Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Novembre 2005 - Volume VIII - numero 9
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di Terapia
Efficacia
a lungo termine del vaccino contro l'epatite B, nonostante la
presenza di mutanti.
Indirizzo
per la corrispondenza: bartolozzi@unifi.it
Nel marzo
del 2004 si è riunito a Siviglia in Spagna il Viral Hepatitis
Prevention Board (VHPB), di cui fanno parte esperti di ogni parte del
mondo: l'Italia era rappresentata dal professor Alessandro Zanetti
dell'Istituto di Virologia dell'Università di Milano
(FitzSimons D, François G, Hasll A et al. Long.term
efficacy of hepatitis B vaccine, booster policy, and impact of
hepatitis B virus mutants, Vaccine 2005, 23:4158-66 ).
Gli
argomenti della riunione erano i seguenti:
- I programmi d'immunizzazione sono molto efficaci; essi proteggono la popolazione e i soggetti a rischio e tendono all'eliminazione dell'epatite B;
- Il vaccino dell'epatite B protegge per almeno 15 anni contro lo sviluppo della malattia clinica e l'infezione cronica, dovute da tutti i genotipi virali. Le eventuali successive infezioni non si accompagnano a malattia, cioè le infezioni breakthrough (cioè le infezioni che insorgono in soggetti vaccinati) non hanno significato clinico;
- Sulla base di dati disponibili non ci sono prove scientifiche per la somministrazione di dosi di richiamo con il vaccino contro l'epatite B in soggetti completamente immunizzati;
- L'uso del vaccino contro l'epatite B, il primo vaccino anticancro, riduce l'incidenza del carcinoma epatocellulare;
- Sebbene i virus dell'epatite B mutanti abbiano correntemente scarso significato clinico, il monitoraggio regolare rimane importante per determinare se la vaccinazione fallisse nel prevenire l'infezione da parte dei mutanti. Se questo avvenisse, sarebbe necessario rivedere le politiche d'immunizzazione.
Efficacia
di lungo termine della vaccinazione contro l'epatite B ed efficacia
dei programmi d'immunizzazione
Molti
studi pubblicati documentano che l'efficacia del vaccino contro
l'epatite B dura almeno 15 anni, ma già alcuni studi parlano
di 20 anni e più
In una
coorte di 1200 bambini vaccinati (Ling YC et al, J Infect Dis 2003,
187:134-8), sebbene la concentrazione di anticorpi anti-HBs sia
calata al di sotto delle 10 mUI/mL, la memoria immunologica risultava
ben presente e nessuno degli 11 bambini che avevano avuto ugualmente
un'infezione da virus dell'epatite B (HBV) risultarono positivi
per HBsAg o avevano la presenza di HBV DNA. L'uso di una dose di
richiamo in un sottogruppo di soggetti elicitò una risposta
rapida e massiva di anticorpi anti-HBs (risposta anamnestica),
indicando che una procedura del genere non è necessaria per
fornire protezione contro le infezioni croniche da HBV nella
popolazione, almeno per ora, al di sotto dei 15 anni
dall'immunizzazione
La
dimostrazione di un'infezione da HBV in un soggetto vaccinato,
viene dimostrata dalla presenza dell'anticorpo anti-HBc, in
soggetti che, essendo stati vaccinati, avrebbero dovuto presentare
solo la positività per anti-HBs, a livelli più o meno
alti, oppure dopo molti anni la sua completa assenza.
La
diminuzione nella popolazione dello stato di portatore e la
contemporanea riduzione nell'incidenza del carcinoma epatocellulare
indicano la diminuzione della pressione dell'HBV: l'infezione da
HBV deve essere controllata anche con altri mezzi, come il
miglioramento delle condizioni socio-economiche e ambientali.
