Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

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a cura di Maria Valentina Abate

UOC di Pediatria, Ospedale di Treviglio (Bergamo)

Indirizzo per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it

Sommario

Tumori: AIEOP, diritto all’oblio per 50mila giovani guariti

Ok della Commissione Europea a un anticorpo monoclonale per l'asma grave in bambini 6-11 anni

Virus respiratorio sinciziale: -84% di rischio per il bimbo vaccinando la mamma in gravidanza

Morbillo, l’allarme di UNICEF e OMS: casi aumentati del 79%, rischio di epidemie

Trombosi nei bambini, crescono i casi nei piccoli ospedalizzati

Percorso diagnostico in caso di sospetto ipostaturalismo

Violenza sulle donne durante la pandemia. I PS pediatrici possono aiutare la rilevazione e la prevenzione

Atrofia muscolare spinale tipo 1: nuovi dati importanti per risdiplam dallo studio Firefish


Tumori: AIEOP, diritto all’oblio per 50mila giovani guariti

“Rischiano discriminazioni per mutui, assicurazioni e sul lavoro”

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Rischiano discriminazioni nell’accesso a servizi come l’ottenimento di mutui, la stipula di assicurazioni sulla vita, l’assunzione in un posto di lavoro e l’adozione di un figlio: si tratta dei quasi 50mila giovani in Italia guariti da un tumore diagnosticato in età pediatrica.

È la denuncia dell’AIEOP (Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica), che ha scelto di supportare pubblicamente la Campagna di sensibilizzazione avviata dall’AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) per il Diritto all’Oblio.
L’Oncologia pediatrica italiana, si legge in una nota dell’AIEOP, vuole quindi affiancare l’Oncologia medica in un percorso comune per promuovere una legge che tuteli le persone che hanno avuto una neoplasia.
“Il fatto di essere guarito da un cancro - dichiara Andrea Ferrari, oncologo pediatra, coordinatore del Gruppo di lavoro Adolescenti dell’AIEOP - diventa uno stigma, un peso rilevante per la vita sociale. Diventa naturale chiedersi del perché la società - banche, assicurazioni, datori di lavoro o altro - debba essere liberamente a conoscenza di questa informazione.
Del perché la società non possa ‘dimenticarsi’ della pregressa malattia”. L’AIEOP ricorda che grazie al miglioramento del percorso di diagnosi e cura, sempre più bambini e adolescenti con patologia oncologica possono guarire in base a una proporzione che cresce di circa il 3% ogni anno. Nel dettaglio, si stima che in Europa vivano dai 300.000 ai 500.000 individui guariti da un tumore che li aveva colpiti in età pediatrica, di cui appunto circa 50.000 in Italia, con un’età media di 25-29 anni. Alla guarigione dal loro tumore, però, non sempre corrisponde la possibilità di vivere una vita con le stesse opportunità sociali dei loro coetanei. “Occorre ricordare - spiega Andrea Ferrari, coordinatore del gruppo inter-societario di AIEOP e AIOM dedicato ad adolescenti e giovani adulti - come il web conservi per un periodo indefinito tutto ciò che viene condiviso, che rimane visibile potenzialmente a chiunque. È un paradosso che poi i giovani pazienti si accorgano, magari anni dopo, che sarebbe invece meglio che la loro storia venisse dimenticata per poter tornare davvero a una vita sociale normale e per avere le stesse opportunità dei loro coetanei. Si tratta di un vero e proprio diritto a essere dimenticati”.


Ok della Commissione Europea a un anticorpo monoclonale per l'asma grave in bambini 6-11 anni

Con infiammazione tipo 2. Sicuro e migliora funzionalità polmoni

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La Commissione Europea ha approvato un anticorpo monoclonale, dupilumab, per il trattamento di bambini dai 6 agli 11 anni con asma grave, causata da infiammazione di tipo 2, quella cioè caratterizzata da un aumento degli eosinofili nel sangue o di ossido nitrico espirato frazionato, non controllati con corticosteroidi inalatori ad alte dosi.

L’asma è una delle malattie croniche più comuni nei bambini
Nonostante il trattamento con corticosteroidi inalatori e broncodilatatori, alcuni continuano ad avere tosse e difficoltà respiratorie, con esacerbazioni potenzialmente pericolose e limitazioni in attività quotidiane come frequentare la scuola e fare sport. Dupilumab è già approvato in Italia per pazienti da 12 anni in su con asma grave con infiammazione di tipo 2, condizione che contribuisce a scatenare anche altre complicazioni come poliposi nasale, rinite allergica, allergie alimentari, dermatite atopica. Con il via libera della Commissione, il farmaco biologico è ora approvato in Europa anche come trattamento di mantenimento e aggiuntivo tra 6 e 11 anni. L’approvazione si basa sui dati di fase 3 che dimostrano che, anche in questa popolazione, dupilumab è sicuro e in grado di ridurre significativamente le riacutizzazioni di asma grave e migliorare la funzione polmonare.
“La prospettiva di poter contare a breve anche nel nostro Paese - spiega Giorgio Piacentini, ordinario di Pediatria all’Università di Verona - su una nuova opzione terapeutica rappresenta un passo avanti”. Oltre a migliorare la propria funzione polmonare, afferma Naimish Patel, Head of Global Development, Immunology and Inflammation di Sanofi, “i pazienti inclusi nello studio hanno potuto ridurre l’utilizzo di corticosteroidi orali. Questo è significativo, perché sono farmaci che a lungo termini possono comportare rischi in termini di sicurezza”. Dupilumab, conclude George D. Yancopoulos, presidente e Chief Scientific Officer di Regeneron, “è l’unico trattamento a oggi disponibile in grado di bloccare i due driver chiave dell’infiammazione di tipo 2, IL-4 e IL-13 che giocano un ruolo importante nell’asma infantile”.


