Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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UOC di Pediatria, Ospedale di Treviglio (Bergamo)
Indirizzo per corrispondenza: valentina_aba@yahoo.it

Sommario
Celiachia: 8582 le nuove diagnosi nel 2021. Il totale supera i 241mila, il 70% sono donne
La Relazione al Parlamento
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Nel 2021 il Sistema Sanitario Nazionale ha speso circa 233.349.439 euro per i prodotti senza glutine erogati, con una spesa media pro-capite di 965 euro. E meno del 20% degli adolescenti celiaci rimane affidato a cure mediche specialistiche dopo l’adolescenza. Pubblicata la nuova Relazione al Parlamento.
Nel 2021 erano 241.729 i celiaci in Italia (erano 233.147 nel 2020) di cui il 70% (168.385) sono donne, il restante 30% (73.344) uomini. Solo l’11% dei celiaci diagnosticati ha più di 60 anni. Sono stati circa 433 i corsi di formazione organizzati con il coinvolgimento circa 7701 operatori del settore ristorativo e alberghiero. Le Regioni più attive del 2021 sono state Piemonte, Emilia-Romagna e Abruzzo. Non sono stati invece attivati corsi di formazione in Friuli-Venezia Giulia e Umbria. Le mense nazionali che garantiscono il pasto senza glutine ai celiaci che ne fanno richiesta sono in totale 37.727 di cui 27.233 scolastiche (72%), 7475 ospedaliere (20%) e 3019 annesse alle strutture pubbliche (8%).
Questi i numeri della Relazione al Parlamento sulla celiachia, patologia autoimmune cronica che colpisce circa l’1% della popolazione generale. In media, in Italia ogni anno vengono effettuate circa 9mila diagnosi con una prevalenza della malattia del 0,41%. Nel 2021 sono state 8582 le nuove diagnosi in crescita rispetto all’anno della pandemia (7729). Dalla Relazione emerge inoltre che solo una minoranza (meno del 20%) degli adolescenti celiaci rimane affidato a cure mediche specialistiche dopo l’adolescenza.
“La celiachia è una malattia cronica a rischio di complicanze che coinvolge circa 241.729 pazienti - scrive nella prefazione il ministro della Salute Orazio Schillaci - per supportare la dieta senza glutine di chi quotidianamente vive questa condizione, il Servizio Sanitario Nazionale contribuisce all’acquisto dei prodotti senza glutine, garantisce la possibilità di usufruire di pasti senza glutine nelle mense e finanzia la formazione degli operatori del settore alimentare. Ma la prevenzione è sempre più efficace della cura e l’Italia crede fortemente nei programmi e nei protocolli diagnostici e di follow-up come forma primaria di salvaguardia. Il presente documento, anche quest’anno, vuole essere una sintesi sullo stato dell’arte e del lavoro prezioso che ogni anno si svolge nella nostra Nazione a tutela di ciò che più di prezioso abbiamo: la salute”.
Nel 2021 per i prodotti senza glutine erogati il SSN ha speso circa 233.349.439 euro, con una spesa media pro-capite di 965 euro (nel 2020 erano stati spesi 209.688.912,2 euro con un contributo pro-capite medio di circa mille euro). Nel 2022, sulla base dei dati del 2021, sono stati quindi stanziati in favore delle Regioni 325.689,09 euro per la garanzia dei pasti e 564.694,94 euro per le iniziative di formazione per un totale di 890.384,02 euro.

Gli alimenti senza glutine erogabili gratuitamente alle persone celiache sono quelli classificabili come “specificamente formulati per celiaci” o “specificamente formulati per persone intolleranti al glutine” e appartenenti alle seguenti categorie: pane e affini, prodotti da forno salati, pasta e affini; pizza e affini; piatti pronti a base di pasta; preparati e basi pronte per dolci, pane, pasta, pizza e affini; prodotti da forno e altri prodotti dolciari; cereali per la prima colazione.
Si tratta di alimenti di base, prevalentemente fonte di carboidrati e costituiti da cereali senza glutine che nella dieta quotidiana sostituiscono i corrispondenti alimenti caratterizzati tradizionalmente dalla presenza di cereali fonti di glutine. I tetti di spesa sono stati aggiornati nel 2018 sulla base dei Livelli di Assunzione Raccomandati di energia e Nutrienti per la popolazione italiana (2014), dei prezzi rilevati al consumo nel solo canale farmaceutico e maggiorati del 30% per tener conto di particolari esigenze nutrizionali.
La dematerializzazione e la circolarità dei buoni per l’acquisto dei prodotti senza glutine
Oggi, su quasi tutto il territorio nazionale, è possibile acquistare i prodotti senza glutine anche nella grande distribuzione organizzata e nei negozi specializzati dove è possibile trovare ampia scelta e prezzi generalmente più competitivi.
Per uniformare le modalità di erogazione dei prodotti senza glutine, favorire la diversificazione dei canali distributivi e consentire la circolarità dell’erogazione in tutte le Regioni italiane è stato previsto un investimento che mira al potenziamento del fascicolo sanitario elettronico e al completamento del Sistema Tessera Sanitaria. Nell’ambito di tale progetto è ricompresa la digitalizzazione dei buoni per la spesa per i soggetti celiaci, l’utilizzo degli stessi nella piccola, media e grande distribuzione, nonché la circolarità degli stessi buoni sull’intero territorio nazionale.
