Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Maggio 2002 - Volume V - numero 5
M&B Pagine Elettroniche
Avanzi
Novità,
riflessioni, contributi e proposte,
Il CDC di
Atalanta (MMWR 2002, 51:298-300) riporta nel fascicolo del 12
aprile 2002 un'epidemia in una nursery, dovuta alla presenza in un
latte in polvere (Portagen della Mead Johnson Nutritionals,
Evansville Indiana) dell'Enterobacter sakazakii, un batterio
gram negativo, che causa di rado malattie invasive, con alta
incidenza di evoluzione sfavorevole nei neonati. L'allarme è
derivato dalla morte di neonato di 1.270 g che ha presentato una
meningite da E. sakazakii e dalla dimostrazione di una
sospetta infezione in altri due neonati e di una colonizzazione in
altri sette. Tutte le ricerche batteriologice eseguite nell'acqua
di diluizione del latte, negli strumenti usati per la preparazione
dei biberon e nell'ambiente sono risultate negative. Ma la messa in
coltura della polvere del prodotto ha permesso l'identificazione di
colonie, formate dallo stesso agente infettivo che aveva determinato
la meningite purulenta e la morte del caso indice. Un evento tragico
che sottolinea l'importanza di seguire, nella preparazione degli
alimenti, le linee guida preparate negli USA dalla American Dietetic
Association (ADA) e dalla Food and Drug Administration (FDA); in
questa occasione è stata diffusa ai produttori di latti in
polvere una nuova lettera contenente ulteriori raccomandazioni.
Se si
tiene conto del numero di lattanti che viene alimentato ogni giorno
nel mondo con i latti in polvere, traendone solo dei vantaggi, appare
subito evidente che un incidente del genere non deve assolutamente
far perdere la nostra fiducia nella loro preparazione; tuttavia esso
deve essere di sprone per porre una sempre maggiore attenzione nella
preparazione degli alimenti, a maggior ragione per quelli che sono da
usare nelle prime età della vita, soprattutto per la crescita
di soggetti nati pretermine.
Come si
sa, la sopravvivenza nei bambini con sindrome di Down è più
bassa di quella presente nel resto della popolazione. Con il
miglioramento dell'assistenza, rivolta verso questi bambini, si è
verificato un brusco cambiamento nella durata media della loro vita:
da un'età media di 25 anni nel 1983 è stata raggiunta
un'età media di 49 anni nel 1997, con un aumento medio per
anno di 1,7 anni (Yang Q. et al., Lancet 2002, 359:1019-25). A
queste conclusioni giunge uno studio che ha preso in considerazione
negli USA 17.897 persone con sindrome di Down. Come era da aspettarsi
le cause di morte più frequenti sono rappresentate dai difetti
congeniti di cuore, dalla demenza, dall'ipotiroidismo e dalla
leucemia. Al contrario i tumori maligni, a parte la leucemia, sono
presenti nei certificati di morte in un numero, che corrisponde a un
decimo di quello che ci saremmo aspettati. Un fenomeno da considerare
attentamente per cercare d'individuare le cause che possono
contribuire a questa forte riduzione.
La
circoncisione si associa a un ridotto rischio di infezioni da
papillomavirus (HPV) del pene (verruche e conditomi): l'HPV è
stato ritrovato sul pene di 166/847 uomini non circoncisi (19,6%) e
solo in 16/292 uomini circoncisi (5,5%) (Castellsagué X et
al. N Engl J Med 2002, 346:1105-12). Qualcosa di simile è
stato riportato per la sifilide nell'800 e più di recente
per l'HIV. Inoltre è stato visto che nei confronti del
cancro della cervice nelle donne, partner usuali di uno stesso uomo,
l'incidenza era nettamente inferiore se l'uomo era stato
circonciso. Ne deriva che la circoncisione non ha solo delle
motivazioni etnico-religiose ma anche sanitarie.
L'esposizione
al dietilstilbestrolo (DES), un potente estrogeno sintetico,
largamente usato nelle donne in gravidanza, fra il 1938 e il 1975,
per la prevenzione e il trattamento dell'aborto imminente o
abituale, risultò associata a un forte aumento del rischio di
adenocarcinoma vaginale e della cervice. Da un recente studio risulta
inoltre che la somministrazione di DES in gravidanza comporta un
aumentato rischio d'ipospadia nei figli (Klip H. et al., Lancet
2002, 359:1102-7). Sebbene il rischio assoluto per questa
malformazione sia piccolo, esso va tenuto in attenta considerazione,
anche perché l'effetto del DES arriva fino alla terza
generazione dopo l'esposizione.
L'artrite
reumatoide dell'adulto e l'artrite cronica giovanile sono
malattie croniche progressive caratterizzate da infiammazione
sistemica. La malattia oltre a ridurre l'attività fisica e a
determinare una cattiva qualità di vita, porta a una riduzione
della durata della vita, in confronto alla popolazione in generale.
