'inquinamento da sacchetto o dissuade dal richiedere
l'urinocoltura, o non dissuade, ma determina una maggiore
incertezza nell'interpretazione dei risultati. La proposta dell'uso
del mitto intermedio anche nel lattante dovrebbe determinare un
maggiore sicurezza nella richiesta e nell'interpretazione dei
risultati.
Come
pediatra di famiglia, debbo ancora affrontare un'ulteriore
problema: gli esami non pervenuti o pervenuti incompleti; anche qui
la clinica diventa di nuovo l'unico elemento guida con il rischio
di eccesso o di difetto di diagnosi. L'alto numero di diagnosi non
concluse deve far riflettere sulla necessità di una migliore
collaborazione pediatra – famiglia -laboratorio anche in un
territorio difficile come la grande città.
La
terza domanda è: nei pazienti con infezione quando iniziare la
terapia e quale usare?
La
terapia antibiotica andrebbe iniziata il prima possibile soprattutto
nei bambini piccoli e nei grandi con febbre, appena sospettata
l'infezione ed eseguito il prelievo quando un'urinocoltura è
necessaria. Su questo tutti gli autori concordano.
Per
quanto riguarda le scelte terapeutiche molte molecole vengono citate
in vari lavori (4,
6,34) e spesso si pone in evidenza la resistenza batterica all'E.
Coli senza addivenire ad un'uniformità di scelta (4,
6,16). Molti lavori indicano una terapia breve per le cistiti e
lunga per le pielonefriti (17,18,19,20).
Il
comportamento dei pediatri nelle scelte terapeutiche è
piuttosto uniforme sia nella scelta dei farmaci quasi tutti
raccomandati in letteratura(4-6),
anche se, la scelta di amoxicillina e TMP-SMX è discutibile
specie nei bambini piccoli (16,20),
sia nelle modalità di inizio del trattamento effettuato sempre
dopo il prelievo dell'urinocoltura, sia nella durata di almeno 7-10
giorni; per quanto riguarda la durata però, non c'è
differenza di trattamento tra i bambini con sospetto di infezione
alta e bassa, ma anche questo comportamento viene previsto da alcuni
autori (21
).
La
quarta domanda è: una volta diagnosticata un'IVU si debbono
eseguire altre indagini? Se si quali ? E ancora: si deve
diagnosticare il RVU e se si, perché?
Le
indagini che andrebbero prese in considerazione sono quelle volte ad
individuare la localizzazione, quelle che studiano la morfologia dei
reni e mettono in evidenza il RVU e quelle che evidenziano le
cicatrici renali.
Indagini
di localizzazione
Il
vantaggio di sapere la localizzazione in fase acuta riguarda
essenzialmente la durata della terapia che, per la cistite, può
essere più breve. Per definire la sede della localizzazione,
la febbre nei bambini piccoli non mi può aiutare (4),
la VES e la PCR sono poco specifiche (24),
la procalcitonina (22,23,24)
richiede comunque un prelievo e tempi di attesa, l'ecografia per la
diagnosi di localizzazione è molto operatore dipendente
(23,25)
e il DMSA è un esame invasivo.
Sembrerebbe
pertanto prudente trattare come pielonefriti tutte le IVU nei bambini
piccoli e nei grandi con febbre, in pratica tutti i casi in cui ho
richiesto un' urinocoltura (26
)
Indagini
morfologiche
Dopo una
prima infezione alta ho il dovere di individuare alterazioni ed
eventuali malformazioni dell'albero urinario che implicherebbero
una gestione successiva più aggressiva.
Per
questo và utilizzata l'ecografia subito solo se c'è
sospetto di una sindrome ostruttiva oppure, per sfruttarla al meglio,
andrebbe eseguita in fase tardiva (dopo 2-3mesi) perché è
possibile dimostrare, con la semplice misurazione dei diametri renali
comparati con parametri standard x l'età, la "sofferenza
renale" (un diametro piccolo è il segno da ricercare). Un
rene che ha già subito una lesione è più a
rischio di altri per lesioni successive. Purtroppo il test di
misurazione è operatore dipendente e deve essere affidato solo
a mani esperte (25).
L'ecografia è un esame che và proposto a tutti i
bimbi in cui non si può escludere una pielonefrite. Con
l'ecografia tuttavia non si possono diagnosticare i reflussi
tranne, forse, qualcuno di alto grado.
É
un vantaggio per il paziente che ha avuto una probabile pielonefrite,
sapere se ha o no un RVU ?
Al
momento attuale un ampio dibattito è in corso nella comunità
scientifica sulla necessità diagnosticare il RVU dopo una
prima infezione urinaria e se si, in quali bambini cercarlo e con
quali mezzi (33,
26). Per tutti i bambini con reflusso l'obiettivo è
evitare il danno renale che, se non si è prodotto alla prima
infezione, potrebbe prodursi durante le recidive.