“Si tratta di un progetto che prende a modello le positive esperienze già adottate a livello regionale sulla base del riuso delle soluzioni e standard aperti così come previsto dal Codice dell’amministrazione digitale” si spiega nella relazione.
Sul fronte delle decisioni terapeutiche, si legge nella Relazione, l’atteggiamento prevalente è quello di porre a dieta priva di glutine i pazienti sintomatici per verificare la glutine-dipendenza dei sintomi; al contrario i pazienti asintomatici vengono lasciati a dieta libera, ma con uno stretto programma di follow-up per verificare l’andamento clinico-laboratoristico e la comparsa di eventuali segni e sintomi della malattia, come indicato dalle nuove linee-guida dell’ESPGHAN pubblicate nel 2020.
L’aderenza alla dieta glutinata durante l’adolescenza ha un’importanza specifica perché, qualora instaurata dopo il raggiungimento del picco di massa ossea (16-18 anni nelle femmine e 20-22 anni nel maschio), non basterà più da sola a correggere il difetto di mineralizzazione dell’osso.
È stato calcolato che solo una minoranza (meno del 20%) degli adolescenti celiaci rimane affidato a cure mediche specialistiche dopo l’adolescenza. Un evento che rappresenta uno dei fattori di maggior peso nel favorire una cattiva aderenza alla dieta aglutinata e impone la ricerca di una soluzione specifica.
Sarebbe opportuno, si suggerisce nella Relazione, che “l’inizio dello sviluppo pubere rappresentasse un’occasione per riformulare la diagnosi direttamente al giovane adulto, discutendone a tu per tu le implicazioni senza la mediazione dei genitori, dandogli così occasione di ricevere risposte personalizzate a dubbi e timori e di maturare consapevolezza del suo problema”. Il processo di consapevolizzazione e di responsabilità è un fattore di importanza determinante per la buona compliance alle terapie nella celiachia, rileva la Relazione, come in tutte le malattie croniche in generale e potrebbe essere favorito da un intervento condiviso e concordato (transizione) tra pediatra e medico dell’adulto.
Curato nei bambini un grave tumore del sistema nervoso
Terapia CAR-T al “Bambino Gesù”, il 36% senza tracce di malattia a 3 anni
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Si apre uno spiraglio di cura nel neuroblastoma, il tumore solido extracranico più frequente dell’età pediatrica.
Un trattamento a base di cellule CAR-T, cellule immunitarie prelevate dai pazienti e modificate geneticamente per riconoscere il tumore, ha mostrato per la prima volta efficacia nella maggioranza dei pazienti affetti dalla forma più grave della malattia. Il trattamento è stato messo a punto da medici e ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma; i dati relativi alla prima sperimentazione condotta su 27 pazienti sono stati illustrati sul New England Journal of Medicine.
Il trattamento si è dimostrato sicuro ed efficace: il 63% dei pazienti ha presentato una risposta al nuovo trattamento e più della metà di essi è andato incontro a una remissione completa di malattia.
A 3 anni era vivo il 60% dei pazienti; la metà di loro (il 36%) non aveva segni di malattia in corso. Le cellule CAR-T, infine, erano presenti nell’organismo a 2-3 anni dall’infusione sostenendo nel tempo l’efficacia terapeutica.
“È la prima volta a livello internazionale che uno studio sull’uso delle CAR-T contro i tumori solidi raggiunge risultati così incoraggianti e su una casistica così ampia”, ha commentato il coordinatore della sperimentazione Franco Locatelli, responsabile dell’area di ricerca e area clinica di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico del Bambino Gesù, nonché professore ordinario di Pediatria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Finalmente abbiamo un’arma terapeutica in più che può essere impiegata per il trattamento dei bambini che ricevono una diagnosi di neuroblastoma”.
“Oggi abbiamo la possibilità di poter impiegare lo stesso tipo di cellule CAR-T anche in diverse tipologie di tumori cerebrali. Abbiamo già pronto un protocollo clinico in valutazione per le ultime rifiniture all’Istituto Superiore di Sanità e, una volta ricevuta l’approvazione da parte delle Agenzie regolatorie, inizieremo un trial clinico anche nei tumori cerebrali dei bambini e dei giovani adulti fino ai 35 ani di età”. È quanto ha anticipato Franco Locatelli, responsabile dell’area di ricerca e area clinica di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico del Bambino Gesù, nel corso della presentazione dello studio clinico sull’impiego di nuove cellule CAR-T in bambini e ragazzi con neuroblastoma. I tumori oggetto della nuova sperimentazione, ha chiarito Locatelli, saranno diversi tumori cerebrali: “dal medulloblastoma ai gliomi diffusi della linea mediana ai gliomi di alto grado delle zone talamiche”.
Infanzia non serena, preoccupato un bambino su tre
Indagine USA: tristi e con mal di pancia e di testa per affanni
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L’infanzia non è più sinonimo di serenità: secondo l’indagine What’s Worrying America’s Kids, condotta da Harris Poll per conto di Nemours KidsHealth, il sito più visitato in USA specializzato sui contenuti sulla salute dei bambini, infatti, oltre un bambino su tre di 9-13 anni (37%) si preoccupa almeno una volta alla settimana, soprattutto per motivi riguardanti la scuola (64%) e le amicizie (41%), e il livello di preoccupazione aumenta con l’età.
