Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Marzo 2013 - Volume XVI - numero 3
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- Per una malattia rara, una bambina diventa come una statua
Aids, con cure precoci guarisce neonata
Idratazione può prevenire sovrappeso bimbi
7 adolescenti su 10 bevono energy drink, 7 litri/mese
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- Per una malattia rara, una bambina diventa come una statua
Aids, con cure precoci guarisce neonata
Idratazione può prevenire sovrappeso bimbi
7 adolescenti su 10 bevono energy drink, 7 litri/mese
Con lo sport bimbi meno stressati da “verifiche scolastiche” class='share-popup' target='_blank'>Condividi su Facebook
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Striscia... la notizia
1Clinica
Pediatrica, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste
2Redazione
di Medico e Bambino
Indirizzo
per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it;
brunoi@burlo.trieste.it;
alessandra.perco@gmail.com
![]() |
Pediatri,
dermatite colpisce il 43% degli under-5
![]() "La
dermatite atopica - ha spiegato il presidente della Fimp,
Giuseppe Mele - è la più diffusa delle malattie
dermatologiche in età pediatrica". E le malattie
della pelle, aggiunge Giuseppe Ruggiero, referente nazionale
della rete dermatologica Fimp, rappresentano ormai "il
20-30% delle visite che ogni pediatra esegue, con una maggior
prevalenza di dermatite atopica. I disturbi maggiori (prurito,
eczemi, secchezza diffusa, perdita di compattezza e turgore,
comedoni e punti neri, brufoli, specie nelle zone a maggior
rischio di dermatite come mani e viso, o gambe e le ginocchia,
più soggette allo sfregamento dei vestiti) si possono
"prevenire o lenire educando i genitori al corretto
trattamento della patologia, dall'uso costante di creme
emollienti contro la secchezza cutanea o di prodotti specifici in
caso di lesioni infiammatorie". Fondamentale anche una dieta
corretta, sana e bilanciata, "ricca di frutta e verdure (per
assumere vitamine e sali minerali), pesce, grassi di origine
vegetale, fibre e cereali" e "arricchita da un buon
apporto di acqua e da un limitato consumo di bevande zuccherate e
cibi troppo raffinati, particolarmente importante in inverno
quando la pelle è privata dei benefici del sole".
Anche per questo i pediatri hanno messo a punto il test di
screening, 'NutricheQ', nato da un progetto della scuola Fimp
U-TRE (acronimo di Uno-Tre anni): si tratta di un questionario
per i genitori, il test, integrato da una serie di guide che
possono essere fornite alla famiglia per ogni fattore di rischio
individuato, che aiuta il pediatria a individuare coloro che
potrebbero necessitare di maggiore supporto o informazioni in
merito a determinati aspetti della nutrizione del bambino.
Cosa
fare (e non fare) se un bambino rischia di soffocare per
l'inalazione di un oggetto o di cibo? Da Montecarlo il progetto
di Fimp e Società di medicina e d'emergenza per formare
personale “laico” e moltiplicare le potenzialità
nel soccorso
Una
rete di maestre, mamme, babysitter e pediatri per sapere come
intervenire sui bimbi a rischio soffocamento: è quanto si
appresta a lanciare la Federazione dei pediatri Fimp insieme alla
Società di Medicina ed emergenza dei medici pediatri.
Insegnare le manovre giuste per salvare un bambino che sta per
soffocare a causa dall'inalazione di un corpo estraneo: che sia
cibo o un giocattolo, questa è, dopo gli incidenti
stradali, la causa di morte accidentale più frequente tra
i piccoli fino a 4 anni di età. Cinquanta famiglie ogni
anno sono distrutte da un simile evento, che resta una delle
paure più frequenti di madri e padri. Le stime parlano di
450 eventi l'anno, circa 300 tra o e 14 anni, quasi un caso di
ogni giorno, e 50 i morti, quasi uno a settimana.
