Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.

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a cura di Maria Valentina Abate

UOC di Pediatria, Ospedale di Treviglio (Bergamo)

Indirizzo per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it

Sommario

Disforia di genere. Gli psicologi (CNOP): serve una riflessione sull’adolescenza

Telefono Azzurro, il 50% ragazzi sta sui social 2-3 ore giorno

Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Ne è vittima il 15% dei giovani

Virus respiratori: l'effetto delle co-infezioni è grave nei bimbi sotto i 5 anni

Un semplice spray nasale riduce il russamento nei bimbi

Sai che cos'è la disprassia?

Ginecologi: bene il rooming-in del neonato, ma serve più supporto

AIDS nei bambini. Ogni anno 160mila nuovi casi e 15% dei decessi avviene tra i più piccoli

Malattie tropicali neglette. Un miliardo di persone nel mondo ne soffre, oltre la metà in Africa

Giochi cinesi ritirati per la presenza di sostanze nocive


Disforia di genere. Gli psicologi (CNOP): serve una riflessione sull’adolescenza

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“Il Comitato Pari Opportunità del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) ha attivato dall’inizio della sua attività in questa consiliatura un gruppo di lavoro sulle tematiche legate ai generi: auspichiamo che quello possa essere un luogo da cui ripartire, con una riflessione costruttiva, aggiornata e contemporanea da condividere poi con il Consiglio Nazionale”, spiega in una nota il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi.

“Le prese di posizione di società scientifiche e il dibattito che si è sviluppato in merito al trattamento della disforia di genere in adolescenza apre la necessità di un confronto urgente all’interno della Comunità Professionale”. A ribadirlo è il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) in una nota stampa.
“È un dovere deontologico far sì che qualunque intervento psicologico serva di strumenti e conoscenze aggiornate alla luce delle evidenze scientifiche: infatti, come si legge nell’articolo 5 del nostro Codice, lo psicologo ‘riconosce i limiti della propria competenza e usa […] solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza’ e ‘impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici’”, spiega il CNOP.
“Le buone prassi cliniche, l’occuparci di qualsiasi sofferenza che è rilevante per l’individuo e che comporta (o potrebbe comportare) un disagio significativo nelle aree della sua vita (personale, relazioni, scuola/lavoro e investimenti in generale) ci obbliga ad adeguata formazione e aggiornamento. Qualunque professionista sa allora che il disagio e la sofferenza legati alla condizione di varianza fra il sesso osservato alla nascita e il genere sentito come proprio nelle persone adolescenti e preadolescenti costituisce un oggetto di presa in carico e di intervento complesso”.
“Nell’incontro con chi si rivolge a noi, professionisti della Salute Psicologica - prosegue la nota - dobbiamo tenere a mente che ogni intervento, che sia preventivo o meno, deve guardare alla necessità di chi abbiamo davanti di “autodeterminarsi” (termine che usato anche recentemente da Roberta Partigiani, avvocata e portavoce del Movimento Identità Trans), e di esprimere la propria sofferenza senza incardinarla in un’ideologia o in posizioni precostituite.
“Sottolineiamo che il Comitato Pari Opportunità del CNOP ha attivato dall’inizio della sua attività in questa consiliatura un gruppo di lavoro sulle tematiche legate ai generi: auspichiamo che quello possa essere un luogo da cui ripartire, con una riflessione costruttiva, aggiornata e contemporanea da condividere poi con il Consiglio.


