Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
M&B Pagine Elettroniche
Protocolli di diagnosi e terapia
Strategie
preventive della trasmissione verticale dell'infezione da HIV: la
realtà dei paesi con risorse limitate
Unità
Operativa di Onco-Ematologia, IRCSS “Burlo Garofolo”, Trieste
Indirizzo
per corrispondenza:rabusin@burlo.trieste.it
Summary
Most
HIV-infected children acquire the infection through mother-to-child
transmission (MTCT) of HIV, especially in resource-constrained
settings. In those settings, antiretroviral (ARV) therapies
administered around the time of delivery and labour to the mother and
to the newborn have been proven to be effectice in reducing vertical
transmission. The therapeutical scheme should vary according to the
availability of HIV counselling, the moment when maternal HIV
infection is diagnosed, the access to health care and the
availability of ARV. The role of elective caeserean section is still
debated given its costs, risks and safety in those settings.
Breastfeeding should not be discontinued and should be preferred to
“mixed feeding”. To date evidence on vaginal disinfection and
vitamin A supplementation denies their protective role in reducing
MTCT, however, given their lost costs, their feasibility and their
potential role in reducing maternal and infantile mortality, further
studies are warranted.
Keywords:mother-to-child HIV transmission, preventive strategies,
antiretroviral therapies, resources-constrained settings
Mentre
l'infezione da HIV in età pediatrica diventa sempre meno
frequente nei paesi industrializzati grazie alle strategie di
prevenzione della trasmissione verticale, il problema appare in
costante crescita nei paesi a risorse limitate. Nel 2003 si stima che
700.000 bambini hanno contratto il virus dell'HIV e di questi il 90
% vivono in Africa. In contrasto, nello stesso anno sono meno di 1000
i bambini che si sono infettati per via verticale in Europa e
Nord-America. (1)
Il
rischio di contrarre l'infezione dalla madre oscilla, in assenza di
strategie preventive, tra il 20 ed il 40% mentre si può
ridurre al di sotto del 2% attraverso l'utilizzo della
profilassi/terapia con la somministrazione di farmaci antiretrovirali
alla madre durante la gravidanza ed al neonato nelle prime settimane
di vita, l'utilizzo del taglio cesareo elettivo e l'astensione
completa dall'allattamento al seno (2-4).
Le
strategie preventive utilizzate nei paesi del Nord del mondo non sono
però sempre applicabili ai paesi con risorse limitate. Infatti
le realtà dei paesi in via di sviluppo dell'Africa
sub-sahariana e dell'Asia sono spesso caratterizzate da inadeguato
accesso alle cure pre-natali, con nascite frequentemente non gestite
da operatori sanitari, in cui il ricorso al taglio cesareo
rappresenta una rarità e dove tutti i neonati sono allattati
al seno almeno fino al sesto mese di vita e spesso oltre il primo
anno di vita. Spesso, quindi, l'utilizzo del taglio cesareo non è
proponibile nè sicuro, così come l'astensione
dall'allattamento materno su larga scala appare poco praticabile e
scarsamente accettata. Pertanto in queste realtà gli sforzi
per prevenire la trasmissione verticale del virus si sono concentrati
sull'utilizzo di farmaci antiretrovirali (ARV) somministrati in
prossimità del parto e durante il travaglio. Si stima infatti
che il 50% delle infezioni vengano contratte durante il travaglio o
attraverso il passaggio nel canale del parto, dipendendo il resto
dall'allattamento al seno ed in misura minore da infezioni
contratte in utero durante il terzo trimestre di gravidanza.
Utilizzo
dei farmaci antiretrovirali
L'utilizzo
di ARV in profilassi in prossimità del parto può
ridurre il rischio della trasmissione verticale di HIV circa del 50 %
in una popolazione che allatta al seno dopo parto spontaneo con
follow-up esteso a 18 mesi di vita (5-6); se la profilassi è
estesa alle ultime 4 settimane di gravidanza l'efficacia preventiva
sale al 63 % (7).
I farmaci
antiretrovirali più studiati comprendono tra gli inibitori
nucleosidici della transcriptasi inversa la zidovudina (ZDV) e la
lamivudina (3TC) e nel gruppo degli inibitori non nucloesidici della
transcriptasi inversa la nevirapina (NVP); sono farmaci che possono
essere somministrati 2 volte al dì o in mono-somministrazione,
disponibili anche in formulazione pediatrica.