"Vogliamo creare una Rete nazionale per informare e formare personale: nelle scuole per gli insegnanti, tra il personale dei nidi e gli assistenti sociali dei bambini diversamente abili, nella case per genitori, nonni e babysitter", spiega il presidente Fimp, Giuseppe Mele. "Si può fare", un "We can" in stile Obama, una chiamata alla responsabilizzazione per salvare delle vite: "È semplice sapere cosa fare e soprattutto cosa non fare in queste situazioni". "Ecco, mentre in Italia solo il 5 per cento della popolazione è informata, negli Usa siamo già al 60 per cento, coinvolgendo persino i teenager nelle scuole. LA
CULTURA DELLA PREVENZIONE - È questa la logica: prima
di tutto rendere sicuri i luoghi dove vivono i bambini, avere
cura e valutare la grandezza degli oggetti che li circondano
(dadi, monetine, caramelle, parti di giocattolo, palline di gomma
ma anche noccioline, arachidi, acidi di uva, tappi di biro o
penne....), eliminare tutti quegli oggetti che hanno un diametro
inferiore ai 4,5 centimetri, considerati a rischio soffocamento
da inalazione (esiste anche un oggetto, il baby security con un
foro centrale: se gli oggetti passano attraverso questo foro,
debbono essere portati lontani dalla accessibilità
dei bambini). Quando un corpo estraneo blocca le prime vie
respiratorie ostacolando il libero passaggio dell'aria vi sono
alcune cose che non bisogna assolutamente fare nell'immediato:
non mettere le dita in bocca al neonato, né metterlo a
testa in giù, ritardare la chiamata al 118. Prima di tutto
bisogna aspettare che i meccanismi naturali di espulsione, con la
tosse, facciano il loro "lavoro". Sconsigliata
qualsiasi manovra in questa fase chiamata di ostruzione parziale
delle vie aeree (respiro difficile, emissione di suoni e tosse,
pianto): il bambino va tranquillizzato, incoraggiato a tossire,
lasciato nella posizione che preferisce. In caso invece di
ostruzione completa (smette di respirare, non emette suoni, non
tossisce) occorre tentare di creare una tosse artificiale, avendo
già allertato il 118. Le semplici manovre da fare in
questo caso sono diverse in caso di lattante o di bambini sopra
un anno di età. Ma se invece il piccolo non è
cosciente bisogna intervenire con altre manovre, quelle di
rianimazione cardiopolmonare, sdraiandolo su una superficie piana
e rigida.
LA RETE - Questo primo corso a Montecarlo, nell'ambito delle Scuole di Alta formazione post-specialistica Fimp, ha visto una forte partecipazione: 50 pediatri, ma anche due genitori. I progetti sono in avanzata fase di realizzazione: "Il 15 marzo a Taranto", "A Roma siamo definendo il programma, nell'ambito del progetto Roma capitale, per la formazione negli asili nido delle maestre, circa seimila", precisa il presidente Mele, " poi con aziende private, come Telecom e Banca Intesa, e nel futuro pensiamo con le Ferrovie al pediatra in treno, ribaltando il concetto di professionisti chiusi in ambulatorio. Noi andiamo per strada, sul territorio". Gli appuntamenti e le iniziative aperte anche a non sanitari sul portale www.fimp.org Finanziato
da Ue, coinvolti Asl Bari e centri clinici italiani
Finanziato
dall'Unione Europea, parte in questi giorni il progetto di
ricerca Emtics (European multicentre tics in
childrenstudies) che vede coinvolti il servizio territoriale
di Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza della Asl di
Bari (unica Asl italiana del progetto), in collaborazione con il
laboratorio di analisi dell'ospedale Di Venere di Bari, e il
dipartimento di Scienze biomediche ed oncologia umana
dell’Università di Bari. Il progetto Emtics ha lo
scopo di individuare i fattori di suscettibilità genetici
e ambientali dei disturbi da “Tic e della Sindrome di
Tourette”. Quest'ultima è un disturbo
neuro-comportamentale caratterizzato dalla presenza contemporanea
di più tic motori e almeno un tic sonoro. Il disturbo si
presenta di solito in età scolare, prima dei 18 anni;
spesso c’è una origine genetica, tanto che in più
del 50% dei casi sono presenti segni di ereditarietà. Il
progetto Emtics è realizzato con la collaborazione di 27
partner provenienti da 11 Paesi (Italia, Svizzera, Germania,
Olanda, Spagna, Regno Unito, Ungheria, Israele, Belgio, Grecia e
Danimarca). Insieme alla Asl di Bari, fanno parte del progetto
anche due centri clinici italiani, quelli di Neuropsichiatria
dell'infanzia e dell'adolescenza delle università di
Catania e della Sapienza di Roma.