I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitensi (CDCs) hanno documentato alti livelli di ansia e preoccupazione tra gli adolescenti. Nemours KidsHealth ha coinvolto 504 giovani di 9-13 anni per capire meglio le loro preoccupazioni.
La crescente crisi della salute mentale dei giovani richiede che genitori, assistenti, insegnanti e operatori sanitari lavorino insieme per garantire ai nostri giovani il sostegno e le risorse di cui hanno bisogno”, dichiara Lawrence Moss, Presidente e Amministratore Delegato di Nemours Children’s Health.
Dall’indagine è emerso che la maggior parte dei bambini (86%) riferisce di essere preoccupata, e uno su tre (37%) lo è una volta alla settimana o più. Un bambino su tre (33%) ritiene di preoccuparsi più della maggior parte dei bambini della sua età.
I bambini si preoccupano soprattutto per la scuola (64%) e per gli amici o le amicizie (41%). Più di un bambino su tre (35%) si preoccupa della salute delle persone che ama. Inoltre si preoccupano del loro aspetto (65%) e di essere vittime di bullismo (55%). Per quanto riguarda gli effetti della preoccupazione, molti bambini dicono di sentirsi distratti o incapaci di concentrarsi (40%), tristi o infelici (36%), oppure di non voler parlare con nessuno (34%). Altri riferiscono di sentirsi male o di avere mal di stomaco (23%) o mal di testa (21%).
Autismo, passi avanti nella diagnosi ma indietro sui bisogni
Genitori, leggi solo su carta. In Italia 1200 Centri, 25% al Sud
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Sempre più bimbi con disturbi dello spettro autistico riescono ad avere una diagnosi precoce e a iniziare presto i trattamenti.
Ma sul fronte dei diritti dei pazienti e delle loro famiglie sono ancora troppi i bisogni da colmare e pochi i dati disponibili. A partire dal numero dei casi in Italia, visto che manca un registro nazionale.
Tra piccoli passi avanti e annosi problemi che perdurano, la sera del 2 aprile la luce blu illuminerà i principali monumenti per la Giornata Mondiale per la consapevolezza sull’Autismo.
A pesare sono anche le differenze tra le Regioni in termini di assistenza. Secondo la mappatura dell’Istituto superiore di sanità, a marzo 2023, i Centri clinici e socio-sanitari per l’autismo e gli altri disturbi del neurosviluppo censiti in Italia sono oltre 1200, di cui 649 (54%) al Nord, 259 (21%) al Centro e 294 (25%) al Sud e Isole. Relativamente all’utenza, 629 Centri offrono prestazioni per l’età evolutiva e 517 per l’età adulta per un totale di 782.929 utenti, di cui 78.242 con diagnosi di autismo. Nell’ultimo anno, ed è questa una buona notizia, l’Istituto ha siglato accordi con le Regioni nell’ambito del Fondo Autismo per oltre 20 milioni di euro per implementare percorsi differenziati per la formulazione di piani individualizzati.
I Disturbi dello Spettro Autistico sono un insieme di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale, interessi o attività ristretti e ripetitivi. In Italia, secondo dati dell’ISS, un bambino su 77 presenta questo problema e i maschi sono colpiti 4,4 volte in più rispetto alle femmine. “Diverse ricerche - denuncia l’Associazione Nazionale Genitori Persone con Autismo (ANGSA) - indicano che la quota della popolazione nello spettro autistico è intorno all’1% e riguarda 300mila persone in Italia” ma “non esiste un registro dei casi di disturbi dello spettro autistico. Piemonte ed Emilia Romagna sono le uniche due Regioni che dispongono di dati epidemiologici completi. Nel resto del paese gli unici dati certi riguardano i minori iscritti a scuola che sono circa 50mila”. In Italia, abbiamo un’ottima legge ma “resta su carta, mentre siamo drammaticamente indietro per i bisogni reali” e “spesso le politiche per l’autismo sono frammentate tra i vari soggetti pubblici producendo dispersione, inefficienza e sprechi nell’utilizzo delle risorse”. Di contro passi avanti ci sono nella diagnosi precoce, già entro i 2-3 anni di età. Questo, spiega Elisa Fazzi, presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), “è un obiettivo raggiunto o ben avviato nella maggior parte delle Regioni”. Ma, aggiunge, “non altrettanto avviene per gli interventi terapeutici, sebbene anche in questo ambito grandi passi avanti siano stati realizzati”. Certamente uno dei nodi resta quello che accade dopo la maggiore età, ovvero l’accompagnamento nella vita adulta. Quasi sempre, infatti, i famigliari sono caregiver obbligati, a causa della carenza di alternative, a tenere in famiglia figli con elevato grado di complessità. “Il progetto di vita - ha detto il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli - è alla base del percorso che ogni persona deve seguire per avere una vita dignitosa”. Intanto in Italia, come in tantissime altri Paesi, domenica 2 aprile, per la Giornata istituita dalle Nazioni Unite nel 2007, molti monumenti sono stati illuminati di luce blu, e tra questi anche Palazzo Montecitorio e il Ministero dell’Istruzione e del Merito. Su indicazione del ministro Giuseppe Valditara, nelle scuole italiane la Giornata c’è stato un momento per riflettere su come migliorare la vita scolastica per alunni con disturbi dello spettro autistico. Mentre in occasione della Giornata la Fondazione Cervelli Ribelli del giornalista e scrittore Gianluca Nicoletti, papà di un ragazzo con autismo, ha ospitato a Roma 15 Cyber Rebels da tutta Italia: giovani con autismo e un particolare interesse all’uso di strumenti informatici per comunicare, studiare, giocare o lavorare.