Un
efficacia a breve termine, determinata dallo stato infettivo del
bambino a 6-8 settimane di vita è stata dimostrata per i
seguenti regimi di profilassi con farmaci ARV:
1. ZDV in
monoterapia (8,9,10,11)
2. ZDV
associata a 3TC (7,12,13)
3. NVP in
singola dose alla madre ed al neonato (6, 12,14)
4. ZDV
associata a NVP in singola dose a madre e neonato (15,16,17)
5. ZDV +
3TC + NVP in singola dose a madre e neonato (18)
I dati
disponibili dai trials citati suggeriscono che i regimi contenenti
una combinazione di farmaci risultino più efficaci dei regimi
monoterapici nel prevenire la trasmissione verticale e questo
risultato è ulteriormente migliorato quando la profilassi
viene avviata nell'ultimo mese di gravidanza. Va sottolineato
peraltro che la comparazione diretta di questi studi appare
difficoltosa, poiché il tasso di trasmissione del virus è
influenzato da caratteristiche materne e neonatali e dalle modalità
del parto e poiché la metodologia di valutazione
dell'efficacia di un intervento varia tra i differenti studi
(19-20).
Nei
pazienti allattati al seno, che rappresentano l'assoluta
maggioranza nei paesi a risorse limitate, l'efficacia della
profilassi con farmaci ARV sul rischio di trasmissione verticale a
lungo termine è ridotta dal rischio di trasmissione
post-natale attraverso il latte materno che appare inoltre
direttamente proporzionale alla durata dell'allattamento (21). Tre
studi hanno valutato l'efficacia a lungo termine di una profilassi
ARV in una popolazione che allattava. Nel primo, che utilizzava la
ZVD in monoterapia, la riduzione della trasmissione verticale
scendeva dal 38 % a 6 mesi al 26 % a 24 mesi (22) mentre risultati
migliori erano ottenuti con l'utilizzo della NVP in monoterapia con
47 % di efficacia a 14 settimane e 41 % a 18 mesi (5). Il terzo
studio valutava l'efficacia a 18 mesi di una combinazione di ZDV e
3TC somministrate con 3 differenti modalità e solo il regime
comprendente una profilassi pre, intra e post-partum dimostrava un
beneficio persistente seppur ridotto a lungo termine (7).
La
resistenza virale agli ARV somministrati può comparire più
facilmente dopo una profilassi di breve durata che utilizzi una
monoterapia o un regime a 2 farmaci e può divenire un
potenziale limite all'utilizzo successivo degli stessi sia nella
donna che nel bambino qualora contragga l'infezione. Il rischio di
sviluppare resistenza è direttamente proporzionale alla carica
virale nel plasma, aumenta in presenza di bassi livelli di CD4 ed è
correlata al genotipo virale. Non disponiamo ancora di dati
conclusivi sull'argomento ma la letteratura indica che tra i
farmaci consigliati nei paesi a risorse limitate la NVP utilizzata in
monodose presenti il maggior rischio di sviluppare resistenza virale.
In particolare ceppi virali resistenti sono stati identificati, a 6-8
settimane dal parto, nel 25 % delle donne che avevano ricevuto una
singola dose di NVP nello studio HIVNET 012 (23) e nel 35 % dei
neonati sottoposti allo stesso regime preventivo e che avevano
comunque contratto l'infezione (24). Sebbene non vi siano evidenze
conclusive, la risposta ad una successiva terapia antiretrovirale con
la stessa NVP e con altri inibitori non nucleosidici in questi
pazienti risulta meno efficace in particolare se avviata molto
precocemente dopo il parto (25). Studi sono in corso per valutare se,
in relazione al rischio di sviluppare resistenze della NVP correlato
alla sua lunga emivita (fino a 3 settimane dalla sospensione),
l'associazione di un inibitore nucleosidico come la ZDV o il 3TC
dopo la sospensione della NVP possa ridurre la percentuale di ceppo
virali resistenti (26).
La scelta
del regime di ARV più appropriato, in relazione a tutte le
considerazioni fatte in precedenza ed all'estrema variabilità
socio-economica e sanitaria dei paesi a risorse limitate, non può
prescindere da alcuni aspetti pratici fondamentali:
- la disponibilità del test per HIV e di attività di counselling
- la proporzione di donne che sono a conoscenza dello stato di sieropositività nelle varie fasi della gravidanza ed il timing della diagnos
- la proporzione di donne che hanno accesso alle cure prenatalil
- la fase di gravidanza in cui avviene la prima visita prenatale, la frequenza e la qualità delle cure
- la proporzione di nascite in presidi sanitari
- l'accesso precoce a cure sanitarie dopo il parto se a domicilio
- la disponibilità, l'accettabilità e la semplicità di somministrazione degli ARV
- l'efficacia e la sicurezza dei diversi schemi terapeutici anche in relazione alla possibilità di compromettere opzioni terapeutiche future.
