Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
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Prevalenza
del disturbo da deficit dell'attenzione con iperattività
(ADHD)
in una popolazione di bambini seguita dai pediatri di famiglia
(*)
Pediatri di famiglia - Associazione Culturale Pediatri Lazio
(#)
Cattedra di Neuropsichiatria Infantile - Università Cattolica
S.Cuore - Roma
INTRODUZIONE
Il
disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD) è
un disturbo dello sviluppo che inizia nell'infanzia e, il più
delle volte, si evidenzia durante i primi anni della scuola
elementare (1). Con gli anni le sue manifestazioni cambiano, a volte
spontaneamente diminuiscono, ma i bambini che ne sono affetti possono
più facilmente di altri andare incontro ad insuccesso
scolastico; in età adulta circa un terzo di loro presenterà
ancora le caratteristiche dell'ADHD e, tra questi, molti riceveranno
diagnosi di personalità antisociale (2). L'ADHD determina un
forte coinvolgimento della famiglia e degli insegnanti generando
sentimenti di impotenza, frustrazione e inadeguatezza nei confronti
di bambini giudicati "troppo vivaci", distratti, maleducati
e disobbedienti (3). Le conseguenze sull'individuo, in termini di
stile di vita insoddisfacente, e sulla società, in termini di
costi sanitari e sociali, giustifica l'impegno degli operatori per un
precoce riconoscimento del disturbo e per l'inizio di un trattamento
che, se ben condotto, sarà molto probabilmente efficace
(4,5,6).
I criteri
diagnostici e la terapia sono attualmente argomento di vivace
discussione (7). I segni su cui si basa la diagnosi, così come
in altre condizioni psichiatriche, non comprendono valutazioni
oggettive, indagini strumentali, di laboratorio o radiologiche, ma le
informazioni si ricavano esclusivamente dalla storia del paziente e
dalla valutazione del suo comportamento ottenute tramite il colloquio
con i genitori, gli insegnanti e, meno frequentemente, con altre
figure che sono coinvolte nella vita quotidiana del bambino. Questo
aspetto rende difficile il confronto tra i vari studi, soprattutto
quelli di prevalenza, laddove si utilizzino procedure di indagine con
metodologie diverse (8). Inoltre, i sintomi di iperattività,
impulsività e disattenzione si sovrappongono frequentemente ad
altri problemi del comportamento, dell'apprendimento e del tono
dell'umore rendendo più complessa la valutazione diagnostica
(4,5,9,10).
Il
secondo punto critico è rappresentato dalla strategia
terapeutica, che prevede l'uso di psicostimolanti e in particolare il
metilfenidato. Questo principio farmacologico, efficace nell'80% dei
bambini con ADHD, ha subito in USA un forte e allarmante incremento
delle vendite negli ultimi 10 anni (11,12). Infatti i medici
statunitensi vengono accusati di trattare farmacologicamente i
bambini che mostrano comportamenti non desiderati in classe o
altrove, al fine di controllarne la vivacità, senza effettuare
le necessarie e approfondite valutazioni prima della prescrizione del
metilfenidato; in tal modo, gli stessi genitori e insegnanti non
sarebbero motivati ad affrontare i problemi familiari e scolastici
del bambino (7,13). Alcune prese di posizione dei mass media in USA
hanno creato un clima di paura tra medici, genitori e educatori,
generando spesso ansia e confusione nell'opinione pubblica (7).
In Italia
siamo alla vigilia della reintroduzione del metilfenidato nelle
farmacie e da diversi mesi è cresciuto il dibattito su come
gestire questi bambini; da una parte c'è chi afferma la
necessità di utilizzare il farmaco per poter aiutare famiglie
disperate e bambini emarginati, dall'altra chi prevede uno scenario
simile a quello americano, dove la dissonanza tra le aspettative
della società e le difficoltà dell'individuo trovano
spesso la risposta in una "pillola" non priva di effetti
collaterali (14).