I
disturbi del linguaggio, se non diagnosticati e trattati, possono
causare ai bambini problemi emotivi, isolamento e difficoltà
scolastiche. Ecco cosa fare.
Colpiscono
il 3% della popolazione, ma si rilevano soprattutto nei bimbi tra
i due e i sei anni, dove si toccano punte del 7%. Sono i Disturbi
Specifici del Linguaggio (DSL), cioè la difficoltà
di acquisire e articolare le parole e a comprenderle ed
esprimersi correttamente. Condizioni che tendono a isolare il
bambino a causa di anomalie della sua capacità linguistica
che limita le relazioni interpersonali e può causare
disturbi emotivi e comportamentali. Tali disturbi sono la
principale conseguenza dei problemi di apprendimento a scuola
della lettura e scrittura. Per far conoscere questi problemi, in
occasione della Giornata Europea della Logopedia del 6 marzo,
sotto lo slogan Libera Le Parole, la Federazione Logopedisti
Italiani (Fli), in sinergia con il Comitée Permanent de
Liaison des Orthophonistes-Logopèdes de l’Union
Europeénne (CPLOL), ha organizzato numerose iniziative su
tutto il territorio nazionale.
«I Disturbi Specifici del Linguaggio – spiega Tiziana Rossetto, presidente FLI – non sono conseguenti a patologie neurologiche centrali o periferiche, né a danni organici dell’apparato articolatorio e non riguardano deficit intellettivi o situazioni di svantaggio socio-culturale Le ultime ricerche scientifiche confermano la sua origine neurobiologica: uno dei dati più importanti è che vi è un’alta percentuale di familiarità, stimata al 70%». Hanno espressioni diverse riconducibili a tre categorie: 1. disturbo specifico dell’articolazione, in cui il bambino pronuncia male o non è in grado di pronunciare alcuni suoni che dovrebbero già essere presenti alla sua età 2. disturbo del linguaggio espressivo, in cui il bambino costruisce in modo alterato le parole (esempio poto al posto di topo) o le frasi (bimbo mangia no per il bimbo non mangia) rispetto a un coetaneo, pur comprendendo quello che gli viene detto 3. disturbo della comprensione del linguaggio, in cui le difficoltà di linguaggio sono decisamente più importanti e il bambino fatica a elaborare sia le informazioni in entrata (difficoltà di comprensione) sia quelle in uscita (difficoltà di espressione). Teoricamente
si conoscono le varie tappe dello sviluppo linguistico e l’età
media in cui vengono raggiunte, ma, l’età
esatta in cui il singolo bambino le raggiungerà può
variare molto, e ciò dipende dalle abilità
innate del piccolo ma anche dalla realtà linguistica in
cui è immerso. Questo fa si che sia difficile
prevedere con certezza come procederà lo sviluppo
linguistico di un determinato bambino.