Virus respiratorio sinciziale: -84% di rischio per il bimbo vaccinando la mamma in gravidanza

La vaccinazione in gravidanza fornisce anticorpi anche al bambino

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Un vaccino somministrato alla mamma nell’ultimo trimestre di gravidanza è in grado di proteggere il bambino dal virus respiratorio sinciziale nei primi mesi di vita, riducendo il rischio di malattia di oltre l’80%.
È quanto emerge da una sperimentazione su un candidato vaccino di Pfizer (denominato RSVpreF) i cui risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Lo studio si basa sui dati di circa 400 donne che hanno ricevuto il vaccino tra la ventiquattresima e la trentaseiesima settimana di gravidanza. La ricerca ha confermato la sicurezza del prodotto, che non comportava rischi particolari per la mamma né per il nascituro; sono stati riscontrati inoltre alti livelli di anticorpi neutralizzanti contro il virus respiratorio sinciziale sia nel siero delle donne, sia nel sangue estratto dal cordone ombelicale del bambini.
Buoni anche i dati sull’efficacia: i ricercatori hanno seguito dopo la nascita i figli di donne vaccinate riscontrando 3 sole infezioni da virus respiratorio sinciziale, di cui 1 grave su 405 bambini monitorati. Nel gruppo di controllo, che contava 103 bambini, le infezioni sono state 5, 3 delle quali in forma severa. Secondo l’analisi dei ricercatori, questi dati corrispondono a una riduzione dell’84,7% del rischio di infezione e del 91,5% delle forme severe tra i vaccinati.
“I dati sierologici e di efficacia iniziale suggeriscono che la vaccinazione materna con il vaccino RSVpreF durante la gravidanza ha la capacità di proteggere i bambini dall’infezione da virus respiratorio sinciziale fino ai primi 6 mesi di vita”, scrivono i ricercatori.
A inizio marzo, il vaccino ha ricevuto dalla Food and Drug Administration americana la designazione di breakthrough therapy, che consente un’accelerazione delle procedure di sviluppo e di valutazione in vista di un’eventuale approvazione.


Morbillo, l’allarme di UNICEF e OMS: casi aumentati del 79%, rischio di epidemie

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La Campagna di vaccinazione a Marib City, Yemen, a novembre 2021 (foto © UNICEF/UN0565937).

Le Agenzie hanno registrato 21 grandi e dirompenti focolai di morbillo in tutto il mondo negli ultimi 12 mesi. Nel 2020 sono 23 milioni i bambini non raggiunti dalle Campagne vaccinali.
UNICEF e Organizzazione Mondiale della Sanità lanciano l’allarme: l’aumento dei casi di morbillo nei mesi di gennaio e febbraio 2022 è un segnale preoccupante dell’aumento del rischio di diffusione delle malattie prevenibili con vaccino e potrebbe innescare focolai più grandi, che colpiranno milioni di bambini nel corso dell’anno.
Sono quasi 17.338 i casi di morbillo riportati in tutto il mondo a gennaio e febbraio 2022, rispetto ai 9665 dei primi due mesi del 2021. Un preoccupante aumento del 79%.
Le interruzioni legate alla pandemia, le crescenti disuguaglianze nell’accesso ai vaccini e il dirottamento delle risorse dalle vaccinazioni di routine - si legge nella nota congiunta - stanno lasciando troppi bambini senza protezione contro il morbillo e altre malattie prevenibili con i vaccini. Il rischio di grandi epidemie è aumentato man mano che le comunità hanno allentato le pratiche di distanziamento sociale e altre misure di prevenzione contro il Covid attuate durante la fase più acuta della pandemia. Inoltre, con milioni di persone sfollate a causa di crisi e conflitti, come quelli in Ucraina, Etiopia, Somalia e Afghanistan, le interruzioni dei Servizi di vaccinazione, la mancanza di acqua pulita e servizi igienici, e il sovraffollamento aumentano il rischio di focolai di malattie prevenibili con vaccino.

Il morbillo e le altre malattie infettive
Dato che il morbillo è molto contagioso, i casi tendono a manifestarsi rapidamente quando i livelli di vaccinazione diminuiscono. Le Agenzie sono preoccupate dal fatto che i focolai di morbillo potrebbero anche preannunciare focolai di altre malattie che non si diffondono così rapidamente.
Oltre al suo effetto diretto sul corpo, che può essere letale, il virus del morbillo indebolisce anche il sistema immunitario e rende il bambino più vulnerabile ad altre malattie infettive come la polmonite e la diarrea, anche per mesi dopo il contagio da morbillo tra coloro che sopravvivono. La maggior parte dei casi si verifica in contesti che hanno affrontato difficoltà sociali ed economiche a causa del Covid, conflitti o altre crisi, e hanno infrastrutture del Sistema sanitario cronicamente deboli e condizioni di insicurezza.
“Il morbillo è più di una malattia pericolosa e potenzialmente letale. È anche una prima indicazione del fatto che ci sono lacune nella nostra copertura globale di vaccinazione, lacune che i bambini vulnerabili non possono permettersi - ha dichiarato Catherine Russell, direttrice generale dell’UNICEF - È incoraggiante che le persone in molte comunità stiano iniziando a sentirsi abbastanza protette dal Covid da tornare a svolgere più attività sociali. Ma farlo in luoghi dove i bambini non stanno ricevendo le vaccinazioni di routine crea la tempesta perfetta per la diffusione di una malattia come il morbillo”.