Scopo del
nostro lavoro è stato quindi quello di rilevare la percentuale
di bambini affetti da ADHD tra quelli che afferiscono all'ambulatorio
del pediatra di famiglia, utilizzando un percorso diagnostico
complesso in collaborazione con specialisti neuropsichiatri e in
grado di assicurare un elevato grado di accuratezza diagnostica.
MATERIALI
E METODI
Lo studio
prevedeva una prima fase di sospetto del disturbo, che veniva svolta
presso l'ambulatorio dei pediatri di famiglia autori del lavoro e una
seconda fase, di conferma, presso un servizio di neuropsichiatria
infantile.
I criteri
di esclusione erano:
- età
inferiore ai 6 anni,
- ritardo
mentale anche lieve,
-
patologie rilevanti a carico del SNC.
Nella
prima fase venivano inizialmente poste le seguenti domande ai
genitori che accompagnavano i bambini inclusi nello studio:
1.
L'insegnante le ha detto che è irrequieto? E' disattento?
2. Ha
difficoltà a mantenere l'attenzione nei compiti? O in altre
attività?
3. Le
sembra sia un bambino iperattivo o impulsivo? E' un bambino che non
sta mai fermo?
Avendo
ottenuto anche solo una risposta affermativa alle domande, si
sottoponeva al genitore la check-list prevista nei criteri del
manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quarta
edizione (DSM-IV) (15), e si approfondiva l' intervista con lo scopo
di stabilire se il bambino potesse presentare uno stato di
disadattamento sociale e/o scolastico. In alcune occasioni è
stato necessario programmare una visita successiva per poter
effettuare un colloquio più approfondito.
Se erano
esauditi i criteri di diagnosi del DSM-IV, veniva infine chiesto ai
genitori l'assenso per poter contattare il corpo insegnante, con lo
scopo di ottenere un'ulteriore conferma mediante la somministrazione
del questionario di Conners per la valutazione dei comportamenti
problematici in classe e, contemporaneamente, veniva loro proposto
l'invio presso il servizio di Neuropsichiatria Infantile
dell'Università Cattolica S. Cuore di Roma. Qui avveniva il
colloquio con i genitori del bambino (anamnesi riguardo al
comportamento del bambino dalla gravidanza al momento della visita;
familiarità per ADHD e altre patologie psichiatriche o
neurologiche; disturbi del sonno; notizie sulle scuole frequentate;
relazioni con i coetanei e con gli adulti; altri disturbi
psicologici). A seguito di questa prima visita veniva stabilito un
programma per completare l'iter diagnostico. Sulla base dei disturbi
riferiti od osservati ad una valutazione del Quoziente Intellettivo
(WISC-R) e delle capacità attentive, eseguite in tutti i casi,
veniva aggiunto un approfondimento specifico per valutare la presenza
e le caratteristiche di co-morbidità sospettate. Mediante il
questionario di Conners (16,17) veniva effettuata la valutazione del
comportamento del bambino a casa e a scuola e, infine, venivano
effettuate la comunicazione della diagnosi e la discussione con i
genitori di strategie da attuare a casa e a scuola per aiutare il
bambino a migliorare il suo comportamento.
RISULTATI
Nel
periodo dal 1.4.1999 al 31.12.1999 sono stati studiati 794 bambini
(vedi tabella 1); di questi, 19 sono stati individuati come
probabilmente affetti dal disturbo ADHD. Per 9 di questi bambini il
pediatra ha preso contatto con l'insegnante mediante un colloquio
diretto o telefonico. Ai genitori di questi bambini è stato
proposto l'invio presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile
(vedi figura); i genitori di tre bambini (15.8%) hanno rifiutato. Tra
i rimanenti bambini, quattro (21%) hanno ricevuto un'altra diagnosi
(in 3 casi disturbi dell'apprendimento, valutati mediante ulteriori
test, e in un caso disturbo depressivo). Hanno ricevuto conferma del
disturbo ADHD 12 bambini (63.2%), in 3 casi con prevalente disturbo
dell'attenzione ( vedi tabella 2); la prevalenza generale del
disturbo in percentuale è risultata pari a 1.51 (IC95% 0.67 -
2.35). Considerando i tre bambini i cui genitori hanno rifiutato la
visita neuropsichiatrica, è possibile stimare che almeno 2 di
essi avrebbero potuto ricevere diagnosi di ADHD; per tale motivo la
prevalenza stimata potrebbe salire a 1.76 (IC95% 0.85 - 2.67). Dieci
dei 12 bambini che hanno ricevuto diagnosi di ADHD sono maschi,
determinando una prevalenza percentuale diversa fra i due sessi: 2.46
(IC95% 0.95 - 3.97) tra i maschi e 0.52 (IC95% 0 - 1.23) tra le
femmine, con un rapporto maschi-femmine di 5:1.