Vi sono, tuttavia, alcuni fattori di rischio che, se presenti nella fasci di età tra i 18 e i 30 mesi, fanno ipotizzare un possibile ritardo di linguaggio futuro, essi sono: 1. basso livello di comprensione linguistica: la comprensione del linguaggio parlato è un’abilità che generalmente precede la capacità di esprimersi 2. un ridotto uso della gestualità 3. l’età della diagnosi: più il problema viene riconosciuto tardivamente più sarà difficile porvi rimedio 4. velocità dei progressi nello sviluppo del linguaggio: ampliamento progressivo del vocabolario, comparsa di strutture frasali via via più complesse, eccetera. Se siete preoccupati per lo sviluppo linguistico di vostro/a figlio/a l’ideale è rivolgersi a uno specialista per la prima valutazione, senza aspettare di arrivare a ridosso della scuola primaria di primo grado perché poi potrebbe non essere sufficiente il tempo a disposizione per recuperare il gap linguistico. Il logopedista può somministrate test specifici per valutare lo sviluppo linguistico di vostro figlio, sia in comprensione che in produzione, analizzare il linguaggio in diverse situazioni, riconoscere eventuali fattori che possono rallentare lo sviluppo linguistico e consiglia il genitore sul percorso più idoneo da intraprendere. Dal 3 al 9 marzo è aperto un filo diretto con i logopedisti italiani: basterà chiamare il numero 049.8647936 o inviare una email a info@fli.it. ![]() Per la loro ricerca, Bowers e McCarthy sono partiti dalle scoperte relative al gene FOXP2, di cui nel 2001 era stato individuato il ruolo fondamentale sia per le vocalizzazioni negli animali sia per il linguaggio negli esseri umani. Nell’uomo, per esempio, la proteina per cui codifica, FOXP2, mostra una piccola differenza, di due soli amminoacidi, rispetto a quella che si osserva negli scimpanzé, ma è identica alla versione rilevata nel genoma dell’uomo di Neanderthal, suggerendo che anche i nostri antichi cugini avessero un linguaggio articolato. Anche
il sangue scade, come un farmaco, e perde la capacità di
essere efficace e fornire il nutrimento in ossigeno necessario
alle cellule ove necessita. Questo processo di deterioramento
avviene più velocemente di quanto si pensava fino a oggi.
Un po’ come per i cibi o, meglio, i medicinali, anche il
sangue ha una sua scadenza.
Un periodo di tempo in cui è ancora da ritenere efficace e che, dopo il quale, perde di qualità non avendo più globuli rossi capaci di fornire cellule ricche di ossigeno laddove si renda necessario. Questo processo di deterioramento, che avviene fin dall’inizio del prelievo, si mostra più evidente dopo sole tre settimane – anche se avviene gradatamente – contro le 6 settimane che si pensava fossero necessarie. Secondo i ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine, infatti, i globuli rossi del sangue conservato perdono la flessibilità necessaria per passare attraverso i piccoli capillari del corpo umano per fornire ossigeno ai tessuti, già tre settimane prima. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Anesthesia & Analgesia e mostra altresì che questa perduta capacità del sangue non viene recuperata dopo una trasfusione – che si tratti di pazienti che ne hanno avuto necessità sia durante che dopo un intervento chirurgico, o altro. «Ci sono sempre più informazioni che ci dicono come la durata di conservazione del sangue non possa essere di 6 settimane: che è quello che le banche del sangue considerano come tempo standard – sottolinea l’autore principale dello studio Steven M. Frank, professore associato di Medicina e Anestesiologia. Il problema della “freschezza” del sangue è più diffuso di quanto si pensi: infatti le banche del sangue non hanno abbastanza sangue fresco per tutti. Se poi si prendesse