Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Settembre 2010 - Volume XIII - numero 7
M&B Pagine Elettroniche
Le Giornate di Medico e Bambino
Medico
e Bambino 2010
Milano,
7-8 maggio 2010
Pubblichiamo
qui di seguito gli abstract dei "giovani" del congresso
“Le Giornate di Medico e Bambino” 2010.
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Una
strana desaturazione
1Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Scuola di Specializzazione in
Pediatria, Università di Trieste
2Ematologia,
Dipartimento di Scienze Pediatriche, Università di Torino
indirizzo
per corrispondenza: annamartina77@yahoo.it
I., 2
anni, viene portato all’Ospedale di zona per febbre persistente
e recente insorgenza di difficoltà respiratoria. La
saturazione di ossigeno in aria libera è inferiore al 90%;
dopo le prime cure viene trasferito, in ossigenoterapia, all’Ospedale
Regina Margherita con diagnosi di polmonite in sindrome influenzale
da H1N1. Viene ricoverato e prosegue la terapia antibiotica associata
a terapia antivirale per 8 giorni sino alla guarigione del focolaio
broncopneumonico. In corso di ossigenoterapia presenta costantemente
valori di saturazione intorno al 95%.
Nella
linea paterna è presente un’anemia emolitica. L. ha
normali livelli di emoglobina ma elevata reticolocitosi e sullo
striscio di sangue periferico una spiccata anisopoichilocitosi.
L’elettroforesi dell’emoglobina mostra una banda anomala
di circa il 10%.
L’indagine
molecolare dimostra la presenza di una mutazione puntiforme su una
sola copia del gene della beta globina, che comporta una sostituzione
della valina con la metionina in posizione CD98; si tratta di
variante emoglobinica instabile conosciuta come emoglobina di Koln.
Le
emoglobine instabili sono generalmente trasmesse in modalità
autosomica dominante e frequentemente hanno un’anomala affinità
per l’ossigeno; la mutazione dell’Hb Koln induce
un’aumentata affinità per l’ossigeno.
L’auto-ossidazione della variante instabile determina la
formazione di una certa percentuale di metaemoglobina, con
conseguente riduzione della saturazione di ossigeno. In questi
soggetti l’emolisi è generalmente ben compensata
dall’iperplasia eritroide (aumentata produzione di EPO da
ipossia tessutale). Nello striscio periferico si osserva
reticolocitosi e talvolta, specie dopo splenectomia, presenza di
Corpi di Heinz. Il riscontro di una banda anomala all’elettroforesi
dell’Hb è un reperto incostante (la mutazione,
elettricamente neutrale, non altera la mobilità
elettroforetica); la conferma diagnostica viene dall’identificazione
della mutazione sul gene di una delle catene globine.
Rabdomiolisi
e infezione da H1N1: tre casi in tre settimane
S.C.
Pediatria, Ospedale dei Bambini “V. Buzzi”, Milano
La
rabdomiolisi è la via finale comune di processi diversi, che
conducono alla distruzione del muscolo scheletrico e al rilascio del
contenuto cellulare nel plasma. Nella popolazione pediatrica le più
comuni cause di rabdomiolisi sono le infezioni virali e i traumi; la
maggior parte delle miositi virali sono secondarie a virus
influenzale. Riportiamo tre casi di rabdomiolisi, occorsi in un
periodo di tre settimane tra ottobre e novembre 2009, in
corrispondenza del picco di influenza pandemica, e risultati positivi
alla ricerca del virus H1N1 su tampone nasale con metodica PCR Real
Time.
Marco, 8
anni. Accesso al PS per algia agli arti inferiori con impotenza
funzionale, comparsa in coda a una breve fase febbrile risoltasi
spontaneamente. Marcata alterazione degli enzimi muscolari (CPK 13543
U/l, CPK-MB 233 U/l, AST max 370 U/l), elettroliti corretti, diuresi
attiva, urine limpide. Idratazione parenterale per 36 ore, poi per
os. Funzione renale sempre normale, sintomatologia algica in
remissione dalla seconda giornata di ricovero, CPK in calo al
controllo pre-dimissione (CPK 2735 U/l).
Davide, 7
anni. Accesso al PS per algia agli arti inferiori con limitazione
funzionale, contemporaneo esordio febbrile. Elevazione degli enzimi
muscolari (CPK 1254 U/l), fugace microematuria. Idratazione
parenterale per < 24 ore. Defervescenza spontanea, remissione
della sintomatologia algica, in dimissione trend in riduzione degli
enzimi muscolari.
Tommaso,
3 anni. Accesso al PS per algia agli arti inferiori con impotenza
funzionale, recente flogosi febbrile delle alte vie respiratorie.