Dove sono i focolai di morbillo nel mondo
Nel 2020, 23 milioni di bambini hanno saltato le vaccinazioni di base dell’infanzia tramite i Servizi sanitari di routine, il numero più alto dal 2009 e 3,7 milioni in più rispetto al 2019. A partire da aprile 2022, le Agenzie registrano 21 grandi e dirompenti focolai di morbillo in tutto il mondo negli ultimi 12 mesi.
La maggior parte dei casi di morbillo sono stati riportati in Africa e nella regione del Mediterraneo Orientale. Le cifre sono probabilmente più alte, poiché la pandemia ha sconvolto i sistemi di sorveglianza a livello globale, con una potenziale sottostima. I Paesi con i maggiori focolai di morbillo dall’anno scorso includono Somalia, Yemen, Nigeria, Afghanistan ed Etiopia.

Milioni di vaccinazioni rimandate
L’insufficiente copertura vaccinale contro il morbillo è la ragione principale dei focolai, ovunque essi si verifichino.
“La pandemia da Covid ha interrotto i Servizi di vaccinazione, i Sistemi sanitari sono stati sopraffatti e ora stiamo assistendo a una ricomparsa di malattie mortali, tra cui il morbillo. Per molte altre malattie, l’impatto di queste interruzioni dei Servizi di vaccinazione si farà sentire per decenni a venire - ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS -. È il momento di rimettere a regime le vaccinazioni essenziali e di lanciare Campagne di recupero in modo che tutti possano avere accesso a questi vaccini salvavita”.
Al 1° aprile 2022, 57 Campagne per le malattie prevenibili con vaccino in 43 Paesi che erano state programmate dall’inizio della pandemia rimangono rimandate, con un impatto su 203 milioni di persone, la maggior parte delle quali sono bambini.
Di queste, 19 sono Campagne contro il morbillo, che espongono 73 milioni di bambini al rischio di morbillo a causa delle mancate vaccinazioni. In Ucraina, la Campagna di recupero del morbillo del 2019 è stata interrotta a causa della pandemia e successivamente a causa della guerra. Le Campagne di routine e di recupero sono necessarie ovunque sia possibile l’accesso per aiutare a garantire che non ci siano focolai ripetuti come nel 2017-2019, quando si sono registrati oltre 115.000 casi di morbillo e 41 morti nel Paese - la più alta incidenza in Europa.

La soglia del 95 per cento
Una copertura pari o superiore al 95% con due dosi del vaccino sicuro ed efficace contro il morbillo può proteggere i bambini da tale malattia. Tuttavia, le interruzioni legate alla pandemia hanno ritardato l’introduzione della seconda dose del vaccino contro il morbillo in molti Paesi.
Mentre i Paesi lavorano per rispondere ai focolai di morbillo e di altre malattie prevenibili con vaccino e per recuperare il terreno perduto, l’UNICEF e l’OMS, insieme a partner come GAVI, l’alleanza per i vaccini, i partner della Measles & Rubella Initiative (M&RI), la Bill & Melinda Gates Foundation e altri, stanno sostenendo le azioni per rafforzare i Sistemi di vaccinazione: ripristinando i Servizi e le Campagne di vaccinazione in modo che i Paesi possano portare a termine i Programmi di vaccinazione di routine, aiutando gli operatori sanitari e i leader delle comunità a comunicare attivamente con le persone che si prendono cura dei bambini per spiegare l’importanza delle vaccinazioni, individuando le comunità non ancora raggiunte dalle Campagne di immunizzazione e assicurando che la consegna del vaccino contro Covid sia finanziata in modo indipendente e ben integrata nella pianificazione generale dei Servizi di vaccinazione senza andare a scapito delle altre.


Trombosi nei bambini, crescono i casi nei piccoli ospedalizzati

I fattori di rischio nei bambini sono difficili da riconoscere, più complessi e meno noti rispetto agli adulti. Riconoscere i sintomi e intervenire subito con una terapia anti-coagulante fa la differenza

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Infarto, ictus, embolia non sono patologie «da bambini» eppure possono verificarsi anche nei più piccoli a causa di una trombosi che, sebbene sia un evento molto raro in età pediatrica, desta grande preoccupazione fra gli specialisti. Negli ultimi 20 anni, infatti, il numero di casi di trombosi in bimbi ospedalizzati è decuplicato, arrivando a toccare un’incidenza di un caso ogni 200 under 18 ricoverati. Per affrontare questo pericolo emergente l’Associazione per la lotta alla trombosi e alle malattie cardiovascolari (ALT onlus) ha dedicato l’undicesima Giornata nazionale per la lotta alla trombosi, lo scorso mercoledì 20 aprile 2022, proprio all’informazione e alla prevenzione di questi problemi in bambini e adolescenti.