atto che il sangue “scade” prima, anche le scorte a disposizione diminuirebbero ancora. La questione diventa pertanto se sia più importante avere maggiore sangue a disposizione, ma non più, o quasi, efficace o avere meno sangue ma più fresco ed efficace. La qualità del sangue non è da pendere sottogamba perché spesso è più determinante che non la quantità, fanno notare i ricercatori. Un precedente e ampio studio pubblicato nel New England Journal of Medicine aveva invero già dimostrato che i pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca che avevano ricevuto sangue conservato per più di tre settimane avevano avuto quasi il doppio di probabilità di morire, rispetto ai pazienti che hanno ricevuto sangue che era stato conservato per soli 10 giorni. La tendenza delle case che forniscono le placche di sangue è un po’ come quella dei negozianti di alimenti – commenta il prof. Frank – che mettono davanti alle altre le confezioni più vecchie, che scadono prima. Questo comporta che i pazienti spesso devono fare i conti con sangue più vecchio o prossimo alla scadenza. I
bambini dovrebbero fare almeno un'ora al giorno di moto
''Le
malattie cardiovascolari da trombosi, come infarto, ictus,
embolia e trombosi, sono l'epidemia dei nostri giorni e ogni anno
in Italia colpiscono 600 mila persone. Sono la prima causa di
morte nei paesi industrializzati. Per questo è bene
prevenirle fin dall'infanzia, con alimentazione sana e attività
fisica''. ''L'attività fisica e sportiva sono fondamentali
per ridurre il rischio cardiovascolare, e insieme
all'eliminazione del fumo e il controllo del peso sono la
strategia vincente contro quest'epidemia che ci colpirà
nei prossimi 20 anni''. Iniziare a muoversi fin da piccoli è
fondamentale, e basta poco. Andare a scuola camminando riduce il
peso corporeo e migliora la situazione metabolica. Inoltre
andrebbero aumentate le ore scolastiche di attività
fisica. Ogni bambino dovrebbe fare almeno un'ora al giorno di
attività fisica, anche solo correndo in cortile. Senza una
strategia di prevenzione la spesa per la presa in carico di
queste malattie diventerà insostenibile per il Ssn e a
pagarne il prezzo saranno le fasce più povere della
popolazione.
Più
di 360 milioni di persone nel mondo soffrono di disabilità
uditive e perdita di udito. Lo ricorda l'Organizzazione
mondiale della sanità (Oms), in occasione della
Giornata internazionale per la cura dell'orecchio. Secondo i dati
presentati, una persona su tre con più di 65 anni d’età,
per un totale di 165 milioni nel mondo, vive con una perdita
dell'udito. E anche se vi sono strumenti e protesi per farvi
fronte, non ne sono prodotte a sufficienza.
Oltre agli anziani, vi sono anche 32 milioni di bambini sotto i 15 anni colpiti da perdita dell'udito e la causa principale sono infezioni dell'orecchio, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito. La maggior prevalenza di disabilità uditive si ha nell'Asia meridionale e del Pacifico, e nell'Africa sub-Sahariana. Anche malattie infettive come rosolia, meningite, morbillo e orecchioni possono causare la perdita dell'udito, oltre all'esposizione a rumori eccessivi, ferite all'orecchio o alla testa, cause genetiche, problemi durante la gravidanza e il parto, uso di farmaci e invecchiamento. Secondo l'Oms è necessario che i paesi sviluppino programmi di prevenzione della sordità nei servizi di cure primarie, anche con le vaccinazioni contro morbillo, meningite, orecchioni e rosolio, monitoraggi e terapia della sifilide nelle donne in gravidanza e valutazione precoce dell'udito nei bambini. A
Torino, ha 3 anni e mezzo, colpita da calcificazione
È
soprannominata la ''bambina di pietra'' perché tranne gli
occhi e un accenno di sorriso, è rigida come una statua.