Adolescenti: dal consumo di alcol allo sviluppo puberale, cosa riserverà il futuro nel campo della salute?
Al via il sondaggio annuale di Associazione Laboratorio Adolescenza e IARD su abitudini e stili di vita dei ragazzi fra i 13 e i 19 anni
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Avremo a disposizione cure nuove e sempre più efficaci o dovremo affrontare sempre più spesso nuove malattie ed epidemie? Saremo finalmente attenti ai problemi ambientali o saremo destinati a un progressivo degrado con tutte le conseguenze che questo ha anche sulla salute? Sono due domande dell’edizione 2023 dell’indagine annuale su abitudini e stili di vita degli adolescenti che vivono in Italia, realizzata dall’Associazione Laboratorio Adolescenza e dall’istituto di ricerca IARD, che è appena partita e si concluderà nel mese di maggio. L’indagine - dal titolo, non a caso, “Adolescenti e futuro” - verrà realizzata su un campione nazionale rappresentativo di 2800 adolescenti di età compresa tra i 13 e i 19 anni e coinvolgerà decine di scuole su tutto il territorio nazionale. Ma è possibile accedere e rispondere al questionario in forma anonima (se si è nel target di età contemplato) anche da Corriere Salute.
Conoscere l’«eredità» di pandemia e guerra
Il questionario è anonimo, non contiene domande riferibili a dati sensibili e non è tracciabile, ovvero non è possibile risalire a chi ha risposto. «L’obiettivo dell’indagine di quest’anno - spiega Carlo Buzzi, sociologo dell’Università di Trento e direttore scientifico del progetto - è capire se e quanto gli anni della pandemia e la guerra in Ucraina (che ha sconvolto non poco i giovani) abbiano influito sulla visione che gli adolescenti hanno del futuro che li attende. I dati emersi dalle indagini dei due anni precedenti non sono stati confortanti e hanno fotografato una adolescenza insicura rispetto al futuro e psicologicamente fragile, che spesso reagisce con atteggiamenti di sfida o richiudendosi sempre più in sé stessa. Il 2023, che possiamo considerare, con tutte le cautele del caso, l’anno del ritorno alla normalità, ci dirà se alcune criticità si sono riassorbite o si stanno radicando».
Fra i temi affrontati anche il rapporto con il medico curante
Ampia parte dell’indagine, che ha anche il patrocinio della Società Italiana di Pediatria (SIP) e della Società Italiana di Ginecologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SIGIA) è dedicata proprio agli aspetti che riguardano la salute. Dal consumo di alcol, che è in netto aumento tra gli adolescenti, a un crescente disagio psicologico che gli adolescenti manifestano e che, se è improprio chiamare depressione, rappresenta comunque un preoccupante segnale di allarme che non può essere semplicisticamente derubricato a naturale fenomeno adolescenziale.
L’indagine cercherà di indagare sul rapporto che gli adolescenti hanno, o vorrebbero avere con il proprio medico curante, sulla percezione nei confronti delle vaccinazioni (lontana dagli obiettivi la copertura vaccinale contro l’HPV e contro il meningococco) e sull’utilizzo dei farmaci da banco (soprattutto antidolorifici) che gli adolescenti assumono, non sempre dietro prescrizione e controllo medico, per far fronte ai disturbi di cui soffrono, primi tra tutti il mal di testa e il mal di stomaco, spesso derivanti da stress psicologico.
Sviluppo puberale in anticipo per le ragazze
L’indagine affronterà anche il tema del menarca e del ciclo mestruale (con una batteria di domande dedicate alle ragazze) per un interessante confronto con dati analoghi raccolti nel 2013. «Un confronto molto utile - afferma Gianni Bona, pediatra endocrinologo e presidente onorario di Laboratorio Adolescenza - alla luce delle sempre più numerose evidenze scientifiche che sembrano dimostrare che i due anni di pandemia abbiano accelerato l’anticipo dello sviluppo puberale, specie nelle ragazze, che si stava registrando da anni, ma con progressione molto più lenta».
Le cause? «Ancora difficile dare risposte scientificamente corrette, ma sotto osservazione ci sono alimentazione scorretta, ridotta attività fisica e aumento della sedentarietà, aumentato uso di device elettronici, cambiamento delle abitudini del sonno. Tutti fenomeni che si sono verificati durante la pandemia ma che purtroppo tendono, anche a pandemia finita, a radicalizzarsi».
Rischio sovrappeso se i bimbini vanno a letto tardi nel weekend
Cresce il girovita, si raccomandano orari regolari 7 giorni su 7
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I bambini che vanno a letto tardi nel weekend sono più a rischio di sovrappeso: il loro girovita aumenta anno dopo anno.
Lo rivela una ricerca pubblicata sul Journal of Sleep Research e condotto da Heli Viljakainen dell’Università di Helsinki, in Finlandia.
Ricerche precedenti suggeriscono che i bambini che dormono meno della quantità di sonno raccomandata per la loro età hanno maggiori probabilità di diventare sovrappeso, ma si sa meno sull’effetto dell’orario cui si va a letto.