Cosa è successo da quando sono entrati in uso nuovi farmaci ?
in particolare il metotrexate ? Dallo studio di 1.240 pazienti in età
adulta è risultato che con i nuovi trattamenti (metotrexate)
vi è un evidente aumento della sopravvivenza (Choi HK et
al., Lancet 2002, 359:1173-7).
L'infliximab,
che già aveva dato buoni risultati nel trattamento
dell'artrite reumatoide, è risultato efficace anche nella
cura della spondilite anchilosante, sulla quale il metotrexate non ha
alcun effetto favorevole (Braun J et al., Lancet 2002,
359:1187:93). 35 pazienti con spondilite anchilosante hanno
ricevuto per 12 settimane infliximab per via venosa (5 mg/kg) a 0, 2
e 6 settimane; altri 35 pazienti sono stati tenuti come controllo e
hanno ricevuto un placebo. 18/35 pazienti (53%) trattati con
infliximab hanno avuto un'evidente regressione della malattia alla
fine del periodo di controllo, in confronto a 3 (9%) del gruppo
controllo (p<0,0001).L'infliximab è un anticorpo
monoclonale anti-tumor necrosis factor-a, che è stato usato
con successo anche nella terapia del morbo di Crohn. Poiché
questo nuovo farmaco ha degli effetti collaterali, potenzialmente
gravi, è bene che questo trattamento venga eseguito in stretta
cooperazione con un centro di reumatologia.
La
malattia di Hirschsprung (MH) è oggi considerata come una
neurocristopatia disgenetica, caratterizzata dall'assenza dei
gangli intramurali del plesso mienterico e sottomucoso nella parte
terminale dell'intestino. L'analisi genetico-molecolare ha messo
in evidenza che esistono molti geni che hanno un ruolo preciso nello
sviluppo della MH, ma la maggior suscettibilità genetica per
questa malattia è risultata legata al proto-oncogene RET:
questo gene codifica per un recettore della tirosina chinasi e si
esprime nei tessuti derivati dalla cresta neurale e nei tumori. La
mutazione RET nei soggetti con MH deriva o da un arresto di
produzione della proteina, derivata dal gene RET, o
dall'inattivazione funzionale della molecola. Per conoscere meglio
i legami fra proto-oncogene RET e MH sono state studiate le regioni
codificanti tutti i 21 esoni del proto-oncogene RET di 76 pazienti
tedeschi con MH (Fitze G. et al., Lancet 2002, 359:1200-5). In
18 su 75 sono state trovate 20 differenti mutazioni, per cui viene
ritenuto che il proto-oncogene RET abbia un ruolo nella patogenesi
della MH, in maniera dose-dipendente.
Fino a
oggi la comparsa della resistenza ai macrolidi dello streptococco
gruppo A era eccezionale negli USA; purtroppo in Italia e in altri
Paesi un'evenienza del genere è abbastanza diffusa, per cui
oltre il 40% dei ceppi isolati si è dimostrato, in qualche
area, resistente all'eritromicina. In una ricerca, eseguita nella
città di Pittsburgh, il 48% degli isolamenti di streptococco
gruppo A (153 su 318) è risultato resistente all'eritromicina.
La tipizzazione molecolare ha dimostrato che l'epidemia era dovuta
a un singolo ceppo di streptococco gruppo A, che si era diffuso nella
comunità (Martin J.M. et al., N Engl J Med 2002,
346:1200-6). Da un'indagine nelle farmacie è risultato
che i macrolidi sono stati sempre più spesso usati per il
trattamento delle infezioni acute da streptococco gruppo A: in
particolar modo trattamento brevi con azitromicina per la cura della
faringite, dell'otite media, della sinusite e della
broncopolmonite. La pubblicazione conclude raccomandando di non usare
macrolidi per il trattamento routinario della faringite, dovuta allo
streptococco gruppo A, finchè non siano disponibili ulteriori
informazioni al riguardo.
L'uso
di cocaina durante la gravidanza rappresenta uno dei più
importanti problemi di salute pubblica. Il quadro del neonato, figlio
di queste donne, è ormai ben conosciuto, ma poco si sapeva sul
suo futuro. In 218 lattanti esposti alla cocaina in gravidanza è
stato condotto uno studio all'età di 2 anni (Singer L.T.
et al., JAMA 2002, 287:1952-60): secondo il Bayley Mental e il
Motor Scales Infant Development, eseguiti a 6,5, 12 e 24 mesi di età,
i bambini esposti alla cocaina hanno un significativo deficit
cognitivo e raddoppiano il numero di quelli che mostrano un ritardo
di sviluppo motorio durante i primi due anni di vita. Poiché
la situazione ai due anni è predittiva dell'evoluzione
cognitiva successiva, è possibile che questi bambini
continuino ad avere difficoltà di apprendimento anche all'età
della scuola.
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