Le
linee-guida del WHO prodotte ed elaborate nel 2004 (27) prevedono
diverse raccomandazioni terapeutiche di efficacia provata per diverse
situazioni cliniche, di cui riportiamo le quattro situazioni cliniche
più frequenti in Tabella
I.
In linee
generali, bisogna sottolineare come il regime di profilassi con
un'unica somministrazione di nevirapina alla madre ed al neonato
rimanga la scelta più “cost-effective” nella realtà
dei paesi a risorse limitate, visto il suo basso costo e la
possibilità di una mono-somministrazione (27). Tuttavia, tale
regime, come discusso sopra, è stato criticato per la
possibile insorgenza di resistenze (23-25), critica sicuramente
controbilanciata dalla semplicità e facilità di
implementazione di tale regime nei paesi a risorese limitate.
Strategie
non farmacologiche
Taglio
cesareo
Il taglio
cesareo elettivo (prima dell'avvio del travaglio e a membrane
integre) è una delle strategie preventive messe in atto in
paesi industrializzati capace di abbattere il rischio di trasmissione
del 50-87% (28, 29). Questi dati derivano sia da una metanalisi di 15
studi prospettici di coorte (28) che da uno studio randomizzato
multicentrico (29). Il ruolo del taglio cesareo in paesi con risorse
limitate è però ancora dibattuto. Infatti mentre nei
paesi industrializzati la morbidità e mortalità legata
al taglio cesareo è molto bassa, nei paesi con risorse
limitate la situazione può essere ben diversa, rappresentando
una procedura raramente attuabile (30) e/o sicura. In questi paesi il
taglio cesareo non è quindi indicata come strategia preventiva
della trasmissione verticale, in attesa di appropriati studi che ne
valutino l'effetto benefico aggiuntivo ai regimi di terapia
antiretrovirale “short-term” e che ne permettano una chiara
valutazione costi/benefici (31).
Disinfezione
del canale del parto e profilassi della corioamnionite
In
condizioni di non allattamento al seno, la maggior parte dei nuovi
nati si infetta durante il passaggio attraverso il canale vaginale
durante il parto. Per tale motivo, il taglio cesareo a membrane
integre si è dimostrato essere un efficace strategia
preventiva. Come discusso sopra, nei paesi con risorse limitate
tuttavia tale strategia, non è ancora applicabile. E' stata
quindi proposta come alternativa a basso costo la disinfezione del
canale vaginale con la clorexidina durante il parto (32). La
clorexidina è infatti un potente disinfettante della mucose
capace anche di neutralizzare HIV (33). Una recente revisione
sistematica della Cochrane (34) delle evidenze in letteratura ha
identificato un unico trial clinico randomizzato eseguito in Kenya
che ha valutato l'efficacia della disinfezione con clorexidina
rispetto al non utilizzo di alcuna disinfezione (35), giudicato
peraltro di scarsa qualità dagli autori. I risultati del trial
non hanno mostrato alcun beneficio della disinfezione vaginale nel
ridurre la trasmissione di HIV (OR 0.93, 95%CI 0.63-1.38). Non
incluso nella revisione sistematica della Cochrane, il clinical trial
non randomizzato di Taha TE et al (36) condotto in Malawi ha mostrato
un possibile effetto della disinfezione del canale vaginale nel
ridurre la mortalità sia neonatale che materna ma non la
trasmissione verticale di HIV. (36). Anche questo trial mostra però
limitazioni importanti. Da qui, la necessità di ulteriori
trials clinici randomizzati e di elevata qualità per la
valutazione dell'efficacia della disinfezione del canale vaginale
(anche sulla mortalità materno-infantile) che rimane pertanto
non consigliabile.
Fra i
fattori di rischio imputati nell'aumentare il rischio di
trasmissione verticale di HIV è stata inoltre identificata
anche la corioamnionite sub-clinica (37). Era stato quindi proposto
che un breve trattamento antibiotico empirico per prevenirla,
somministrato alla madre durante la 20a-24a settimana di gestazione e
durante il parto, potesse costituire un intervento poco dispendioso
ed efficace nel ridurre la trasmissione nei paesi poveri ed a tale
proposito era stato avviato un trial di fase III in Malawi. Questo
trial è stato però interrotto perché analisi ad
interim hanno dimostrato una non efficacia dell'intervento
(http://www.clinicaltrials.gov/ct/search?term=chorioamnionitis%2C+hiv).