Alcuni
autori ritengono di poter raggiungere questo obiettivo evitando di
ricercare i reflussi ma eseguendo un attento follow up ed un
tempestivo intervento diagnostico terapeutico nelle eventuali
recidive sia nei RVU di alto grado (individuati con l'eco), sia in
quelli, che non conosciamo perché l'eco è negativa,
di basso grado(25).
L'altro
metodo, laprofilassi antibiotica continua, attuata dopo aver
individuato il RVU, è la pratica attualmente più usata
, ma non è stabilito se sia la migliore (27).
Finchè
non saranno definitive le prove di eguale efficacia tra terapia nelle
recidive e la profilassi antibiotica, andrebbe accettata la
profilassi come intervento di scelta nei bambini con reflusso fino
alla regressione dello stesso, almeno nei bambini più a
rischio (fino ai 2 anni di vita).(28,29,30)
Per tutte
queste considerazioni sembra prudente dopo aver eseguito l'ecografia
seguire ancora le indicazioni dell'AAP e ricercare il RVU con una CUM
in tutti i bambini piccoli con diagnosi di IVU (4)
e nei bambini grandi con febbre, dolori lombari o addominali ed
eseguire una profilassi almeno nei bambini in cui la sola infezione o
l'infezione + il reflusso hanno determinato un danno renale.
Il DMSA
eseguito a 6 m di distanza dall'episodio acuto è considerato
il GOLD STANDARD per diagnosticare le cicatrici renali. Ma abbiamo
visto che anche l'ecografia, se eseguita accuratamente, può
dare le stesse informazioni. La differenza in invasività tra i
due esami impone di lavorare attivamente affinchè questa
alternativa al DMSA diventi praticabile anche nei bambini più
piccoli (25).
Riassumendo:
non eseguo ulteriori indagini nei bambini grandi in cui ho
ragionevolmente escluso la pielonefrite (non febbre nè dolori
lombari- addominali). Nei bambini piccoli o grandi con diagnosi di
possibile pielonefrite eseguo una terapia antibiotica a basso
dosaggio fino all'esecuzione di ecografia e CUM. L'ecografia va
effettuata subito se si sospetta una sindrome ostruttiva oppure
insieme alla CUM a distanza di 2-3 mesi dall'episodio. Se ci sono
grosse alterazioni morfologiche indirizzo alle cure chirurgiche se
previste; se c'è una riduzione di diametro e/o un reflusso
di 3°- 5° grado faccio una profilassi antibiotica per 6 mesi,
eventualmente prolungata rivalutando fino a 2 anni le alterazioni
trovate. Tratto con un attento follow-up i bambini con reflusso
minore intervenendo tempestivamente ad ogni sospetto di recidiva.
Riservo l'uso del DMSA ai casi in entrambi i regimi che recidivano.
Nel
nostro studio la diversità di comportamento riguarda anche gli
approfondimenti successivi alla diagnosi: su 33 bambini piccoli con
IVU solo 7 hanno effettuato una CUM, gli altri 26 hanno eseguito solo
l'ecografia (12) o addirittura nessun ulteriore esame (14).
Dato che
la percentuale di RVU in bambini con IVU (in cui il RVU è
stato ricercato con la CUM) è pari al 40%, conforme ai dati
della letteratura (4,
5,31), possiamo presumere che siano stati persi alcuni reflussi.
Per
quanto riguarda le cause di questa diversità, i PdF che
ritengono di dover escludere un RVU si trovano di fronte al problema
dell'affidabilità dell'ecografia renale e vescicale e alla
resistenza dei genitori ad effettuare un esame invasivo come la
cistografia minzionale, ma anche alle diverse indicazioni della
letteratura (27,29,30,32);
in ogni caso questo non spiega i 14 bambini piccoli che non hanno
eseguito ulteriori indagini.
Nei
reflussi trovati, tutti di 3° e 4° grado, le ecografie erano
negative. I nostri dati seppure su piccoli numeri sembrano confermare
la necessità di eseguire una CUM nei bambini piccoli con IVU.
Invece
risulta adeguata la gestione dei bambini più grandi con
disturbi minzionali senza febbre.
In
conclusione questo studio dimostra una grande variabilità nel
sospetto, nell'approccio e nell'approfondimento diagnostico delle
infezioni delle vie urinarie e anche scarsa adesione alle linee guida
ambulatoriali esistenti (4,33,34)
D'altra parte abbiamo visto quanti e quali siano i punti critici
che, anche su un tema così vecchio, debbano essere affrontati
passo dopo passo dal pediatra e siano ancora dibattuti in
letteratura.
Il
mancato uso di procedure e strumenti diagnostici appropriati comporta
potenziali conseguenze dannose: si possono avere delle cicatrici
renali per la mancata diagnosi o per il ritardo nell'inizio della
terapia; si può avere un uso improprio di antibiotici con
aumento delle resistenze batteriche per l'eccesso di diagnosi.
Sebbene i
PdF di Roma non siano rappresentativi della popolazione totale dei
PdF, è verosimile che l'approccio alla IVU debba essere
oggetto ancora di discussione allargata, di progetti formativi, di
produzione di linee guida condivise che, appunto saranno oggetto del
prossimo lavoro.
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