Telefono Azzurro, il 50% ragazzi sta sui social 2-3 ore giorno

Dato in crescita, il 93% è online con uno smartphone

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Il 50% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni passa dalle due alle tre ore al giorno sui social e chattando.
Un dato in crescita rispetto al 2018 quando erano il 43%. È quanto emerge dal rapporto Tra realtà e Metaverso. Adolescenti e genitori nel mondo digitale, elaborato da Telefono Azzurro e presentato a Milano, in occasione del Safer Internet Day, la giornata mondiale dedicata all’uso consapevole e responsabile di internet.
Il 14% degli intervistati passa sui social e chattando dalle quattro alle sei ore al giorno, il 4% più di sei ore al giorno e il 3% è sempre connesso.
Per quanto riguarda il genere emergono delle piccole differenze: rispetto alla media, il 44% dei ragazzi afferma di essere connesso dalle due alle tre ore al giorno e il 24% un’ora al giorno, mentre per il genere femminile il 55% dalle due alle tre ore e il 17% un’ora al giorno.
Risultano delle differenze anche rispetto all’età, se il 23% dei 12-14enni è online un’ora al giorno, i 15-18enni dalle quattro alle sei ore al giorno. Il 35% dei ragazzi dichiarano di fare tardi la sera e avere difficoltà a dormire a causa del tempo trascorso online. Per i genitori la media si attesta intorno alle 2-3 ore al giorno.
Il 93% degli intervistati usa i social per vedere contenuti degli amici, e sono per la maggioranza le ragazze. L’80% vuole vedere contenuti di personaggi famosi o sportivi e il 76% di influencer. Il 71%, in prevalenza ragazze, utilizza i social per leggere notizie, il 66% per postare contenuti e il 63% per vedere contenuti che rimandano a una marca. Lo smartphone è lo strumento più utilizzato per stare online, nello specifico dal 93%.


Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Ne è vittima il 15% dei giovani

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Più frequenti nelle ragazze e tra i più giovani, con proporzioni di circa il 20% negli 11enni che progressivamente si riducono al 10% nei più grandi. È quanto emerge, alla vigilia della Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, dalla VI rilevazione 2022 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena.

Circa il 15% degli adolescenti ha dichiarato di essere stato vittima almeno una volta di atti di bullismo e di cyberbullismo. Più frequenti nelle ragazze e tra i più giovani, con proporzioni di circa il 20% negli 11enni che progressivamente si riducono al 10% nei più grandi.
È quanto emerge, alla vigilia della Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, dalla VI rilevazione 2022 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia (Health Behaviour in School-aged Children - Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena, con il supporto del Ministero della Salute, la collaborazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito e tutte le Regioni e Aziende Sanitarie Locali.
L’indagine, che ha coinvolto un campione rappresentativo in tutte le Regioni di giovani di 11, 13, 15 anni, ha fotografato non solo la diffusione del bullismo e del cyberbullismo, ma anche molti altri comportamenti degli adolescenti nel periodo post pandemico. I risultati della raccolta dati 2022 saranno illustrati il prossimo 8 febbraio 2023 in occasione del convegno “La salute degli adolescenti: i dati della sorveglianza Health Behaviour in School-aged Children - HBSC Italia 2022”, organizzato dall’ISS.
Confrontando la rilevazione del 2017/2018 la frequenza di atti di bullismo sembra essere stabile, mentre il cyberbullismo ha visto un’impennata nei giovani di 11 e 13 anni fortemente associata alla diffusione dei social network. Non emergono significative differenze tra Regioni con una variabilità compresa, per il bullismo, tra il 13% in alcune Regioni del sud Italia (Calabria e Basilicata) e il 18% nelle province autonome di Trento e Bolzano, e per il cyberbullismo, con percentuali che oscillano tra l’11-12% nelle Province autonome di Bolzano e Trento e il 16% in Campania, Puglia e Sicilia.