Allattamento
al seno
Diversi
studi osservazionali ed una recente metanalisi di 9 trials non
controllati condotti in paesi con risorse limitate e con alta
sieroprevalenza da HIV mostrano un aumento del rischio della
trasmissione di HIV attraverso l'allattamento al seno (38, 39).
Questi dati sono stati anche confermati da un unico trial clinico
randomizzato controllato (RCT) svoltosi in Kenia dove il 44% delle
infezioni postatali da HIV erano attribuibili all'allattamento
(40). Questo stesso lavoro ha però anche mostrato come sia la
mortalità che la morbilità dei lattanti in entrambe i
bracci di studio (allattati al seno o allattati con formula) non
differisse (rispettivamente il 24% e il 20%), ponendo dubbi circa
l'applicabilità dell'allattamento artificiale in paesi con
limitate risorse economiche. Questo dato mette in luce i possibili
svantaggi legati all'allattamento artificiale. L'allattamento
artificiale infatti potrebbe costituire una fonte diretta di
infezioni vista la scarsa disponibilità di acqua potabile nei
paesi poveri. Inoltre si è dimostrato come il latte materno
riduca considerevolmente la mortalità infantile sia da
infezioni respiratorie che gastrointestinali (41). Diversi poi sono i
fattori che potrebbero svolgere un ruolo nel modulare il rischio di
trasmissione attraverso il latte materno, quali la carica virale sia
nel latte che nel plasma materno, la presenza o meno di mastite,
l'associazione di altri alimenti all'allattamento al seno e che
necessitano di approfondimenti. Su alcuni di questi fattori iniziano
ad esserci degli studi. La metanalisi del gruppo di studio per
l'Allattamento al seno e la Trasmissione di HIV dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità (41) ha dimostrato come il rischi di
trasmissione virale aumenti con l'aumentare della carica virale
materna. Alcuni studi mostrano inoltre come l'introduzione precoce
di acqua o succhi o altri alimenti (il cosiddetto “mixed feeling”)
sia responsabile di una trasmissione dell'infezione maggiore
rispetto all'allattamento al seno esclusivo (42-44). Questo
potrebbe dipendere dal fatto che le pratiche di “mixed feeling”
introducono alimenti contaminati che predispongono più
facilmente ad infezioni gastrointestinali e che facilitano pertanto
il passaggio attraverso le mucose intestinali del virus HIV.
Dalle
evidenze a noi disponibili fin oggi sembra quindi che l'allattamento
al seno non possa essere una strategia di prevenzione applicabile ai
paesi più poveri dove il latte in formula non può
costituire una valida e sicura alternativa. Al contrario finora le
evidenze suggeriscono di preferire l'allattamento esclusivo
rispetto al “mixed feeding”.
Supplementazione
di vitamina A
La
vitamina A è coinvolta nella regolazione e promozione della
crescita e differenziazione di diverse cellule e nel mantenimento
dell'integrità delle cellule epiteliali sia dei tratti
digestivi che respiratori. Questa vitamina è inoltre
fondamentale per la formazione dei fotopigmenti della retina e per le
funzioni riproduttive. Già dagli anni 20 (45) e più
recentemente (46,47) è stato inoltre visto che la vitamina A
svolgerebbe attività immunoregolatrici.
Studi
osservazionali in Africa Sub-sahariana hanno mostrato come la
deficienza di vitamina A sia associata ad un aumentato rischio di
trasmissione verticale di HIV (48). Queste osservazioni assieme al
basso costo di interventi atti alla sua supplementazione hanno quindi
scaturito una serie di studi randomizzati e controllati per valutare
l'effettiva efficacia di questo intervento nel ridurre la
trasmissione di HIV. Da una recente metanalisi della Cochrane (49)
però il potenziale ruolo benefico della vitamina A sembrerebbe
essere smentito. Infatti la supplementazione materna di vitamina A
non ridurrebbe nè la trasmissione verticale di HIV (OR 1.09
(95% CI 0.81-1.45)) né il rischio di nascite di neonati morti
né pretermine né di basso peso. Sebbene questi dati non
siano favorevoli, ulteriori conferme sono necessarie, considerato il
basso costo, la relativa facilità di implementazione in paesi
poveri e il possibile effetto benefico sulla mortalità
materno-infantile della supplementazione della vitamina A (50).