Che cos’è e cosa provoca la trombosi
«La trombosi è un fenomeno causato da un eccesso di tendenza del sangue a coagulare, spiega Lidia Rota Vender, presidente di ALT. Può verificarsi nelle arterie, causando ictus cerebrale, infarto del miocardio, ischemia degli arti che può avere conseguenze devastanti come l’amputazione dell’arto colpito. Oppure nelle vene superficiali o profonde, causando flebite o tromboflebite o trombosi venosa profonda, che purtroppo molto spesso libera emboli che arrivano al polmone causando embolia polmonare». Questi eventi costituiscono una problematica piuttosto rara in età pediatrica (con un’incidenza di circa un caso ogni 100mila bimbi all’anno), ma negli under 18 ospedalizzati invece il rischio di avere una trombosi venosa è molto più alto (uno su 200), con un picco di maggiore incidenza in neonati e adolescenti. «La conoscenza e l’informazione sono fondamentali, perché gli eventi trombotici nel bambino così come nell’adulto possono essere evitati fin da subito con il corretto stile di vita - sottolinea Rota Vender, specialista in Ematologia e malattie cardiovascolari da trombosi -: alimentazione ricca di frutta e verdura, adeguata idratazione e costante attività fisica; periodici follow-up e regolare impiego di terapia farmacologica quando è necessaria».

Le cause delle trombosi infantili sono molteplici
Le malattie trombotiche, anche nei più piccoli, diagnosticate e curate precocemente hanno generalmente una prognosi buona: è necessario effettuare rapidamente una terapia anticoagulante che ha lo scopo di evitare l’estensione della trombosi e di ridurre il rischio di embolia polmonare. Quali possono essere le cause scatenanti nei bambini? «Nella popolazione pediatrica la trombosi venosa è sempre la risultante dell’associazione di più fattori di rischio - risponde l’esperta -, congeniti (mutazioni genetiche che interessano fattori della coagulazione) o acquisiti. La presenza di un catetere venoso centrale rappresenta il fattore di rischio maggiore (90% nel neonato, oltre 50% nel bambino); la prematurità, le infezioni gravi o alcune malattie croniche possono contribuire all’insorgenza di questa patologia. La tendenza a sviluppare trombosi (trombofilia) può essere favorita da malattie autoimmuni (sindrome da anticorpi antifosfolipidi, per esempio), cardiopatie congenite, tumori e da “coagulopatie”, ovvero patologie caratterizzate da un difetto dei fattori della coagulazione». In genere, rispetto all’adulto, i fattori di rischio nei piccoli sono meno noti, difficilmente riconoscibili e più complessi.

Sintomi e diagnosi
In presenza di un sospetto diagnostico, è necessario avere la conferma con l’esecuzione di indagini diverse a seconda del distretto interessato: eco-doppler se la sintomatologia è a livello di un arto (quando un braccio o una gamba si presentano improvvisamente edematosi e pesanti è opportuno non perdere tempo) o di un organo addominale; risonanza magnetica con metodo di contrasto o angio-TC se i sintomi sono di natura cerebrale o a livello di distretti vascolari. In tutti i casi questi esami mostreranno la presenza del trombo e assenza di flusso venoso a valle. I sintomi più frequenti di una trombosi venosa cerebrale sono: le crisi epilettiche, l’alterazione dello stato di coscienza fino all’encefalopatia, deficit neurologici focali con paralisi dei nervi cranici o emiparesi e segni di ipertensione endocranica quali cefalea, nausea e vomito. Le convulsioni sono più comunemente osservate nei neonati mentre sintomi neurologici focali, segni di ipertensione endocranica e irritabilità sono più comuni nei lattanti più grandi e nei bambini. La trombosi collegata al catetere può manifestarsi con eritema, dolore e edema dell’arto dove è posizionato il catetere; edema del collo e del volto per trombosi della vena cava superiore; distress respiratorio e aritmia in caso di trombosi atriale.

Un Registro italiano per saperne di più
«I casi di trombosi infantile in Italia sono registrati dal Registro Italiano delle Trombosi Infantili (RITI), sostenuto da molti anni da ALT che crede nell’importanza di mettere a fattor comune i dati raccolti da medici e specialisti di diversa provenienza e formazione, coinvolti ogni giorno nella cura e nell’assistenza a bambini affetti da patologie trombotiche». Un Registro che vede l’Italia tra i primi Paesi al mondo a raccogliere e condividere casi di trombosi neonatale e pediatrica, da 0 a 18 anni, su una piattaforma digitale. «L’obiettivo del Registro - conclude Paolo Simioni, professore ordinario di Medicina interna al Dipartimento di Medicina-DIMED, Università degli Studi di Padova e presidente dell’Associazione GIRTI ODV (Associazione gruppo italiano per il Registro della trombosi infantile) - è quello di valutare la rilevanza clinica del problema, definire le caratteristiche epidemiologiche della trombosi infantile, promuovere la ricerca italiana sul tema, migliorare l’assistenza ai bambini attraverso lo sviluppo di protocolli diagnostici e terapeutici dedicati e creare un network di medici esperti che possa divenire un punto di riferimento». È possibile sostenere la ricerca sulla trombosi infantile acquistando i piccoli scoiattoli e coniglietti in peluche della collezione in edizione limitata che Trudi ha deciso di dedicare ad ALT: per ogni acquisto effettuato sullo shop online la storica azienda produttrice destinerà 5 euro all’Associazione.