Virus respiratori: l'effetto delle co-infezioni è grave nei bimbi sotto i 5 anni

Studio USA: supporto di ossigeno e ricovero in Terapia Intensiva

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Un bimbo sotto i 5 anni che si ammali di Covid e contemporaneamente di un altro virus respiratorio ha il rischio doppio di manifestare sintomi gravi.
Lo rivela uno studio pubblicato su Pediatrics e condotto dagli esperti dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti, Paese che sta fronteggiando una grande epidemia di infezioni respiratorie multiple tra i bambini. Ha incluso i dati relativi a 4372 bambini ricoverati in ospedale con Covid-19.
Tra coloro che sono stati sottoposti a test per altri virus respiratori, per il 21% è stato rilevato anche un altro virus respiratorio.
I dati provengono dalla rete di sorveglianza dei ricoveri con Covid-19 dei CDCP statunitensi, chiamata COVID-NET, con dati provenienti da 14 Stati.
Lo studio ha rilevato che le coinfezioni dei virus respiratori sono state rare nel primo anno della pandemia, le co-infezioni di virus sinciziale (RSV) e rhinovirus o enterovirus sono aumentate durante il periodo di predominanza della variante Delta e la presenza contemporanea anche dell’influenza è stata poco frequente durante i primi due anni della pandemia. I dati hanno anche mostrato che i bambini con co-infezioni avevano maggiori probabilità di avere meno di 5 anni, di necessitare di un maggiore supporto di ossigeno e di essere ricoverati nel reparto di terapia intensiva. Non sono state riscontrate associazioni significative tra i bambini di età superiore ai 5 anni. In particolare, per i bambini di età inferiore ai 2 anni, il test positivo per il virus respiratorio sinciziale o RSV in presenza di Covid-19 era significativamente associato a una malattia grave.
Sono necessarie ulteriori ricerche sull’impatto preciso che due virus respiratori possono avere contemporaneamente sull’organismo. In ogni caso dallo studio emerge chiaramente che essere colpiti da due virus, in particolare se si ha meno di cinque anni di età tende a rendere la malattia più grave, più probabile il prolungamento della degenza in ospedale, più probabile il ricovero nel reparto di terapia intensiva pediatrica. “È chiaro che l’attacco simultaneo di due virus ai polmoni, alla gola e all’organismo - in generale al sistema immunitario - può rendere alcuni bambini più gravemente malati”, concludono gli Autori.


Un semplice spray nasale riduce il russamento nei bimbi

La soluzione salina può ridurre anche il ricorso alla rimozione delle tonsille

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Un semplice spray nasale a base di soluzione salina può ridurre significativamente il russamento e le difficoltà respiratorie nei bambini e diminuire il numero di coloro devono rimuovere le tonsille. Comparato a uno spray nasale steroideo antinfiammatorio offre gli stessi risultati come trattamento di prima linea contro questi disturbi. Lo rileva una ricerca del Murdoch Children’s Research Institute, pubblicata su JAMA Pediatrics (Baker A, Grobler A, Davies K, et al. Effectiveness of intranasal mometasone furoate vs saline for sleep-disordered breathing in children: a randomized clinical trial. JAMA Pediatr 2023 Jan 17:e225258. doi: 10.1001/jamapediatrics.2022.5258). Lo studio randomizzato ha coinvolto 276 bambini, di età compresa tra 3 e 12 anni.

È emerso che uno spray nasale salino (acqua salata) era efficace quanto uno spray nasale steroideo antinfiammatorio per alleviare i disturbi respiratori del sonno nei bambini dopo sei settimane di trattamento. I risultati hanno confermato che entrambi gli spray nasali hanno eliminato i sintomi durante il sonno in circa il 40% dei casi e i bambini valutati da un chirurgo che necessitavano della rimozione delle tonsille o delle adenoidi erano notevolmente di meno. La professoressa Kirsten Perrett, una delle Autrici della ricerca, spiega che lo studio ha rilevato che un numero considerevole di bambini con disturbi respiratori del sonno potrebbe inizialmente essere gestito dal pediatra di famiglia. “Una grande percentuale di bambini che russano e hanno difficoltà respiratorie -specifica- potrebbe essere gestita con successo dal pediatra di base, utilizzando sei settimane di uno spray salino intranasale come trattamento di prima linea. L’utilizzo di questo trattamento economico e facilmente disponibile migliorerebbe la qualità di vita dei bambini, diminuirebbe i tempi di attesa per gli interventi chirurgici e ridurrebbe i costi ospedalieri”.


Sai che cos'è la disprassia?