Nel
giugno del 2001, 189 paesi membri delle Nazioni Unite si sono riuniti
in sessione straordinaria affrontando il problema della pandemia
HIV/AIDS elaborando ed adottando una dichiarazione d'intenti che si
poneva l'obiettivo di ridurre la proporzione di neonati infetti da
HIV del 20% entro il 2005 e del 50% nel 2010. Per giungere a questo
ambizioso obiettivo vi è la necessità di aumentare
l'accesso ai programmi integrati di prevenzione della trasmissione
verticale dell'HIV nell'infanzia che attualmente risultano ancora
scarsamente implementati su larga scala nei paesi a risorse limitate.
Questi programmi, accanto alla prevenzione della trasmissione
verticale dell'HIV, tema del nostro lavoro, devono comprendere
anche la prevenzione primaria dell'infezione da HIV nelle donne ed
i loro partners, la possibilità di evitare gravidanze
indesiderate nelle donne sieropositive ed, in ultima analisi, la
disponibilità di farmaci, assistenza e supporto per tutto il
nucleo familiare che ha contratto l'infezione da HIV.
Colmare
il divario tra Nord e Sud del mondo su questo tema rappresenta una
grande sfida di salute pubblica e richiede un'unica globale
collaborazione tra governi, operatori sanitari, compagnie
farmaceutiche ed organizzazioni non governative.
TABELLA
I. FARMACI RETROVIRALI INDICATI NELLA PREVENZIONE DELLA TRASMISSIONE
VERTICALE DA HIV IN DIVERSE SITUAZIONI CLINICHE (modificato da ref.
27)
A) Donna sieropositiva in gravidanza con indicazione clinica
o immunologica* alla terapia ARV
B) Donna sieropositiva in gravidanza senza indicazione
clinica o immunologica di terapia ARV; le strategie sono elencate
in ordine di efficacia
C) donna in gravidanza con stato sierologico non noto
all'inizio del travaglio o con diagnosi di infezione in
prossimita' del parto senza precedente terapia ARV. In questo
caso, se si e' in tempo offrire test e counselling ed avviare
profilassi intrapartum in caso di positivitˆ; se questo non e'
possibile durante il travaglio offrire comunque il test dopo il
parto. I regimi consigliati sono in ordine di preferenza:
D) neonato nato da madre HIV che non ha ricevuto alcuna
terapia ARV in gravidanza e/o durante il travaglio
|
*
per indicazione clinica ed immunologica alla terapia ARV
si intende secondo le linee guida del WHO, in caso di
disponibilita' della conta assoluta dei CD4: stadio IV
indipendentemente dalla conta dei CD4, stadio III se CD4 <
350, stadio I e II se CD4 < 200 ; in caso di conta
CD4 non disponibile: stadio III e IV o stadio II con conta
linfocitaria < 1200 |
MESSAGGI
CHIAVE:
• In
paesi con limitate risorse le strategie preventive della
trasmissione verticale di HIV si basano specialmente su terapie
antiretrovirali in prossimità del parto somministrate alla
madre ed al neonato
• Lo
schema delle terapie/profilassi con antiretrovirali variano a
seconda di diversi fattori quali la disponibilità del test
per HIV e di attività di counselling, il momento in cui
l'infezione è diagnosticata nella madre, l'accesso
alle strutture sanitarie e la disponibilità dei farmaci
nel singolo paese
• La
terapia antiretrovirale che risulta essere meno costosa e più
facilmente applicabile in paesi poveri si basa sulla
somministrazione di nevirapina in singola dose al neonato e alla
madre durante il parto
• Il
ruolo del taglio cesareo è ancora dibattuto rappresentando
una procedura raramente attuabile, dati i suoi costi, e/o sicura
• Dalle
evidenze a noi disponibili fin ora, l'allattamento al seno
esclusivo dovrebbe essere proseguito nei paesi più poveri
e dovrebbe essere preferito al “mixed feeding”.
• La
disinfezione del canale del parto e la supplementazione di
vitamina A non sembrerebbero aver effetto nel ridurre la
trasmissione ma ulteriori conferme sono necessarie, considerato
il loro basso costo, la relativa facilità di
implementazione e il possibile effetto benefico sulla mortalità
materno-infantile. |
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