Elevazione degli enzimi muscolari (CPK 4127 U/l, AST 210 U/l,
aldolasi 31 U/l), urine limpide. Idratazione per os; remissione della
sintomatologia dolorosa, CPK in calo al controllo pre-dimissione
(1871 U/l). Urine sempre limpide, mioglobinuria assente, funzione
renale conservata, elettroliti corretti.
Come il
virus epidemico, anche quello pandemico H1N1 può causare
rabdomiolisi e va sospettato in caso di elevazione delle CPK con
sintomi influenzali recenti o attuali.
Dall’asfissia
neonatale alla perforazione intestinale nel neonato a termine
1IRCSS
Burlo Garofolo, Trieste
2Ospedale
Civile Santa Maria dei Battuti, Medicina Neonatale, Conegliano
(Treviso)
K. nato a
41+3 settimane da TC urgente dopo riferito tentativo di applicazione
di ventosa. Pn 4,070 kg; Apgar 2-5-8; roseo e reattivo al 5°
minuto. Emogas equilibrato. A 12 ore di vita addome globoso e teso,
apparentemente dolente, restante obiettività negativa. Rx
addome: non livelli né falde; digiuno e idratazione
parenterali. A 24 ore: comparsa di sangue rosso vivo nelle feci,
obiettività invariata. PCR 4,46 mg/dl; GB 4700/mm3; INR 1,72.
Ecografia addominale: importante sofferenza del colon con diffuse
microbolle gassose nell’albero venoso portale. Non segni
clinici, bioumorali e strumentali di lesione a carico degli altri
distretti (cuore, rene e cervello). Trasferito in TIN di terzo
livello K. è stato sottoposto a laparotomia, riscontro di
“perforazione cecale posteriore, trasverso e del colon
discendente”. Confezionata ileostomia ileale su baguette e
antibioticoterapia. Dopo 7 gg K. è completamente canalizzato,
tollera bene l’alimentazione enterale per cui è
ritrasferito nel nostro Centro.
La NEC è
tipica del pretermine, ma è documentata anche nei neonati a
termine (< 10%). I principali fattori di rischio sono: asfissia
alla nascita, IUGR, cardiopatie congenite, gastroschisi, policitemia.
Il quadro clinico insorge più precocemente nel neonato a
termine: primi giorni di vita vs seconda settimana di vita. Si
ipotizza che il danno ipossico intestinale favorisca l’invasione
batterica dopo l’avvio dell’alimentazione. Nel nostro
caso non era stata ancora avviata la nutrizione enterale e a
determinare la NEC è stata prevalentemente l’asfissia
neonatale che ha risparmiato gli altri organi. La NEC nei neonati a
termine ha una mortalità ridotta rispetto ai pretermine, a
condizione che riconoscimento e trattamento appropriati siano
tempestivi.
Con
un bacio piccolissimo…
Pediatria,
Ospedale Bufalini, Cesena
Riportiamo
5 casi di encefalite erpetica (EE) passati per Cesena negli ultimi 10
anni. L’EE è una forma sporadica di encefalite con delle
connotazioni ben precise e con delle caratteristiche di gravità
altrettanto conosciute. La variabilità di presentazione
clinica e di progressione fanno parlare però di un vero e
proprio spettro di malattia, soprattutto in età pediatrica.
L’età
di presentazione della nostra casistica è stata molto
variabile (1-12 anni), così come il fenotipo clinico: febbre
in tutti casi, convulsioni in 2, 3 avevano avuto perdita di
coscienza, tutti presentavano segni di focalità (4 con segni
piramidali, 1 con afasia, 2 con sindrome opercolare, 1 con sindrome
di Kluver-Bucy). Interessante notare come non tutti i casi
presentavano la caratteristica localizzazione temporo-parietale
bilaterale tipica dell’HSV1 alla RMN cerebrale e all’EEG,
come è descritto può succedere nei bambini. In
particolare 2 avevano presentato una localizzazione insulare profonda
con l’evidenza clinica della caratteristica sindrome
opercolare.
In tutti
i casi si era avuta positività della PCR su liquor per HSV1,
esposizione diretta al virus vi era stata in soli 2 casi. Tutti i
bambini erano stati trattati con acyclovir EV in media per 21 giorni.
In
sostanza dalla revisione di questi casi ho imparato:
* che
l’EE è una malattia grave ad alta morbilità che
va quindi riconosciuta tempestivamente e trattata con aggressività
e terapia specifica (acyclovir).
* che nel
bambino non tutte le EE hanno la classica localizzazione bitemporale,
anzi spesso la sintomatologia neurologica focale può essere
molto più sfumata rispetto all’adulto, ponendo
importanti problemi diagnostici, soprattutto all’esordio.