I ricercatori finlandesi hanno preso le misure del corpo (peso, altezza, girovita ecc.) di oltre 10.000 bambini di età compresa tra i 9 e gli 11 anni, ai quali è stato chiesto di indicare le loro abitudini di sonno. La metà dei bambini è stata misurata nuovamente 2,5 anni dopo. Dalle misurazioni iniziali è emerso che i bambini che andavano a letto più tardi nei fine settimana rispetto alle notti infrasettimanali avevano un rapporto vita-altezza più alto rispetto a quelli con orari regolari durante tutta la settimana. Avevano anche un più alto indice di massa corporea, indice di sovrappeso. Andare a letto due ore più tardi nei fine settimana, per esempio, è stato associato a una circonferenza della vita maggiore di 2,4 centimetri e a un indice di massa corporea più alto di 0,32 nei bambini alti 148 centimetri. Andare a letto tardi nel fine settimana è stato associato anche a un aumento del peso durante il periodo di monitoraggio del campione di 2,5 anni.
Ad esempio, i bambini di 11 anni che andavano a letto due ore più tardi nei fine settimana rispetto alle notti infrasettimanali avevano un aumento di 0,6 centimetri in più del girovita dopo 2 anni e mezzo rispetto ai partecipanti con orari regolari.
Il fatto di rimanere svegli nei fine settimana è stato collegato anche a un aumento di peso eccessivo negli adulti.
Spesso significa fare uno spuntino notturno, dormire fino a tardi al mattino e consumare pasti a orari ritardati nei giorni successivi, spiega Cedernaes. Il nostro corpo non metabolizza bene il cibo al di fuori dei normali orari dei pasti.
Si dovrebbe incoraggiare i bambini ad andare a letto alla stessa ora ogni sera durante tutta la settimana, consigliano i ricercatori. Limitare il tempo trascorso di fronte a TV, smartphone e tablet e incoraggiare l’attività fisica diurna.
Malattie accumulo lisosomiale, l’obiettivo è lo screening nei neonati
In Toscana e Veneto progetto pilota con 400mila test
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Lo screening neonatale esteso può aiutare migliaia di bambini che ogni anno vanno incontro a disabilità gravissime o a morte prematura.
La legge di bilancio 2019 stabilisce l’inserimento di 10 patologie metaboliche, tra cui le malattie da accumulo lisosomiale, nella lista dello screening neonatale, modificando di conseguenza la Legge 167/2016 sullo screening neonatale metabolico. Ma fino ad oggi questo obiettivo non ha ancora trovato compimento.
Emerge dall’iniziativa “Raro chi trova”, promossa da Takeda con il patrocinio di associazioni e società scientifiche.
Nell’ambito dell’evento, un Report condotto da AstraRicerche ha raccolto dati sull’utilità dello screening neonatale esteso per le malattie da accumulo lisosomiale, analizzando i risultati dei progetti pilota di Toscana e Veneto. La frequenza di casi positivi riscontrata sugli oltre 400.000 test effettuati è un elemento per l’estensione; accanto all’elevata frequenza della sintomatologia non neonatale. Altro dato è la sostenibilità economica. Lo screening neonatale esteso ha un relativo basso costo, qualche decina di euro a neonato, l’inserimento delle patologie da accumulo lisosomiale non cambierebbe le cose. Lo screening consiste in un test che analizza l’attività enzimatica specifica di ciascuna malattia seguito, nei casi positivi, da un secondo esame di conferma che ricerca i metaboliti caratteristici. “Nelle malattie da accumulo lisosomiale non parliamo più solo di screening ma di programma di screening: non si tratta di fare solo un’analisi ma anche prendere in carico il paziente- spiega Alberto Burlina, Direttore UOC di Malattie Metaboliche Ereditarie, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova - Non c’è un motivo per non inserire le malattie lisosomiali nello screening neonatale esteso: la strumentazione e il personale sono gli stessi, anche se serve l’expertise specifico, nulla cambia per il paziente, nulla cambia per il Centro nascite né per il trasporto del materiale organico e per il laboratorio.
Non sono certo poche malattie a cambiare i costi, visto che abbiamo uno screening per 50 malattie. Servono pochi Centri selezionati, che abbiano un bacino di nati di almeno 60.000 all’anno”.
Emicrania in bambini e ragazzi legata ad ansia e depressione
Rischio doppio di soffrirne per i giovani pazienti emicranici
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L’emicrania nei giovani può accompagnarsi a varie forme di disagio emotivo, uno studio pubblicato sulla rivista Jama Pediatrics mostra che bambini e adolescenti che soffrono di emicrania sono più a rischio di ansia e depressione.
La ricerca - una revisione sistematica di centinaia di studi sull’emicrania nei giovanissimi - è stato svolto da Serena Orr dei Departments of Pediatrics and Clinical Neurosciences presso la University of Calgary, in Canada. Circa il 10% dei bambini e adolescenti soffre di emicrania, sottolinea Serena Orr in un’intervista all’ANSA.