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All’asilo non ama colorare né disegnare. Si muove in modo goffo, spesso cade, non riesce ad andare in bicicletta neppure con le rotelline. Ecco alcuni segnali che i genitori non dovrebbero sottovalutare perché potrebbero essere il sintomo della presenza di disprassia, un disturbo infantile poco conosciuto che ha nella difficoltà di movimento la prima espressione.
Il termine indica infatti la difficoltà a fare movimenti coordinati con un preciso scopo, il che comporta il tenere insieme più funzioni e variabili contemporanee. Si tratta di un problema che interessa circa 6 bambini su 100, numeri bassi legati probabilmente al fatto che la disprassia è poco conosciuta e scarsamente diagnosticata. In genere la si individua nei primi anni di vita anche se è possibile che venga rilevata solo nell’adolescenza.
Non si tratta in ogni caso di una carenza muscolare come spesso si crede: nonostante nei bambini con disprassia possa essere presente uno scarso tono della muscolatura, questo non rappresenta la causa del problema bensì un sintomo. Le cause che determinano la disprassia al momento non sono ancora del tutto note. Un ruolo chiave è quello della genetica, ancora da indagare. Sono conosciuti invece i fattori che possono favorirne il manifestarsi come la sofferenza durante il parto o nella fase prenatale.
A rischio sono poi i neonati prematuri e quelli post-maturi nati cioè tra la 41 e la 42esima settimana. Ma quali sono i segnali da non sottovalutare? Nei neonati non vanno trascurate le difficoltà di suzione al seno e di alimentazione nonché un’eccessiva sensibilità ai rumori e alla luce che potrebbero essere segno di un deficit della neurosensorialità.
Vanno presi in considerazione poi i ritardi nelle tappe dello sviluppo motorio come il fatto di non gattonare oppure il camminare dopo i 15 mesi. Da più grandicelli i bambini con disprassia possono presentare difficoltà a salire e scendere le scale, all’andare in bicicletta, anche con le rotelle. Inoltre possono presentare problemi nell’equilibrio, nel correre, nel saltare, nell’eseguire i movimenti che risultano impacciati e goffi.
Esiste anche una disprassia degli arti superiori che si manifesta con difficoltà del bambino nel vestirsi, spogliarsi, allacciarsi le scarpe, usare matite, forbici e altri strumenti. Un’ulteriore forma di disprassia è legata all’apparato oculare che prevede movimenti dello sguardo poco coordinati con un inseguimento visivo a scatti e discontinuo. Spesso questi sintomi vengono trascurati o presi in carico tardi e in questi casi i bambini si trovano a dover affrontare, oltre ai problemi della disprassia, anche problematiche emotive come ansia, frustrazione, mancanza di autostima e di comportamento come irruenza e agitazione. Il percorso terapeutico dovrebbe sempre essere specifico per la tipologia di disprassia con interessa il bambino. Un aiuto prezioso ai genitori può essere dato dal neuropsichiatra infantile che può indicare il percorso più adatto per affrontare il problema che prevede come primo passo il riconoscimento delle abilità motori e prassiche da parte di terapisti delle neuro-psicomotricità dell’età evolutiva.


Ginecologi: bene il rooming-in del neonato, ma serve più supporto

L’assistenza sia individualizzata. Non dormire insieme

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La Società Italiana di Neonatologia (SIN), la Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) e l’Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) sottolineano il valore della pratica del rooming-in, che prevede la permanenza del neonato nella stessa stanza in cui è ricoverata la madre, ma raccomandano che “l’implementazione del rooming-in per essere appropriata preveda che le famiglie siano adeguatamente informate, coinvolte e supportate, e che gli operatori sanitari offrano un’assistenza per quanto possibile individualizzata ed empatica in modo”.
Le indicazioni arrivano dalle associazioni a seguito della morte di un neonato all’ospedale Pertini di Roma forse schiacciato dalla madre addormentatasi dopo l’allattamento.
“La moderna organizzazione delle Maternità attualmente prevede la gestione congiunta di madre e bambino, il cosiddetto rooming-in, che va proposto fornendo il necessario sostegno pratico e psicologico alla nuova famiglia. La gestione separata di madre e neonato, prevalente in epoche passate - affermano le associazioni in una nota - ostacola invece l’avvio della relazione genitore-famiglia-neonato, è contraria alla fisiologia, anche dell’allattamento, e non garantisce da eventi neonatali imprevisti e tragici”.
La “condivisione del letto fra una madre vigile e un neonato sano, messo in una posizione di sicurezza, è un fatto naturale, pratico, indiscutibile”, le società scientifiche però attualmente raccomandano di evitare la condizione del co-sleeping (ovvero del dormire insieme), giudicata non sicura, suggerendo di riporre il bambino a fine poppata nella propria culla, in particolare quando non siano presenti altri caregiver. Questa prudenza è giustificata ben oltre la permanenza di mamma e bambino nel Punto Nascita e interessa tutti i primi 6 mesi di vita. La carenza a livello nazionale del personale sanitario, pesantemente sofferta anche nell’area del percorso nascita, concludono, “non è però motivo sufficiente per giungere a ipotizzare proposte assistenziali involute e di minore qualità come la gestione separata di madre e bambino”.