DISCUSSIONE
Una delle
questioni cruciali relative al disturbo da deficit di attenzione con
iperattività riguarda, come abbiamo detto, la diagnosi, che si
basa per lo più sulla storia ottenuta dal colloquio con coloro
che vivono con il bambino. L'importanza di un'accurata diagnosi è
stata recentemente sottolineata dall'Accademia Americana di
Pediatria, che raccomanda:
1) l'uso
dei criteri compresi nel DSM-IV;
2)
l'anamnesi raccolta in almeno due ambienti, soprattutto famiglia e
scuola;
3) la
ricerca di condizioni coesistenti (comorbidità) che possono
rendere più difficile la diagnosi e più complesso
l'iter terapeutico (4).
Oltre al
DSM-IV, si possono utilizzare i criteri diagnostici della
classificazione ICD-10 (Classificazione Internazionale delle
Malattie, decima edizione) delle malattie psichiatriche. Il DSM IV
definisce l'ADHD distinguendo tre sottotipi:
-
disturbo con prevalente disattenzione,
-
disturbo con prevalente iperattività/impulsività,
-
disturbo misto.
L'ICD-10
definisce il disturbo ipercinetico (HKD), utilizzando criteri
diagnostici più rigidi e richedendo la presenza contemporanea
di disattenzione e di iperattività/impulsività.
Quest'ultimo criterio è inoltre più severo nel separare
i bambini affetti da altri disturbi comportamentali (ad es.
depressione, ansia, disturbo della condotta) dai bambini con HKD (8).
L'uso di uno o dell'altro criterio è stato identificato come
la causa principale, ancor prima di fattori sociali, geografici,
razziali ed economici, della differente prevalenza del disturbo
rilevata nei vari paesi (8).
Nel
nostro studio abbiamo utilizzato i criteri riportati nel DSM-IV
fondamentalmente perché è maggiormente utilizzato in
letteratura e per la semplicità e la maneggevolezza della
check-list che lo rendono più idoneo alla realtà
dell'ambulatorio pediatrico.
L'iter
diagnostico da noi seguito è iniziato con alcune domande, del
tutto simili a quelle attualmente raccomandate dall'Accademia
Americana di Pediatria (4), e che sono finalizzate ad uno screening
rapido dei problemi di comportamento. Successivamente, in caso di
risposta positiva ad almeno una domanda, veniva eseguito il DSM-IV,
spesso accompagnato da una ricca narrazione degli episodi concernenti
il comportamento del bambino. In quasi la metà dei casi è
stato possibile per il pediatra mettersi in contatto con uno o più
insegnanti di ciascun bambino e, pur non avendo previsto una
quantificazione numerica, possiamo affermare che si è trattato
di un momento giudicato complessivamente in modo molto positivo da
tutti, dimostrando l'utilità dell'incontro tra operatori che,
pur avendo compiti diversi, condividono obiettivi comuni.
A questa
fase seguiva quella di conferma presso un centro di NPI. Le famiglie
di tre bambini hanno rifiutato la valutazione specialistica, a
conferma della problematicità legata all'invio dal
neuropsichiatra; è infatti comprensibile la paura del figlio
"non normale", per il quale si delineano i fantasmi di un
futuro da disadattato, verso cui ci si difende con la negazione del
problema.