L’esperta ha considerato un campione di 2121 giovani pazienti con emicrania, confrontandolo con 2271 coetanei con altri tipi di cefalea e con 15.288 individui di controllo che non soffrivano di mal di testa. Ebbene, è emerso che in presenza di emicrania la probabilità di soffrire di disturbi di ansia e depressive è raddoppiata per i bambini e gli adolescenti rispetto ai coetanei che non soffrono di mal di testa. “Sulla base di questi risultati - sottolinea l’esperta - raccomandiamo che tutti i bambini e adolescenti con emicrania siano anche tenuti sotto controllo per i disturbi di ansia e la depressione. Bisognerà comunque indagare se vi sia una relazione di causa-effetto tra ansia e depressione ed emicrania” e cosa viene prima, insomma se sia il mal di testa a causare ansia e depressione o viceversa. “Bisogna anche indagare - conclude - se bambini e adolescenti con emicrania e contemporaneamente con disturbi di ansia e depressivi abbiano un diverso decorso del proprio mal di testa negli anni a venire”.
In 40mila con sindrome di Down, passi avanti contro la forma grave
Bambino Gesù, immunoglobuline per i casi complessi di regressione
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La sindrome di Down (o trisomia 21) interessa circa 40.000 persone solo in Italia, un bambino ogni 1200 nati.
In occasione della Giornata Mondiale del 21 marzo, l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù - che segue oltre 800 bambini e ragazzi con la sindrome di Down - rilancia l’importanza di un approccio multidisciplinare e di appositi percorsi clinici di transizione dall’età pediatrica a quella adulta, sottolineando anche le nuove prospettive di cura per i casi più complessi di regressione, una manifestazione della trisomia 21 che comporta la perdita rapida e anomala delle abilità di pensiero, di socializzazione e delle abilità necessarie per condurre le attività quotidiane.
Ad oggi, i progressi della Medicina e una presa in carico precoce possono garantire a queste persone, affermano gli specialisti, delle prospettive e una qualità della vita inimmaginabili fine a poco tempo fa. In particolare, dal 2017 un gruppo internazionale di clinici ha creato un database contenente dati sui sintomi, sulle indagini mediche e sulla gestione clinica di pazienti con regressione e il Bambino Gesù ha partecipato a uno studio in collaborazione con altri Centri americani che ha coinvolto 51 pazienti con regressione.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista American Journal of Medical Genetics.
Lo studio ha dimostrato come le caratteristiche diagnostiche differivano nettamente tra i casi di regressione e il gruppo di controllo. Rispetto al gruppo di controllo, i pazienti con regressione avevano un numero di disturbi psichici quattro volte superiore, un numero di fattori di stress sei volte superiore e un numero di sintomi depressivi sette volte superiore. Per quanto riguarda la gestione clinica, sono stati confrontati i tassi di miglioramento con la terapia elettroconvulsiva, con la somministrazione di immunoglobuline endovena (IVIg) e altre terapie. Il trattamento con IVIg è stato significativamente associato a un più alto tasso di miglioramento clinico. I dati “dimostrano che la regressione è trattabile con diverse forme di gestione clinica e ha un decorso variabile - spiega Diletta Valentini, responsabile del Centro sindrome di Down del Bambino Gesù -. Il nostro studio pone le basi per ricerche future, come lo sviluppo di misure dei risultati oggettive e standardizzate, e la creazione di una linea guida per la gestione clinica della regressione”.
Salute: Gherloni (CSS), 6 italiani su 10 non curano i denti
Schillaci: al lavoro per attuare cure essenziali ferme dal 2017
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“Il 60% delle persone in Italia non vanno dal dentista, quasi tutti perché non possono permetterselo” anche perché “il 95% delle cure odontoiatriche avviene nel privato”.
E “le famiglie oggi spendono meno del pre-Covid per curare i denti. Nel 2022 la spesa per le cure dentali è stata del 14% inferiore al 2018”.
A fare il punto sulle difficoltà a curare la salute della bocca è stato Enrico Gherlone, membro del Consiglio Superiore di Sanità e consigliere del ministro della Salute per l’odontoiatria, intervenendo alla celebrazione per la Giornata Mondiale di Promozione della Salute Orale organizzata a Roma dall’Associazione Italiana Odontoiatri (AIO). Secondo il rapporto RBM-Censis gli italiani spendono circa 9,5 miliardi per le cure dentali, quasi tutti di tasca loro, mentre il servizio sanitario copre solo un 5% del totale delle cure, per una stima di meno di 500 milioni. “È tempo - dice il presidente AIO Gerhard K. Seeberger - di collaborare, governo e dentisti, per offrire prevenzione, sigillature ai bambini fra 5 e 10 anni, e di parlare di offerta di dispositivi protesici ai profili vulnerabili in età evolutiva e over-65. Non solo cura di carie e gengive, i dentisti possono avere un ruolo chiave nella prevenzione dei tumori orali: portarla nello studio del dentista “di famiglia”, è l’obiettivo del progetto di formazione dei professionisti Oral care total care di AIO. Ai dentisti che aderiscono all’iniziativa saranno forniti strumenti diagnostici innovativi che sfruttano l’autofluorescenza cellulare per effettuare una diagnosi precoce di questo tipo di lesioni. “L’insorgenza del cancro orale nella maggior parte dei casi è legato a fattori di rischio quali fumo, alcol, irritazioni croniche da protesi incongrue, abrasioni a causa di denti fratturati, papilloma virus, diabete, ma circa il 25% dei pazienti colpiti non presenta i fattori di rischio”, spiega David Rizzo, vice presidente nazionale AIO. È fondamentale, ha concluso, “una diagnosi tempestiva dei dentisti per individuare la lesione allo stadio iniziale così da ridurre la mortalità circa del 90%”.