Percorso diagnostico in caso di sospetto ipostaturalismo

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L’ipostaturalismo, o bassa statura, è una condizione clinica caratterizzata da un’altezza inferiore al terzo percentile secondo le curve di crescita specifiche per nazionalità. È possibile distinguere basse stature non patologiche, quali la bassa statura idiopatica e familiare e il ritardo costituzionale di crescita, e basse stature patologiche, che possono includere patologie sistemiche, genetiche o endocrinologiche. Pertanto, è necessario intraprendere un adeguato iter diagnostico in più fasi per consentire un’appropriata identificazione delle potenziali cause patologiche sottostanti alla bassa statura.
l primo elemento da considerare nella valutazione diagnostica della bassa statura è la valutazione dei parametri di crescita del piccolo paziente e dei suoi familiari, quali altezza, velocità di crescita, target di altezza media parentale ed età ossea, assieme a un’accurata anamnesi volta a indagare i parametri auxologici dei genitori e di altri familiari. Nel 90% dei casi, infatti, la bassa statura non è associata a condizioni patologiche, ma è da considerarsi una variante di normalità: in tali casi, è possibile osservare una bassa statura non solo nel piccolo paziente, ma anche nei genitori e in altri familiari, nell’ambito di una bassa statura familiare, oppure è possibile identificare un pregresso pattern di crescita rallentato in uno o entrambi i genitori, usualmente associato a uno sviluppo puberale ritardato rispetto ai pari età, nell’ambito di un ritardo costituzionale di crescita. In tali condizioni, il piccolo paziente si presenta con un’altezza inferiore al terzo percentile, ma inquadrata nel target medio parentale (o ai limiti inferiori dello stesso), con una velocità di crescita regolare nel corso dei follow-up, seppur costantemente inferiore al terzo percentile, e un’età ossea corrispondente (nel caso della bassa statura familiare) o lievemente inferiore (nel caso del ritardo costituzione di crescita) all’età cronologica. Al contrario, la presenza di un’altezza inferiore al terzo percentile, ma associata a una graduale o improvvisa riduzione della velocità di crescita e/o a un’altezza non inquadrata nel target medio parentale e a un’età ossea inferiore rispetto all’età cronologica risultano essere più suggestivi di condizioni patologiche e dunque meritevoli di approfondimento attraverso un’accurata anamnesi e valutazione clinica.
Tra le cause di bassa statura a insorgenza fetale e perinatale vi sono patologie materne in corso di gravidanza, quali infezioni in età gestazionale o consumo di alcol o sostanze stupefacenti, o quadri sindromici più severi, quali cromosomopatie o altre patologie genetiche, come sindrome di Turner, sindrome di Down, sindrome di Noonan e sindrome di Prader-Willi. In questi pazienti, la bassa statura ha di solito un’eziologia multifattoriale, poiché, oltre allo specifico impatto delle alterazioni subite in età fetale, vi sono anche altre condizioni cliniche concomitanti, quali patologie cardiache, malassorbimento e malformazioni gastroenteriche, che possono ulteriormente inficiare il normale pattern di crescita dei piccoli pazienti affetti. In tali casi, la bassa statura è presente sin dalla nascita, mantenendosi poi nel corso del tempo con una velocità di crescita e un’età ossea inferiori rispetto ai pari età; tuttavia, è bene ricordare che, in caso di pazienti con sindromi genetiche, essendo la ridotta crescita un elemento distintivo del quadro sindromico, sono attualmente disponibili delle curve di crescita speciali, appositamente preparate sulla media di altezza raggiunta dai piccoli pazienti affetti, che devono essere attivamente utilizzate in corso di valutazione auxologica per consentire un adeguato inquadramento diagnostico.
Un altro elemento patologico in età perinatale con potenziale impatto sulla crescita è rappresentato dalla condizione di bambino piccolo per età gestazionale (small for gestational age, SGA), ovvero con peso e/o altezza di almeno -2,5 deviazioni standard rispetto alla media di normalità alla nascita (tavole di Bertino). In tali piccoli pazienti, in cui è spesso possibile anche identificare un basso peso, la velocità di crescita è usualmente regolare, mentre l’altezza non è inquadrata nel target medio parentale e l’età ossea si presenta inferiore rispetto all’età cronologica.