AIDS nei bambini. Ogni anno 160mila nuovi casi e 15% dei decessi avviene tra i più piccoli

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Attualmente, nel mondo, ogni cinque minuti muore un bambino per cause legate all’AIDS. Solo la metà (52%) dei bambini colpiti da HIV è sottoposta a terapie salvavita, molto meno degli adulti, fra i quali tre quarti (76%) ricevono antiretrovirali. Prima riunione ministeriale dell’Alleanza globale per la lotta all’AIDS nei bambini: la Dichiarazione di Dar-es-Salaam per porre fine all’AIDS tra i bambini entro il 2030 è stata approvata all’unanimità.

I ministri e i rappresentanti di dodici Paesi africani si sono impegnati e hanno illustrato i loro piani per porre fine all’AIDS dei bambini entro il 2030. I partner internazionali hanno definito le modalità di sostegno ai Paesi per la realizzazione di questi piani, presentati in occasione della prima riunione ministeriale dell’Alleanza globale per la lotta all’AIDS nei bambini.
L’incontro, ospitato dalla Repubblica Unita di Tanzania, - sottolinea un comunicato dell’Unicef - “segna un passo avanti nell’azione per garantire che tutti i bambini colpiti dall’HIV abbiano accesso a cure salvavita e che le madri che vivono con l’HIV abbiano bambini che non ne sono colpiti”. L’Alleanza lavorerà per guidare i progressi nei prossimi sette anni, per garantire il raggiungimento dell’obiettivo del 2030.
Attualmente, nel mondo, ogni cinque minuti muore un bambino per cause legate all’AIDS. Solo la metà (52%) dei bambini colpiti da HIV è sottoposta a terapie salvavita, molto meno degli adulti, fra i quali tre quarti (76%) ricevono antiretrovirali.
Nel 2021, 160.000 bambini hanno contratto l’HIV di recente. I bambini rappresentano il 15% di tutti i decessi legati all’AIDS, nonostante il fatto che solo il 4% del numero totale di persone colpite dall’HIV sia costituito da bambini.
In collaborazione con le reti di persone che vivono con l’HIV e i leader delle comunità, i ministri hanno definito i loro piani di azione per aiutare a trovare e fornire i test a un maggior numero di donne in gravidanza e avviarle alle cure. I piani prevedono anche la ricerca e la cura dei neonati e dei bambini colpiti dall’HIV.
La Dichiarazione di Dar-es-Salaam sulla fine dell’AIDS nei bambini è stata approvata all’unanimità. Dodici Paesi con un alto tasso di HIV hanno aderito all’alleanza nella prima fase: Angola, Camerun, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo (RDC), Kenya, Mozambico, Nigeria, Sudafrica, Repubblica Unita di Tanzania, Uganda, Zambia e Zimbabwe.

Il lavoro sarà incentrato su quattro pilastri:

  • Test tempestivi e trattamento e cura ottimali per neonati, bambini e adolescenti;
  • Colmare il divario di cura per le donne in gravidanza e in allattamento che vivono con l’HIV, per eliminare la trasmissione verticale;
  • Prevenire i nuovi contagi da HIV tra le ragazze e le donne adolescenti in gravidanza e in allattamento.
  • Affrontare i diritti, l’uguaglianza di genere e le barriere sociali e strutturali che ostacolano l’accesso ai Servizi.