“In Italia il 36% dei bambini, ovvero oltre 1 milione e 800mila, è portatore di carie non trattata dei denti decidui; percentuale solo leggermente inferiore, pari 29,6%, negli adulti, di cui ben 16 milioni e 900mila hanno carie non trattate. Per non parlare della perdita di denti totale o parziale che riguarda 6 milioni e 300mila adulti sopra i 20 anni di età”. E purtroppo c’è “una quota di popolazione italiana che rinuncia alle cure dentistiche per motivi economici”. ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci. È importante, ha detto il ministro, “tenere alta l’attenzione perché, al di là della elevatissima prevalenza, le patologie orali hanno impatti rilevanti sulla qualità della vita delle persone e sulla salute generale nonché un notevole impatto sociale”. In questo campo, la prevenzione, ha proseguito, “rappresenta la prima forma di salute orale nell’odontoiatria sociale. La maggior parte dei problemi di salute orale, infatti, è legata, come per le altre malattie croniche non trasmissibili, a una serie di fattori di rischio modificabili tra cui il consumo di zucchero, l’uso di tabacco, l’uso di alcol e la scarsa igiene orale”. Misure di prevenzione personale, unita a controlli regolari, ha concluso, “potrebbe quindi evitare, o almeno ridurre o procrastinare, la necessità di cure più complesse, talora non pienamente risolutive, e con costi largamente più elevati”.
“Dobbiamo appena possibile cercare di attuare i Livelli essenziali di assistenza (LEA), che sono fermi dal 2017. Stiamo lavorando in questa direzione anche perché la Medicina in questi anni è cambiata molto, ci sono tutta una serie di nuove prestazioni. C’è il nostro impegno a trovare una soluzione per attuare i lea nel minor tempo possibile e che possono diventare uno strumento utile per superare le tante differenza tra le diverse realtà regionali. Ci stiamo lavorando, si tratta sempre di un problema economico, ma credo sia giusto, appena possibile, chiudere la partita perché sono fermi da 6 anni”, ha aggiunto il ministro.
Mepolizumab: terapia di precisione per le malattie eosinofile
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L’anticorpo monoclonale di GSK che agisce sull’interleuchina 5, mepolizumab, è il primo a essere rimborsato in Italia per tre diverse patologie oltre all’asma grave: rinosinusite cronica con poliposi nasale, granulomatosi eosinofila con poliangioite e sindrome ipereosinofila.
L’anticorpo monoclonale di GSK, che sei anni fa ha rappresentato la svolta nella cura dell’asma severo, ha dimostrato di essere efficace anche per altre tre patologie legate all’eosinofilia: la rinosinusite cronica con poliposi nasale (CRSwNP), la granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA) e la sindrome ipereosinofila (HES). Mepolizumab diventa così il primo trattamento approvato per EGPA, e una nuova opzione terapeutica per i pazienti con sindrome ipereosinofila senza una causa secondaria ematologica nota e per i pazienti con rinosinusite cronica con poliposi nasale.
“La ricerca agnostica sull’eosinofilia ha permesso di trovare una soluzione comune a quattro malattie molto differenti tra loro per epidemiologia e impatto sulla vita delle persone”, commenta Elisabetta Campagnoli, Specialty Medical Head GSK. “Siamo partiti dallo studio dell’asma grave e dalla ricerca di soluzioni che permettessero di controllare la patologia ed evitare le ospedalizzazioni, arrivando all’unica terapia di precisione attualmente disponibile anche per CRSwNP, EGPA e HES. Questo traguardo ci è stato riconosciuto anche da AIFA che ha attribuito a mepolizumab lo status di innovatività per EGPA e HES”.
Il meccanismo di azione di mepolizumab
“Possiamo dire che con mepolizumab la Medicina respiratoria è passata nel 2017 dal farmaco a taglia unica alla Medicina di precisione per l’asma grave”, spiega Giorgio Walter Canonica, Responsabile Centro Medicina Personalizzata: Asma e Allergologia, Humanitas University & Research Hospital.
L’esperto illustra il meccanismo di azione del farmaco, che agisce sulla proliferazione degli eosinofili, comune alle quattro patologie. “Gli eosinofili sono cellule infiammatorie estremamente complesse da un punto di vista biochimico. L’interleuchina 5, legandosi al suo recettore presente sulla superficie di queste cellule, regola la maturazione e la differenziazione degli eosinofili nel midollo osseo e la migrazione delle cellule nei vari organi e apparati, ma anche la loro degranulazione, quindi il rilascio di tutte quelle molecole che promuovono la reazione infiammatoria”.
Mepolizumab con il suo meccanismo di azione, va ad agire in maniera diretta sull’eosinofilia (l’aumento del numero di eosinofili nel sangue periferico), che è il fattore eziopatogenetico predominante nella genesi di asma grave, rinosinusite cronica con poliposi nasale, granulomatosi eosinofila con poliangioite e sindrome ipereosinofilica.