Da
ricerche condotte in Alaska (McMahon BJ et sal, Ann Intern Med 2005,
142:333-41) su 1630 persone, è risultato che 62 di queste
avevano avuto un richiamo naturale (cioè un'infezione
asintomatica da HBV) ma nessuna di esse aveva anticorpi anti-HBc
dimostrabili. Studi ulteriori dimostrarono che il titolo di anticorpi
anti-HBs dipende dall'entità della risposta iniziale: cioè
più alto è il titolo dopo la vaccinazione e maggiori
sono i titoli a distanza di 5 anni. Il tempo per la caduta dei titoli
al di sotto delle 10UI/mL fu significativamente più lungo nei
lattanti che avevano ricevuto il vaccino plasma.derivato in confronto
con quelli che avevano ricevuto il vaccino ricombinante. A distanza
di 15 anni 6 persone sui 1630 erano positive per DNA HBV: l'analisi
del DNA virale indicava che l'infezione era dovuta a un virus di
tipo selvaggio solo in due casi su sei, gli altri quattro avevano il
virus che aveva dato l'infezione presentava una sostituzione
nucleotidica del tipo “vaccine-escape”, cioè si trattava
di una mutante, verso la quale la vaccinazione era incapace di agire.
In Italia
nel 2003, 12 anni dopo l'introduzione della vaccinazione
obbligatoria contro l'epatite B, viene calcolato che siano stati
vaccinati più di 12 milioni di bambini, con una caduta
drammatica dell'epatite B nei soggetti da 15 a 24 anni e senza
alcun caso di epatite fra i vaccinati (Mele A et al, J Med Virol
2002, 67:440-3). Pochi casi di infezioni breakthrough (cioè la
comparsa di malattia in soggetti regolarmente vaccinati) erano legati
alla presenza di mutanti virali dell'HBV in soggetti con trapianto
di fegato; tuttavia questi virus mutanti non rappresentano al momento
attuale un problema di salute pubblica.
La
memoria immune e la politica dei richiami
La
dettagliata analisi delle risposte immuni HBsAg-specifiche dimostra
che nell'epatite B acuta, le cellule secernenti anti-HBs circolano
in numero elevato già molte settimane prima della
sieroconversione e che queste cellule più tardi migrano negli
organi linfoidi, dove continuano a produrre anticorpi. Durante la
sieroconversione è presente invece uno sviluppo debole delle
risposte riguardanti le cellule T citotossiche e le cellule T helper.
Nei portatori cronici di epatite B, all'interno dei complessi
immuni sono presenti anticorpi anti-HBs e anti-preS, un rilevo che è
contrasto con il dogma che nei portatori cronici non viene prodotto
l'anticorpo anti-HBs.
Le
risposte forti dei linfociti B nelle infezioni acute e croniche
mediano la neutralizzazione dell'HBV e riducono la diffusione del
virus, fornendo un'immunità protettiva. Le deboli risposte
delle cellule T-helper e dei linfociti T citotosici nelle infezioni
acute e croniche dimostrano d'altra parte il loro ruolo limitato
nel controllo immune della moltiplicazione virale e significano che
l'immunità delle cellule T verso il core e la polimerasi è
cruciale.
Complessivamente
la conclusione è che gli antigeni del rivestimento dell'HBV
sono utilizzabili per i vaccini protettivi o come adiuvanti per
vaccini terapeutici, ma non per l'uso nei vaccini terapeutici di
per sé.
Sulla
base di estese ricerche in ogni parte del mondo sulla cinetica della
risposta anticorpale anti-HBs e sul suo declino, è stato
osservato che la terza dose di vaccino nella schedula (0, 1 e 6 mesi)
determina una estesa e rapida risposta nel livello anticorpale, tanto
da poter essere considerata come una dose di richiamo. Prontamente si
stabilisce la memoria immunologica, che determina l'altezza e la
persistenza della risposta anticorpale. Dopo 10-15 anni dalla prima
vaccinazione, il titolo in anti-HBs cade a meno di 10 mUI/mL nel
10-50% dei vaccinati. Chiaramente la protezione dalle malattie
clinicamente importanti dura più a lungo della presenza degli
anticorpi dimostrabili. I titoli anti-HBs discendono dall'altezza
della risposta iniziale e la loro diminuzione è esponenziale,
con una metà vita che cresce nel tempo. In quasi tutti gli
studi, la rivaccinazione dopo 10-13 anni determina una risposta in >
95% del soggetti. Di nuovo i titoli che si ritrovano dopo la
rivaccinazione sono direttamente in relazione con l'altezza della
risposta iniziale, ma anche con la dose di antigene presente nel
richiamo. Si hanno risposte sia delle cellule B che T; prove efficaci
e sensibili vengono usate solo di rado per dimostrare la memoria
immunologica invece della risposta anamnestica. I meccanismi basilari
della memoria immunologica comprendono evidentemente una complessa
interazione fra cellule B della memoria, cellule T della memoria,
linfociti T citotossici della memoria e complessi antigene-anticorpo.