“Ogni bambino ha diritto a un futuro sano e pieno di speranza, ma per oltre la metà dei bambini colpiti dall’HIV questo futuro è minacciato”, ha dichiarato il Direttore Associato dell’UNICEF. “Non possiamo permettere che i bambini continuino a rimanere indietro nella risposta globale all’HIV e all’AIDS. I governi e i partner possono contare sulla presenza dell’UNICEF in ogni fase del processo. Questo include il lavoro per integrare i Servizi per l’HIV nell’assistenza sanitaria di base e rafforzare la capacità dei sistemi sanitari locali”.


Malattie tropicali neglette. Un miliardo di persone nel mondo ne soffre, oltre la metà in Africa

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In occasione della Giornata mondiale della NTDI, un gruppo di malattie infettive e parassitarie che possono causare danni irreversibili alla salute e alla produttività delle persone e che colpiscono principalmente i Paesi in via di sviluppo, AMREF e CUAMM puntano i riflettori contro la sindrome del dondolamento e contro il silenzio del mondo su questi drammi.

Sono oltre un miliardo di persone nel mondo affette da Malattie Tropicali Neglette (NTDI), e più della metà vive nel continente Africano. Sono un gruppo di malattie infettive e parassitarie, “neglette” perché non ricevono l’attenzione e i fondi necessari per la loro prevenzione e cura. Queste malattie possono causare danni irreversibili alla salute e alla produttività delle persone e contribuire alla povertà endemica nei Paesi colpiti, principalmente Paesi in via di sviluppo. Le NTD attualmente riconosciute dall’OMS sono venti, tra queste dengue, leishmaniosi, rabbia e oncocercosi, detta “cecità dei fiumi”, associata allo sviluppo della nodding syndrome.
Ad accendere i riflettori su queste malattie in occasione della loro Giornata mondiale, che si celebra ogni 30 gennaio, sono AMREF e CUAMM che hanno messo in particolare al centro dell’attenzione la nodding syndrome (“sindrome del dondolamento”) che le vede operare insieme in Sud Sudan.
Il Sud Sudan, protagonista di una delle peggiori crisi umanitarie di tutti i tempi, è uno dei Paesi più colpiti dalle NTD. La maggior parte della popolazione vive in condizioni di povertà estrema con un accesso limitato ai Servizi sanitari di base. Le condizioni di insicurezza e instabilità politica che hanno accompagnato la guerra civile hanno ulteriormente compromesso la capacità del Paese di affrontarle.
Guglielmo Micucci, Direttore di AMREF Health Africa - Italia, che nei mesi scorsi ha visitato il Sud Sudan in occasione della celebrazione dei 50 anni di lavoro dell’organizzazione nel Paese, ribadisce l’importanza di accendere i riflettori su queste malattie: “L’incidenza e distribuzione geografica delle NTD nei Paesi più fragili del mondo fa da specchio alle criticità di cui questi Paesi sono protagonisti. Si tratta spesso di malattie croniche e invalidanti, che aggravano condizioni sociali e sanitarie delle popolazioni colpite, limitando le prospettive di sviluppo di intere comunità. Le sfide sono tante e richiedono risposte globali all’altezza”.
La NS è una sindrome epilettica degenerativa che si verifica principalmente nelle regioni dell’Africa Subsahariana in cui la “cecità dei fiumi” è endemica, tra cui il Sud Sudan. Colpisce principalmente i bambini tra i 5 e i 15 anni e si caratterizza per episodi di improvvisi e ripetuti scatti della testa (da cui il nome “sindrome del dondolamento”), con effetti devastanti sullo sviluppo fisico e neurologico. Tra i sintomi, convulsioni e sviluppo di gravi deformità, problemi comportamentali, disturbi psichiatrici e/o perdita delle facoltà cognitive. Infine, l’abbandono scolastico, l’emarginazione, i maltrattamenti, la malnutrizione emergono come alcune delle conseguenze a lungo termine della NS.
Insieme a Medici con l’Africa CUAMM e altri partner, AMREF fa parte della Nodding Syndrome Alliance (NSA), alleanza nata con l’obiettivo di rispondere ai bisogni delle persone con epilessia (in particolare la NS) attraverso un’azione integrata e multisettoriale, volta a rafforzare la resilienza delle persone colpite e quella delle loro comunità. “In un panorama in cui i donatori sono sempre più restii ai finanziamenti di lungo periodo e la cooperazione tra partner è più complessa - afferma Chiara Scanagatta, Responsabile CUAMM per i progetti in Sud Sudan - la NSA è un’esperienza davvero positiva perché permette di unire le voci in una sola più forte per fare advocacy e promuovere politiche più adeguate con le Autorità e gli stakeholder locali”.
Trattandosi di malattie croniche o di lungo corso, ricorda una nota, è “necessaria la continuità nella prevenzione, nella cura e nell’assistenza, che non può essere solo clinica ma integrata a un percorso di riabilitazione sociale ed economica. Ci sono diversi livelli di complessità, dal bisogno di risorse costanti al coinvolgimento e alla collaborazione di tanti attori, in particolare le famiglie e le comunità che devono essere sensibilizzate e alle quali deve essere garantito un supporto dedicato”.
“Da aprile 2020 a dicembre 2022, 920 pazienti sono seguiti regolarmente presso il Centro di assistenza sanitaria primaria di Mundri e 300 a Lui. Un lavoro sfidante ma che siamo determinati a portare avanti, insieme e con dedizione”.
Infine, sempre nell’ambito delle malattie tropicali neglette, AMREF sta inoltre completando la mappatura nazionale del tracoma, una delle principali cause di cecità, per meglio informare interventi di contrasto più efficaci e mirati. Contemporaneamente porta avanti studi scientifici sull’efficacia di interventi alternativi mirati al controllo e all’eradicazione dell’oncocercosi.