Le malattie eosinofile
La più significativa delle nuove indicazioni di mepolizumab per incidenza è sicuramente la rinosinusite cronica con poliposi nasale. Si tratta di una patologia infiammatoria cronica del naso e delle vie respiratorie superiori in grado di impattare fortemente la qualità di vita dei pazienti con sintomi persistenti e debilitanti quali perdita dell’olfatto, congestione nasale e ridotta qualità del sonno. “Stime recenti indicano la presenza del quadro clinico nel 2 - 4% della popolazione italiana. Il principale bisogno medico per la patologia è rappresentato dalle frequenti recidive di poliposi nasale dopo l’intervento chirurgico di rimozione degli stessi”, dice Paolo Castelnuovo, Ordinario di Otorinolaringoiatria all’Università dell’Insubria (Varese) e Direttore dipartimento ORL Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedale di Circolo Fondazione Macchi, di Varese. Si stima che circa il 40% dei pazienti affetti da poliposi nasale vada incontro a recidiva entro 18 mesi dalla chirurgia. La causa scatenante è riconducibile all’infiammazione eosinofila sottostante: in oltre l’80% delle recidive di poliposi nasale è infatti riconoscibile il ruolo infiammatorio dell’eosinofilo. “Non bisogna poi dimenticare - aggiunge Castelnuovo - che la poliposi si accompagna a una serie di patologie che possono contribuire a peggiorare il quadro clinico e che vedono spesso nell’aumentata eosinofilia un elemento patogenetico chiave”. La presenza di asma come comorbidità della poliposi aumenta in modo considerevole il grado di severità della malattia, aumentandone l’impatto sulla qualità di vita del paziente.
Roberto Padoan, Specialista in Reumatologia, Responsabile del Centro vasculiti presso UOC Reumatologia - Ospedale Universitario di Padova, parla invece dell’utilità della Medicina di precisione nel trattamento delle altre due patologie per cui mepolizumab è indicato: la granulomatosi eosinofila con poliangioite e la sindrome ipereosinofila. “Si tratta di patologie rare, che hanno un denominatore comune: l’eosinofilo. Possono avere effetti sulla qualità di vita e sull’aspettativa di vite dei pazienti, poiché se non riconosciute in tempo possono risultare fatali. Entrambe le patologie sono caratterizzate da un andamento intermittente, recidivante, da rinosinusite cronica e asma”.
Il reumatologo nota come negli ultimi anni l’approccio a queste patologie sia cambiato completamente: “prima facevamo ricorso agli immunosoppressori, che però non permettono un controllo sufficiente della malattia e riducono le difese immunitarie, esponendo i pazienti alle infezioni. Disporre di una terapia di precisione come mepolizumab è un traguardo che sembrava impensabile fino a qualche anno fa”.
Terapie vecchie e nuove
Anche Claudio Micheletto, Direttore UOC di Pneumologia Azienda Ospedaliera Integrata di Verona, nota come nel corso degli anni il trattamento delle malattie eosinofile sia profondamente cambiato. “Fino a un po’ di tempo fa insegnavamo ai pazienti come usare gli steroidi e ora stiamo insegnando loro a non usarli più”, ironizza. “C’è stato un netto miglioramento dell’approccio a questi pazienti, con il tentativo di fenotipizzarli, di caratterizzarli correttamente e di fornire loro la giusta terapia. Ci siamo resi conto nei decenni di come gli eventi avversi degli steroidi (diabete, aumento di peso ecc.) impattassero pesantemente sulla qualità della vita dei pazienti Con questa indicazione si apre una nuova prospettiva per malattie finora trattate solo con terapie aspecifiche”.
Castelnuovo ricorda come, quaranta anni fa i pazienti con poliposi erano sottoposti a un numero impressionante di interventi chirurgici, o restavano in trattamento con cortisonici intramuscolari per tutta la vita. “L’approccio migliore è la sinergia tra chirurgia e farmaco, ma in alcuni pazienti, l’intervento e l’uso di cortisonici non bastava, a causa dell’infiammazione. Un farmaco che controlla l’infiammazione, in sinergia con la chirurgia, può davvero cambiare la vita di queste persone”.
Lo specialista nota anche che oggi, con e conoscenze disponibili sulla patogenesi delle malattie eosinofile, i clinici sono costretti alla multidisciplinarietà, un approccio che permette una diagnosi precoce e una migliore presa in carico del paziente.
“Otorino, immunologo, pneumologo e allergologo, ma anche il chirurgo, devono necessariamente comunicare e ogni paziente va discusso da un team multidisciplinare”.
Il ruolo delle Associazioni
“Patologie rare come EGPA e HES presentano quadri clinici complessi, difficili da inquadrare e di difficile trattamento che richiedono competenze trasversali da parte dei medici sia per effettuare la diagnosi che per instaurare un adeguato percorso terapeutico.
Si tratta di malattie sistemiche multiorgano che, in assenza di una diagnosi precoce e di un adeguato follow-up, possono compromettere in maniera significativa la qualità della vita del paziente”, conclude Francesca R. Torracca, Presidente APACS APS.
“Per questo una presa in carico multidisciplinare e proattiva sono essenziali per una prognosi migliore e una migliore qualità di vita. APACS APS, l’Associazione Pazienti con Sindrome di Churg Strauss - EGPA è nata nel 2017 da un gruppo di pazienti ed è presto diventata l’organizzazione di riferimento per la patologia sul territorio nazionale, proprio per il suo impegno a favore delle persone affette da EGPA e delle loro famiglie e grazie alla sua intensa attività di informazione e di advocacy”.
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