La bassa statura, in età pediatrica, può essere una manifestazione sintomatologica di condizioni croniche o sistemiche, quali malnutrizione, anemia, celiachia, insufficienza renale o epatica, malattie infiammatorie croniche intestinali e altre forme di malassorbimento, cardiopatie, pneumopatie e tumori maligni solidi o dell’apparato ematopoietico. Usualmente, in tali condizioni la bassa statura viene riconosciuta nell’ambito di un rallentamento della velocità di crescita, che va a presentarsi insieme ad altri elementi sintomatologici, quali ad esempio astenia, perdita di peso, diarrea, vomito o cefalea, tutte a esordio più o meno graduale e ingravescente nel corso del tempo. Il piccolo paziente, dunque, presenterà una storia auxologica di crescita regolare con statura inquadrata nel target medio parentale e un’età ossea corrispondente all’età anagrafica, seguita poi da un rallentamento della velocità di crescita e una riduzione dell’altezza al di sotto del terzo percentile. Poiché le condizioni parafisiologiche e i disturbi sistemici rappresentano le cause più frequenti di bassa statura, è sempre opportuno consigliare al piccolo paziente che presenti elementi auxologici sospetti un inquadramento biochimico generale mirato a valutare l’eventuale presenza di patologie sistemiche, nel quale è necessario includere emocromo, indici di funzionalità renale ed epatica e quadro autoanticorpale per celiachia, cui eventualmente aggiungere valutazioni in ambito specialistico in caso di elementi sintomatologici suggestivi o indicativi di specifiche patologie.
Una volta escluse le basse stature parafisiologiche e le basse stature inquadrate nell’ambito di patologie genetiche o sistemiche, è necessario indagare potenziali cause endocrine di bassa statura, le più frequenti delle quali sono rappresentati da ipotiroidismo, deficit di ormone della crescita (growth hormone, GH) isolato o inquadrato nell’ambito di deficit ipofisari multipli, insufficienza surrenalica e diabete mellito di tipo 1.
In età pediatrica, l’ipotiroidismo si presenta usualmente alla nascita sotto forma di ipotiroidismo congenito, per il quale è disponibile sul territorio nazionale un servizio di screening neonatale, consentendo pertanto una pronta identificazione dei soggetti più a rischio e un tempestivo trattamento a partire dai primi giorni di vita. Meno frequentemente, l’ipotiroidismo può presentarsi a seguito di patologie autoimmuni, quali le tiroiditi croniche, o per disordini ipofisari, con esordio più tardivo (seconda infanzia o prima adolescenza), in cui il piccolo paziente presenta un graduale rallentamento della velocità di crescita con età ossea inferiore all’età cronologica, incremento ponderale, astenia e ridotta tolleranza allo sforzo, aumentata suscettibilità al freddo e stipsi, insieme a una generale difficoltà di concentrazione e a un peggioramento del rendimento scolastico. In tali pazienti, è opportuna una valutazione del profilo tiroideo e dell’autoimmunità tiroidea, uniti a una valutazione ecografica della tiroide.
Il deficit di GH si presenta usualmente durante la prima/seconda infanzia, prevalentemente sotto forma di bassa statura con età ossea inferiore all’età cronologica e mancato raggiungimento del target medio parentale, con velocità di crescita leggermente rallentata, in assenza di altri sintomi suggestivi. Nelle forme isolate, il quadro sintomatologico è sfumato, tale da richiedere usualmente qualche anno per giungere alla diagnosi, mentre nelle forme associate ad altri deficit ipofisari, causati nella maggioranza dei casi da tumori della regione sellare, quali craniofaringiomi, adenomi ipofisari e meningiomi, il quadro d’esordio è molto più rapido e brusco, con marcato e improvviso rallentamento della velocità di crescita, unito ad altre manifestazioni sintomatologiche, quali marcato calo ponderale, astenia grave, ipotensione, poliuria, polidipsia e disturbi elettrolitici. In ambedue i casi, in presenza di quadro suggestivo per deficit di GH, è necessaria una valutazione completa della funzionalità ipofisaria con esecuzione di test da stimolo per la riserva ipofisaria di GH mediante test dinamici (test di tolleranza insulinica, test all’arginina, test alla clonidina) e in caso di positività l’imaging della regione sellare mediante risonanza magnetica ipofisaria con mezzo di contrasto.
In età pediatrica, l’insufficienza surrenalica risulta prevalentemente associata a iperplasia surrenalica congenita e a disturbi ipofisari. Nel primo caso, la diagnosi avviene usualmente in età perinatale a seguito di crisi surrenaliche, con vomito, diarrea, disidratazione, iponatriemia e iperkaliemia, per cui è inusuale procedere alla diagnosi sulla base di una sospetta bassa statura, sebbene la velocità di crescita nelle prime settimane di vita sia solitamente ridotta nei piccoli pazienti affetti. Nel secondo caso, come precedentemente descritto, il quadro è più graduale, con calo ponderale, astenia, ipotensione e disturbi elettrolitici, per cui, in presenza di tale sintomatologia isolata, è opportuna una valutazione della funzionalità surrenalica. Più raramente, in età pediatrica l’insufficienza surrenalica si presenta in ambito di patologie autoimmuni sistemiche, quali le sindromi polighiandolari autoimmuni, la cui più frequente manifestazione, la tipo 1, è caratterizzata dalla classica triade sintomatologica di insufficienza surrenalica, ipoparatiroidismo primitivo e candidiasi muco-cutanea cronica.
In conclusione, la diagnostica differenziale della bassa statura è un processo a più step, in cui la valutazione auxologica non può prescindere da una completa e accurata valutazione anamnestica e clinica, al fine di permettere un’identificazione a 360° dello stato di salute del piccolo paziente, volta non solo a identificare un’eventuale bassa statura, ma anche e soprattutto le potenziali condizioni morbose sistemiche sottostanti, consentendo un adeguato e rapido trattamento delle patologie in essere.


