Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Ottobre 2007 - Volume X - numero 8
M&B Pagine Elettroniche
Appunti di Terapia
Una
trasfusione va sempre bene per i ricoverati in terapia intensiva
pediatrica?
Membro
della Commissione Nazionale Vaccini
Indirizzo
per corrispondenza: bartolozzi@unifi.it
Oltre il
50% dei ricoverati in terapia intensiva pediatrica ricevono una
trasfusione di globuli rossi, anche se le loro condizioni sono
stabili, per cui possono tollerare un leggero deficit di ossigeno,
associato a una modesta anemia. D'altra parte va ricordato che il
sangue intero della trasfusione contiene leucociti, che non portano
alcun beneficio a questi bambini e che possono portare a una
disfunzione d'organo, attraverso la stimolazione della cascata
infiammatoria. Ma bisogna anche ricordare che i bambini ricoverati in
terapia intensiva pediatrica possono beneficiare della trasfusione,
che conferisce loro una maggiore disponibilità di ossigeno.
Anche per
quanto riguarda gli adulti è stato constatato che una
strategia restrittiva possa essere superiore a una strategia liberale
(Hebert PC et al. N Engl J Med 1999, 340:409-17).
In linea
teorica viene ipotizzato che una strategia restrittiva nei confronti
dell'uso di sangue intero possa essere utile, soprattutto usando
globuli rossi concentrati, in modo tale da ridurre il numero dei
globuli bianchi, prima della conservazione del sangue.
Per
confermare questo punto di vista sono stati arruolati in uno studio
multicentrico 637 bambini, stabilizzati, criticamente ammalati, che
avevano una concentrazione di emoglobina al di sotto di 9,5 g/dL
entro 7 giorni dall'ammissione nel reparto di terapia intensiva
pediatrica. Di questi pazienti:
- una metà (320 pazienti) fu assegnata a caso al gruppo strategia restrittiva, nel quale la trasfusione venne eseguita solo al di sotto della soglia di 7 g/dL di emoglobina
- e l'altra metà (317 pazienti) fu assegnata al gruppo con strategia liberale, per il quale la soglia fu fissata a 9,5 g/dL di emoglobina
L'età
dei bambini andava da 3 giorni a 14 anni, con una concentrazione di
Hb di 9,5/dL o meno entro 7 giorni dall'ammissione nel reparto.
L'uso, come sangue per la trasfusione, di globuli rossi
concentrati, con conseguente riduzione dei globuli bianchi, sia
nell'uno che nell'altro gruppo può di sicuro aiutare a
prevenire gli effetti pericolosi della trasfusione, specialmente nel
gruppo liberale.
La
concentrazione di Hb fu mantenuta a un livello medio, che fu di 2,1 ±
0,2g/dL più basso nel gruppo restrittivo, in confronto al
gruppo liberale (livelli medi di 8,7±0,4 e di 10,8±0,5
g/dL rispettivamente; P<0,001). I pazienti del gruppo restrittivo
ricevettero il 44% di meno di trasfusioni. 174 pazienti (54%) non
ricevettero nessuna trasfusione, contro 7 pazienti (2%) nel gruppo
con strategia liberale (P<0,001).
Una nuova
e progressiva disfunzione multipla di organo si sviluppò in 38
pazienti nel gruppo restrittivo e in 39 pazienti nel gruppo liberale
(12% per ciascuno dei due gruppi).
Vi furono
14 morti per ogni gruppo entro 28 giorni dalla randomizzazione.
Nessuna
differenza significativa venne trovata nei due gruppi, inclusi gli
eventi avversi.
Sulla
base di questi risultati gli autori concludono che una soglia di
emoglobina di 7 g/dL, come indicazione alla trasfusione, riduce il
numero delle trasfusioni senza aumentare il numero degli eventi
avversi, legati all'anemia. Questa raccomandazione, secondo gli
autori, non vale per i nati pretermine, per gli anziani, per i
pazienti con malattia delle coronarie o nei bambini con grave
ipossiemia, instabilità emodinamiche, perdite di sangue o
nella malattia cianotica di cuore.
I
leucociti, presenti nel sangue trasfuso, possono essere pericolosi,
per la produzione di citochine e di altre sostanze che attivano la
risposta infiammatoria. L'allontanamento dei leucociti riduce le
disfunzioni di organo dopo la trasfusione e nei prematuri riduce la
displasia bronco-polmonare, la retinopatia della prematuranza e
l'enterocolite necrotizzante del pretermine (Ferguson D et al, JAMA
2003. 289:1950-6).
Considerazioni
molto personali
La
lettura di questa pubblicazione, mi ha fatto tornare alla mente come
ci comportavano nei confronti delle trasfusioni di sangue intero una
cinquantina di anni fa. Alla fine degli anni 50, fresco di docenza in
Clinica Pediatrica (1958) dirigevo il “reparto prematuri”
dell'Ospedale Meyer: allora la Neonatologia e la Terapia Intensiva
Neonatale erano di là da venire (come scienze indipendenti
dalla Pediatria) e la direzione e lo staff pediatrico del Reparto
prematuri si alternava ogni 6-12 mesi con gli altri reparti
dell'Ospedale (lattanti, divezzi, malattie infettive,
onco-ematologia, laboratorio e altri).
Il Prof.
Cesare Cocchi passava tutti i giorni dal reparto e insieme decidevamo
il da fare, neonato per neonato: bastava che un “piccolino” non
crescesse abbastanza, si alimentasse poco volentieri o dimostrasse
delle difficoltà nella sopravvivenza, perché subito,
indipendetemente dal suo livello di emoglobina, decidessimo di fare
una piccola trasfusione (30-40 g) di sangue intero: i globuli rossi
concentrati, i globuli rossi con allontanamento dei leucociti ei
globuli rossi lavati erano a quei tempi di là da venire. A dir
la verità sembrava che questo nostro intervento avesse,
abbastanza spesso, un risultato favorevole. Tuttavia la grossolanità
del nostro intervento e la mancanza di parametri precisi per
l'indicazione alla trasfusione, come la mancanza di un controllo
preciso dei suoi effetti, mi fanno arrossire e quasi mi vergogno a
parlarvi oggi di questi comportamenti di allora.
Oggi,
come è giusto, le indicazioni per una trasfusione sono ben
stabilite; anzi, come dimostrato nella pubblicazione sopra riportata,
è possibile abbassare il livello della concentrazione della
emoglobina per decilitro da 9,5/dL a 7 g/dL, senza che questo abbia
delle conseguenze per la vita del soggetto.
Questo
continuo ricercare, per correggere alcuni comportamenti del passato e
per stabilire dei nuovi limiti, basati su larghe esperienze, sono la
forza della pediatria moderna; sono la molla che ci permette di
andare avanti, fiduciosi del futuro e sicuri del miglioramento
continuo delle nostre capacità di assistenza.
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