Giochi cinesi ritirati per la presenza di sostanze nocive

Orologi, zainetti e libri galleggianti con ftalati

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Orologi, borse e libri galleggianti per bambini, prodotti in Cina e contenenti ftalati, sono stati ritirati dal mercato.
L’avviso, pubblicato sul sito del Ministero della Salute, riporta nello specifico le marche dei prodotti: orologio per bambini della marca Marca Jcky Time, lo zainetto per bimbi della marca Mai Max Firenze e libro da bagno ‘I Contrari’ della marca Edibimbi.
Tutti i prodotti interessati dalla “Disposizione nazionale di divieto vendita, ritiro e richiamo” provengono dalla Cina e sono stati ritirati per “rischio chimico” in quanto contengono ftalati, sostanze vietate dal Regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH) 1907/2006.
Gli ftalati, infatti, sono composti diffusamente utilizzati come plasticizzanti e sono riconosciuti come interferenti ormonali. La loro esposizione durante l’infanzia e la pubertà merita, quindi, secondo le autorità, una speciale attenzione.
Una settimana fa erano stati riportati sul sito del Ministero della Salute tre allarmi dei consumatori dovuti alla presenza di ftalati e boro in vasetti di pasta modellabile, in un tavolino multiattività per bimbi e in un ferro da stiro in plastica.


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Abate MV (a cura di). Disforia di genere. Gli psicologi (CNOP): serve una riflessione sull’adolescenza - Telefono Azzurro, il 50% ragazzi sta sui social 2-3 ore giorno - Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Ne è vittima il 15% dei giovani - Virus respiratori: l'effetto delle co-infezioni è grave nei bimbi sotto i 5 anni - Un semplice spray nasale riduce il russamento nei bimbi - Sai che cos'è la disprassia? - Ginecologi: bene il rooming-in del neonato, ma serve più supporto - AIDS nei bambini. Ogni anno 160mila nuovi casi e 15% dei decessi avviene tra i più piccoli - Malattie tropicali neglette. Un miliardo di persone nel mondo ne soffre, oltre la metà in Africa - Giochi cinesi ritirati per la presenza di sostanze nocive. Medico e Bambino 2023;26(2) https://www.medicoebambino.com/?id=NEWS2302_10.html