Una malattia rara, diagnosticata quando aveva sette mesi, provoca
la calcificazione delle parti molli delle articolazioni. La sua
storia - raccontata oggi sulle pagine locali de La Stampa - è
quella di una bimba a cui non è premesso alcun movimento,
come fosse una bambola rigida. La patologia che l'ha colpita non
ha ancora un nome, pare sia unica al mondo. Si tratterebbe di
un'anomalia genetica che calcifica tutto ciò che sta
attorno alle articolazioni. Gli effetti, però, sono sotto
gli occhi di tutti: le ossa perdono ogni funzione di supporto
motorio rendendo gli arti rigidi e anche fragilissimi. La
malattia è stata scoperta, infatti, dopo la frattura ad un
polso provocata involontariamente dalla mamma mentre la
massaggiava dopo un bagnetto. Da lì il calvario di visite,
esami e la terribile verità. I genitori, lui operaio, lei
casalinga, hanno lanciato un appello essenzialmente per due
motivi. Innanzitutto mettersi in contatto eventualmente con altri
genitori che vivono la loro stessa esperienza, capire se esistono
casi simili a quello della loro bimba. In secondo luogo un aiuto
per una casa nuova, senza barriere architettoniche in modo da
rendere le giornata della piccola almeno un po' più
facile.
Se
confermato, sarà il secondo caso documentato
Una
bimba nata in Mississippi con il virus dell'Aids sembra essere
guarita dopo essere stata curata con un cocktail di medicine sin
dalle prime ore dopo la nascita. Lo hanno reso noto i ricercatori
che hanno seguito il suo caso che potrebbe aprire la strada alla
cura di centinaia di migliaia di bimbi che ogni anno nascono
affetti dall'Aids, soprattutto in Africa. Il caso della bimba del
Mississippi, che ora ha due anni e mezzo, se confermato, scrive
il New York Times, sarà il secondo documentato di un
paziente guarito dall'Aids. Il primo è quello di un uomo
adulto, Timothy Brown, noto come il paziente di Berlino, guarito
nel 2007 dopo un trapianto di midollo osseo. La bimba, hanno
riferito i medici, è stata curata con medicinali
antiretrovirali sin da 30 ore dopo la sua nascita, una pratica
inconsueta.
"Per i pediatri si tratta del nostro Timothy Brown", ha detto la dottoressa Deborah Persaud, del John Hopkins Children's Center, che ha redatto il rapporto sulla bimba e secondo cui si tratta della "prova di principio che possiamo curare l'Hiv se riusciamo a riprodurre questo caso". I ricercatori esortano però alla cautela, sottolineando che al momento si tratta di un caso unico. La pratica stabilita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che un bimbo nato da una mamma infetta dall'Hiv venga curato con una quantità limitata di antiretrovirali per quattro o sei settimane, fino a che il bimbo non risulti a sua volta positivo ad un test, nel qual caso si aumentano le dosi. Nel caso della bimba del Mississippi, quando la sua mamma è andata a partorire in un piccolo ospedale di campagna non sapeva di avere l'Hiv, e quando è risultata positiva al test, la bimba, che era nata da poco più di un giorno, è stata trasferita a un ospedale dove le è stato immediatamente a sua volta praticato il test. Secondo la dottoressa che Hannah Gay, che ha esaminato il risultato, la bimba era stata infettata quando era ancora nel grembo della madre, piuttosto che durante il parto e poiché il livello di infezione era ancora basso ha immediatamente prescritto alla bimba tre differenti farmaci come trattamento, e non come profilassi. I livelli del virus, scrive ancora il NYT, si sono ridotti rapidamente, e dopo un mese non erano neanche più rilevabili. E ancora così fino a che la bimba non ha compiuto 18 mesi. Poi la madre ha smesso di farle fare i test per cinque mesi, ma quando ha ripreso, di nuovo sono risultati negativi. La dottoressa Guy ha quindi fatto sottoporre la bimba ad una serie di testi più sofisticati, che hanno rilevato solo piccole tracce del virus integrate nel materiale genetico, che però non sono in grado di replicarsi. Secondo i medici, la decisione di intervenire con i farmaci sin da poche ore dopo la nascita ha impedito