Il
capitolo dei richiami naturali divide ancora la comunità
scientifica nella valutazione della loro importanza nel proteggere la
popolazione. In Cina la continua esposizione all'HBV porta a
persistenti richiami naturali e quindi a persistente protezione.
D'altra parte la mancanza della pressione infettiva non porta a
richiami naturali e quindi ne consegue una mancanza di protezione,
come negli Stati Uniti, nell'Europa occidentale, dove l'endemicità
dell'epatite B è bassa e dove non ci dovrebbe essere
infezione.
E'
necessario valutare con precisione cosa succede nella diffusione
dell'HBV, quando sia in atto l'emigrazione di persone da aree
ipernedemiche (Europa dell'est, Medio Oriente, Africa e Asia),
verso aree a bassa endemicità.
Mentre
soggetti immunocompetenti, che abbiano ricevuto la vaccinazione
primaria con tre dosi, non hanno bisogno di richiami anche dopo 15
anni, i soggetti immunocompromessi debbono essere regolarmente
saggiati per valutare il titolo in anti-HBs e dare un richiamo quando
il titolo cade al di sotto delle 10 mUI/mL (European Consensus Group
on Hepatitis B Immunity, Lancet 2000, 355:561-5). Un'altra
potenziale categoria di soggetti immunocompromessi da sottoporre a un
richiamo sono quelli che non sono stati studiati per la
determinazione del livello di anticorpi anti-HBs un mese dopo la
vaccinazione, che non hanno dimostrabili livelli di anticorpi quando
testati, perché essi hanno un elevato rischio di esposizione
all'HBV.
Virus
mutanti
Sono
state isolate numerose mutanti di virus dell'epatite B, con
mutazioni a carico delle diverse parti del genoma virale.
Il cambio
di alcuni nucleotidi, a livello degli epitopi, permette al virus di
sfuggire agli effetti della vaccinazione. Vi sono state descrizioni
di neonati, figli di madri HBeAg positive, che sviluppano infezionibreakthrough nonostante avessero ricevuto sia
l'immunoprofilassi attiva (vaccino) che quella passiva (IgG
specifiche anti.-HBV): alcuni di questi casi sono stati attribuiti a
ceppi di HBV con mutazioni nel determinante antigenico a dell'HBsAg,
tali da determinare un legame debole con l'anticorpo
anti-HBs.(Shizuma T et al, J Gastroenterol 2003, 38:244-53).
Uno
studio esteso nei bambini vaccinati a Singapore (Oon CJ et al, J
Viral Hepat 1998, 5(Suppl 2):17-23) ha dimostrato che l'antigene e
l'anticorpo possono coesistere e che le mutanti possono persistere
per almeno 13 anni.
Vi sono
prove che dimostrano che mutanti HBsAg possono causare infezioni
persistenti ed essere associate a epatite cronica.
I virus
mutanti possono infettare anche soggetti non vaccinati.
L'OMS
raccomanda la creazione di una rete mondiale indipendente per il
monitoraggio di tali mutanti.
Al
momento attuale i vaccini attuali contro l'HBV sono sicuri ed
efficaci e non ci sono prove che debbano essere aggiunti ai vaccini
nuovi antigeni al vaccino. E' tuttavia necessario che vengano
migliorate la sensibilità e la specificità delle prove.
Rimangono
le questioni sulla prevalenza e sull'importanza dei virus mutanti
nel futuro:
- La pressione selettiva porterà a un aumentato numero e varietà di mutanti ?
- Quali strategie adottare contro un eventuale aumento delle mutanti ?
E'
necessario studiare e monitorare la trasmissibilità,
l'infettività e le conseguenze della malattia data da tali
virus.
Quanto è
successo di recente (allontanamento dal mercato del vaccino combinato
Hexavac) conferma la necessità di monitorare di continuo la
risposta immunitaria dei soggetti vaccinati, soprattutto a distanza
di tempo dalla vaccinazione.
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