Violenza sulle donne durante la pandemia. I PS pediatrici possono aiutare la rilevazione e la prevenzione

Lo studio dell’IRCCS “Burlo Garofolo” di Trieste

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Lo studio del Pronto Soccorso pediatrico dell’IRCCS triestino, pubblicato sullo European Journal of Pediatrics e realizzato su 212 donne con figli, evidenzia che il 44% ha riferito casi di violenza subita a cui hanno assistito i figli: “Il PS pediatrico può rappresentare un osservatorio privilegiato per intercettare situazioni di violenza, ma anche una possibile sede per avviare eventuali interventi”.

Il numero di casi di violenza sulle donne ai quali hanno assistito i figli minori misurato durante la pandemia è stato molto alto, con un profondo impatto sulla salute psico-fisico-emotiva di madri e figli.
Lo ha dimostrato uno studio condotto dal Pronto Soccorso (PS) pediatrico dell’IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo” diretto dal dottor Alessandro Amaddeo e dalla psicologa Federica Anastasia.
Terzo lavoro sulla violenza assistita al mondo, con due precedenti piuttosto datati (1999 e 2005), lo studio del Burlo ha esaminato un fenomeno ancora poco esplorato, ma che ha impatti molto significativi. La violenza assistita intra familiare (cioè l’esperire da parte del bambino/a e/o dell’adolescente di qualsiasi forma di maltrattamento su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori, compiuta attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, nonché atti persecutori) infatti, è una forma di abuso sui minori con effetti molto negativi sul benessere e lo sviluppo dei bambini e bambine, sia sulla perpetuazione della spirale di violenza quando divengono adulti e la cui riconoscibilità è collegata alla capacità di rilevare l’esposizione delle madri a fenomeni di violenza intima da parte dei partner non sempre facili da riconoscere.
In questo campo, l’opera dei PS pediatrici può rivelarsi fondamentale sia per la rilevazione del fenomeno, sia per la prevenzione.
“Il gruppo di studio promosso dal dottor Claudio Germani per la realizzazione di questa ricerca - spiega la dottoressa Anastasia - è stato condotto da febbraio 2020 a gennaio 2021, ha rispettato le linee guida dell’OMS e ha utilizzato una metodologia di lavoro che includeva il Woman Abuse Screening Tool (WAST) validato a livello internazionale e su 212 coppie madre-bambino/a nessuna ha rifiutato di partecipare. Il questionario ha dato un’impressionate risultato con ben il 44% delle partecipanti che riferivano casi di violenza domestica assistita dai minori. Nei due soli lavori precedenti in letteratura le percentuali riportate erano rispettivamente del 10 e 50%”.

Dallo studio è, poi, emerso che le madri che subiscono violenza hanno una qualità di vita molto peggiore e una salute peggiore con stress particolare, disturbi del sonno, incubi, stanchezza e affaticamento al risveglio, ansia, allucinazioni uditive e che i bambini che hanno assistito alla violenza, testati in cieco dai medici in Pronto Soccorso, si mostrano molto più agitati, ansiosi, aggressivi e con disturbi del sonno. “Inoltre - prosegue la psicologa - dallo studio è chiaramente emerso come l’alto numero di figli, il basso livello di scolarità della madre, la disoccupazione o i problemi lavorativi e la mancanza presenza di una rete di sostegno familiare siano condizioni nelle quali più facilmente si verificano episodi di violenza sulle donne compiuta dai partner e di violenza assistita dai minori. Non sembrano, invece, influire particolarmente l’età delle donne o il loro stato civile”.
Dallo studio è emersa, inoltre, un’elevata richiesta di welfare. In questo contesto vi è di fatto un ben noto incremento del rischio di trasmissione e transgenerazionale della violenza quale modello relazionale/affettivo e la necessità di una formazione specifica per i professionisti coinvolti.
L’OMS considera la violenza contro i minori come uno dei maggiori problemi di sanità pubblica: nei Paesi ad alto tenore economico, il maltrattamento è, infatti, una delle principali cause di mortalità nella prima infanzia. È, inoltre, difficile fornire stime reali della diffusione del maltrattamento nell’infanzia, in quanto solo una minoranza di casi sono identificati (10%) rispetto alla totalità di quelli che restano sommersi.
“Le conseguenze da maltrattamento sulla salute del minore - chiarisce Amaddeo - possono essere dirette (lesioni fisiche di variabile gravità, fino alla morte) o indirette (esiti a distanza come patologie organiche e disturbi psico-relazionali). La violenza assistita, poi, è una delle forme nelle quali si manifesta la violenza su minori ed è una forma di maltrattamento la cui rilevazione necessita del preliminare riconoscimento della violenza intra familiare diretta”. Secondo un’indagine della Fundamental Rights Agency, prosegue, il 19% delle donne dichiara di aver subito nel corso della vita violenze fisiche o sessuali da un partner o ex-partner; il 38% ripetuti e multipli abusi psicologici; il 9% stalking.
“Aver subito una forma di violenza, diretta o assistita, durante l’infanzia o adolescenza - ribadisce Amaddeo - si associa a un aumentato rischio di sviluppare problemi psicologici, sociali, comportamentali e organici; studi scientifici sottolineano, poi, come l’esposizione a tale violenza in età pediatrica possa aumentare la probabilità di ricadere in comportamenti malsani e avere problemi di salute in età adulta. Per questo indagare attivamente la presenza di esposizione alla violenza durante l’infanzia è quindi di primaria importanza per cercare di prevenire gli effetti negativi. In tal senso - conclude - il Pronto Soccorso Pediatrico può rappresentare un osservatorio privilegiato per intercettare situazioni di violenza, ma anche una possibile sede per avviare eventuali interventi”.


Atrofia muscolare spinale tipo 1: nuovi dati importanti per risdiplam dallo studio Firefish

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A tre anni dall’inizio del trattamento con risdiplam il 91% dei bambini con atrofia muscolare spinale sintomatica di tipo 1 era ancora in vita. Dallo studio è inoltre emersa una riduzione complessiva costante degli eventi avversi gravi e dei ricoveri in ospedale con il passare del tempo.