la formazione della cosiddetta riserva virale che ospita il virus e dal momento che il virus non è stato più rilevato nel sangue della bimba, il trattamento è stato quindi sospeso. Poiché da allora non è stato più rilevato il virus, affermano i medici, evidentemente la bimba è guarita. ![]() ''L'intenzione dello studio - commentano gli esperti - era quello di promuovere il consumo d'acqua tra i bambini di età compresa tra i 7 e gli 8 anni puntando sull'informazione e sulla formazione. Lo studio ha permesso di apprezzare come, nei bambini coinvolti attivamente nell'analisi, il rischio di sovrappeso è stato ridotto del 31%''. ''Pieno
caffeina anche per 18% bimbi, moda dilaga tra sportivi
Quasi
sette adolescenti su dieci, il 68% in età 10-18 anni,
consuma energy drink. Tra questi, circa il 12% sono bevitori
''cronici'', con un consumo medio di sette litri al mese, mentre
il 12% risultano ''acuti'' consumatori. A bere bevande
energetiche anche i bambini, tra i tre e i dieci anni con una
media di 0,95 litri a settimana (quasi 4 litri al mese), il 18%
degli intervistati nell'ambito di un rapporto pubblicato oggi
dall'Efsa, l'Autorità europea per la sicurezza
alimentare. Per la prima volta, sottolinea l'Authority con
sede a Parma, lo studio raccoglie i dati relativi alle abitudini
di consumo di bevande “energetiche” a livello europeo
per gruppi specifici di popolazione, compresi i bambini e gli
adolescenti, con l'obiettivo di valutare l'esposizione di queste
categorie ai principi attivi presenti in queste bevande,
principalmente caffeina, la taurina e il D-glucurono-y-lattone.
Gli adulti che optano per gli energy drink sono il 30%, tra
questi circa il 12% ne bevono regolarmente 4-5 giorni alla
settimana o più, con un consumo medio di 4,5 litri al
mese. Circa il 52% degli adulti e il 41% dei consumatori
adolescenti ha dichiarato di consumare bevande 'energetichè
mentre si accinge ad iniziare un'attività sportiva.
Performance
scolastiche migliori in chi fa attività
La
ginnastica è un antidoto allo stress per i più
piccini, li aiuta anche ad affrontare meglio gli eventi
stressanti come verifiche scolastiche o interrogazioni. Lo
dimostra una ricerca su 252 bimbi di otto anni condotta da Silja
Martikainen dell’Università di Helsinki pubblicata
sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism
(JCEM). In precedenti studi la pratica di sport nei bambini è una sana abitudine risultata legata anche ad altri aspetti del benessere del bambino, come le performance scolastiche che in genere sono migliori nei bimbi non sedentari. In questo studio si è voluto vedere se l’attività fisica offrisse vantaggi anche in termini di benessere psicologico. Ebbene è emerso che i bimbi che fanno sport reagiscono meglio agli “stress da esame” e il loro organismo produce meno cortisolo, segno che la ginnastica è un ottimo cuscinetto ammortizzatore naturale per tamponare lo stress. |
Questa
rubrica si propone di fornire notizie di interesse sanitario generale
e brevi aggiornamenti dalla letteratura pediatrica “maggiore".
Lo scopo è che il lettore abbia la sensazione di sfogliare un
giornale scegliendo i titoli che più lo interessano: nessuna
pretesa pertanto di sistematicità e di commento che va oltre
il breve riassunto di quelli che sono i principali risultati e le
possibili implicazioni pratiche o di ricerca. Si parla di opinioni di
giornalisti, novità dalla letteratura, e come tali vanno
lette: la storia ci insegna che ogni commento, ogni ultima novità,
non va considerata una verità assoluta né applicata
l’indomani, ma va presa come un aggiornamento da far maturare
nel cassetto attendendo le conferme e i cambiamenti di opinione che
solo il tempo e l’esperienza possono fornire. Questa premessa è
anche un invito ai lettori a essere parte attiva della rubrica. Vi
chiediamo di suggerirci articoli/news/pubblicazioni che avete avuto
modo di leggere e che ritenete meritevoli di segnalazione (scrivete a
valentina_aba@yahoo.it;
brunoi@burlo.trieste.it;
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