L'accuratezza
diagnostica del pediatra, in termini di valore predittivo positivo,
ovvero di diagnosi confermate sul totale dei bambini valutati dal
servizio di neuropsichiatria infantile, è stata pari al 75%.
Questo risultato ci permette di affermare che il pediatra
ambulatoriale è in grado di porre un sospetto di ADHD molto
fondato, ma altresì non può prescindere, se non nei
casi in cui lo stesso sia particolarmente esperto di psicodiagnostica
(18), dalla collaborazione del neuropsichiatra infantile.
La stima
della prevalenza del disturbo tra i bambini in cura dai pediatri è
stata di poco inferiore al 2%, percentuale che rientra nel range di
prevalenza dell'ADHD/HKD nella popolazione generale, compreso tra
1.7% e 16%. In Europa studi che hanno utilizzato i criteri ICD-10
riguardano la Germania (4% a 8 anni, 2% a 13 anni), la Svezia (2% tra
i 5 e i 12 anni) e il Regno Unito (2% a 7 anni). Gli studi,
soprattutto statunitensi, che hanno utilizzato il DSM-IV riportano,
proprio in ragione dei criteri di diagnosi più ampi sopra
descritti, tassi più elevati compresi fra il 4.2% e il 26%
nella fascia d'età 6-12 anni (9,10).
E'
possibile che il nostro dato sottostimi l'entità del problema
fondamentalmente perché la popolazione in cura presso i
pediatri può non essere rappresentativa di quella generale.
Infatti, è noto che in Italia, unico paese al mondo in cui lo
Stato fornisce un servizio di assistenza territoriale specialistica
gratuito per tutti i bambini, l'obbligatorietà di essere in
cura presso il pediatra termina a 6 anni; questo aspetto potrebbe
aver selezionato famiglie meno svantaggiate, culturalmente più
motivate ad apprezzare le diversità assistenziali tra le varie
figure mediche e a scegliere la continuità con il proprio
pediatra. Un'altra causa di sottostima potrebbe derivare
dall'incapacità del pediatra di "vedere" il disturbo
quando viene negato a priori dal genitore; questo è possibile
soprattutto quando è elevato il grado di tolleranza familiare
o quando il genitore si riconosce appieno nel proprio figlio.
Al pari
della letteratura (9,10), abbiamo rilevato una differenza marcata tra
i due sessi, con un rapporto maschi-femmine pari a 5 a 1.
Commento
Alla fine
di questo percorso diagnostico ci siamo resi conto di aver preso
contatto con una realtà che tende a sfuggire alla razionalità,
infarcita di umiliazioni personali, frustrazioni, incomprensioni,
pregiudizi, a volte violenza, che si ripercuote in maniera importante
sui genitori, ma soprattutto sul bambino, sul suo stato d'animo,
sulla sua spontaneità e spensieratezza nell'affrontare
l'esperienza quotidiana. Ci siamo resi conto che se da una parte c'è
una famiglia con il suo bambino sofferente che chiede un aiuto,
dall'altra c'è una società spesso sorda, emarginante,
causa di insuccesso scolastico, che colpevolizza i genitori e
soprattutto la madre.
Il nostro
lavoro ci ha permesso di maturare alcune considerazioni. Riteniamo
sia compito del pediatra formarsi coscienziosamente sul disturbo,
sapere utilizzare le tecniche di counseling per fare in modo che la
narrazione dei genitori costituisca una risorsa diagnostica e
terapeutica, entrare in contatto con gli insegnanti per comprendere
le dinamiche scolastiche, sospettare il disturbo ed effettuare una
diagnosi differenziale, affiancare il neuropsichiatra e la famiglia
durante la fase di diagnosi e inizio terapia, farsi carico del
follow-up di questi bambini sapendo prevenire ulteriori disagi e
infondendo quella fiducia necessaria al raggiungimento di obiettivi
soddisfacenti. Lavorare in questi termini è senza dubbio
impegnativo, ma costituisce un forte momento di crescita
professionale del pediatra ambulatoriale, soprattutto in una realtà
in cui le patologie emergenti trovano origine sempre di più
dalla realtà psicosociale dell'infanzia (19).
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