Nuovi dati per risdiplam a tre anni provenienti dallo studio FIREFISH che rafforzano il profilo di efficacia e sicurezza a lungo termine di risdiplam nei bambini con atrofia muscolare spinale (SMA) sintomatica di tipo 1.
I dati hanno evidenziato che circa il 91% dei bambini (n = 58) trattati con risdiplam era in vita dopo tre anni di trattamento. I bambini trattati con risdiplam hanno continuato a migliorare o mantenere le funzioni motorie, tra cui la capacità di stare seduti senza supporto, stare in piedi con un supporto e camminare con l’appoggio delle mani, oltre alla capacità di deglutire, tra due e tre anni di trattamento.
Senza trattamento, i bambini con SMA di tipo 1 non sono mai in grado di stare seduti senza supporto. Dallo studio è inoltre emersa una riduzione complessiva costante degli eventi avversi gravi (SAE) e dei ricoveri in ospedale con il passare del tempo.
Lo studio FIREFISH ha valutato l’efficacia e la sicurezza di risdiplam in bambini con SMA di tipo 1 di età compresa tra 1 e 7 mesi al momento dell’arruolamento. Lo studio era suddiviso in due parti: la Parte 1, ossia il periodo di determinazione della dose, e la Parte 2, volta a valutare l’efficacia e la sicurezza alla dose selezionata nella Parte 1. La popolazione aggregata include partecipanti trattati con la dose approvata di risdiplam per almeno tre anni.
Questi dati a lungo termine saranno presentati al 14° congresso della European Paediatric Neurology Society (EPNS), in corso fino al 2 maggio 2022.
“Questi risultati a lungo termine nei bambini trattati con risdiplam sono estremamente incoraggianti: la stragrande maggioranza ha migliorato o mantenuto le funzioni motorie dopo tre anni. Normalmente, senza trattamento, questi bambini non sopravvivrebbero oltre i due anni di età - osserva Levi Garraway, Chief Medical Officer e Head of Global Product Development - I dati a supporto dell’efficacia di risdiplam continuano a crescere in un ampio spettro di soggetti, compresi i bambini che soffrono di una delle forme più gravi di SMA”.

I dati nel dettaglio
I bambini trattati con risdiplam hanno mantenuto o continuato a registrare miglioramenti della capacità di stare seduti senza supporto tra 24 e 36 mesi. Dal mese 24, tra i bambini con valutazione disponibile (n = 48) trattati con risdiplam, 32 hanno mantenuto e 4 hanno acquisito la capacità di stare seduti senza supporto per almeno cinque secondi secondo la Gross Motor Scale della terza edizione delle Bayley Scales of Infant and Toddler Development (BSID-III). Inoltre, 20 bambini hanno mantenuto e 15 hanno acquisito la capacità di stare seduti senza supporto per almeno 30 secondi. Nessuno dei bambini che aveva precedentemente acquisito la capacità di stare seduti senza supporto l’ha poi persa nell’arco dei tre anni di trattamento. La maggior parte dei bambini trattati con risdiplam ha mantenuto la capacità di alimentarsi per via orale e di deglutire fino al mese 36. Tra 24 e 36 mesi, i bambini trattati con risdiplam hanno perlopiù continuato a migliorare o mantenere i parametri misurati tramite la scala Hammersmith Infant Neurological Examination 2 (HINE-2), comprese le seguenti capacità: tenere la testa dritta (36 hanno mantenuto, 3 hanno acquisito e nessuno ha perso questa capacità dal mese 24), ruotare (pivoting) da seduti (15 hanno mantenuto, 11 hanno acquisito e nessuno ha perso questa capacità), stare in piedi con un supporto (6 hanno mantenuto, 5 hanno acquisito e 1 ha perso questa capacità) e camminare con un supporto (1 ha mantenuto, 2 hanno acquisito e nessuno ha perso questa capacità).
Gli eventi avversi (AE) più comuni sono stati febbre (60%), infezione delle alte vie respiratorie (57%), polmonite (43%), stipsi (26%), rinofaringite (24%), diarrea (21%), rinite (19%), vomito (19%) e tosse (17%). Gli SAE più comuni sono stati polmonite (36%), distress respiratorio (10%), polmonite virale (9%), insufficienza respiratoria acuta (5%) e insufficienza respiratoria (5%).
Il tasso di AE, polmonite compresa, ha continuato a diminuire con il passare del tempo. Analogamente è calato anche il tasso di SAE, con una riduzione del 50% circa dopo ogni periodo di trattamento di 12 mesi e una riduzione del 78% tra il primo e il terzo anno di trattamento. Tutti gli AE e gli SAE segnalati riflettevano la malattia sottostante e non sono stati registrati AE correlati al trattamento che hanno comportato il ritiro dallo studio o l’interruzione del trattamento. Il tasso di ricoveri in ospedale è sceso da 1,24 ospedalizzazioni per anno-paziente nel corso di 12 mesi a 0,70 ospedalizzazioni nel corso di 36 mesi. Dall’analisi primaria dello studio FIREFISH alla data di cut-off di quest’analisi (23 novembre 2021) non si sono verificati altri decessi.


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Abate MV (a cura di). Tumori: AIEOP, diritto all’oblio per 50mila giovani guariti - Ok della Commissione Europea a un anticorpo monoclonale per l'asma grave in bambini 6-11 anni - Virus respiratorio sinciziale: -84% di rischio per il bimbo vaccinando la mamma in gravidanza - Morbillo, l’allarme di UNICEF e OMS: casi aumentati del 79%, rischio di epidemie - Trombosi nei bambini, crescono i casi nei piccoli ospedalizzati - Percorso diagnostico in caso di sospetto ipostaturalismo - Violenza sulle donne durante la pandemia. I PS pediatrici possono aiutare la rilevazione e la prevenzione - Atrofia muscolare spinale tipo 1: nuovi dati importanti per risdiplam dallo studio Firefish. Medico e Bambino 2022;25(5) https://www.medicoebambino.com/?id=NEWS2205_10.html