* che di
fronte a un bambino con febbre e sintomatologia neurologica focale
acuta è sempre opportuno pensare all’EE: la diagnosi
precoce può fare una differenza sostanziale sull’outcome
neurologico a lungo termine del bambino.
Aorta
bicuspide… dobbiamo preoccuparci?
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Università di Trieste
M. 18
anni; alla nascita per riscontro di soffio cardiaco diagnosi di
coartazione aortica (istmica) associata a valvola aorta bicuspide
(BAV). Ipertensione sistemica trattata con captopril. Sottoposto a
intervento chirurgico correttivo con flap di succlavia a 45 giorni di
vita, con decorso successivo privo di eventi e PA normale. F. 13
anni; BAV scoperta casualmente all’età di 10 anni, in
corso di valutazione medico sportiva; non coartazione associata, ma
successivo sviluppo di importante e precoce dilatazione dell’aorta
ascendente (da 2.6 a 3.5cm in un anno). Il riscontro recente di
ipertensione arteriosa lieve ci ha indotto ad avviare una terapia
antiipertensiva con sartanico. R. 17 anni; alla nascita in seguito a
riscontro di soffio cardiaco diagnosi di kinking aortico senza
coartazione (pseudocoartazione), con associata BAV; obiettivamente
polsi femorali palpabili, PA normale.
Commento:
3 casi diversi per una condizione comune; la BAV è la più
frequente anomalia congenita cardio-vascolare (1-2% della
popolazione). Lo spettro di manifestazioni cliniche è ampio:
può essere una condizione isolata, spesso asintomatica e di
riscontro casuale, oppure associata ad altre anomalie cardiache
congenite (coartazione aortica) e ad alterazioni evolutive a carico
della valvola o dell’aorta ascendente (stenosi/insufficienza
valvolare, dilatazione della radice/aorta ascendente, aneurisma
aortico fino alla dissezione aortica). Anche se isolata la BAV è
un fattore di rischio indipendente per aneurisma e dissezione
aortica. L’ipertensione arteriosa è frequente, può
essere secondaria alla coartazione o di natura essenziale. La BAV non
è quindi una condizione benigna, pertanto, pur in assenza di
sintomi, questi pazienti devono essere seguiti per tutta la vita. Le
attuali raccomandazioni prevedono: il controllo dei fattori di
rischio cardiovascolare, lo screening nei familiari, il monitoraggio
della PA e la terapia antiipertensiva, la valutazione seriata delle
dimensioni dell’aorta ascendente mediante ecocardiografia e RM.
Un diametro dell’aorta ascendente >5 cm è indicazione
a intervento di sostituzione dell’aorta ascendente. Il paziente
con BAV può praticare attività fisica aerobica moderata
con la raccomandazione di evitare sforzi di tipo isometrico
(pugilato, pesistica, attrezzistica).
Distrazione
attiva in corso di venipuntura: è possibile migliorare
l’efficacia di EMLA? Trial randomizzato controllato
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
Background:
le procedure di venipuntura e incannulamento venoso sono la causa più
comune di dolore e distress nel bambino. Ridurre il dolore e l’ansia
a esse correlati potrebbe essere importante per prevenire le reazioni
di distress in corso di ulteriori procedure, soprattutto per quei
bambini con patologia cronica che necessitano di controlli o ricoveri
multipli.
L’obiettivo
di questo trial randomizzato controllato, condotto in aperto, è
stato quello di valutare nel bambino l’efficacia dell’aggiunta
di una strategia di distrazione attiva (videogame) sul dolore
procedurale da venipuntura.
Metodi:
Sono stati reclutati 109 bambini di età compresa tra i 4 e i
10 anni; di questi 97 sono stati randomizzati e suddivisi in due
gruppi: un gruppo di controllo (CC) che ha ricevuto solo le cure
convenzionali, ovvero la premedicazione con EMLA, e un gruppo
sperimentale (AD) in cui alle cure convenzionali è stata
aggiunta la distrazione attiva con videogame. Gli outcome valutati
sono stati il dolore riferito dal bambino, per mezzo della scala di
autovalutazione FPS-R; la reazione comportamentale al dolore valutata
da un osservatore secondo la scala FLACC; il numero di tentativi
necessari per il successo delle procedure di venipuntura o
incannulamento venoso.
Risultati:
In entrambi i gruppi la mediana dei punteggi FPS-R è stata 0,
con un dolore significativo (FPS-R > 4) riportato dal 9% dei
soggetti. La mediana per quel che riguarda la scala FLACC è
stata pari a 1 in entrambi i gruppi, mentre la percentuale di bambini
con dolore grave (FLACC > 4) è stata del 18% nel gruppo di
controllo e del 9% in quello sperimentale; tale differenza non è
statisticamente significativa (p = 0.2). La mediana dei tentativi
necessari è stata pari a 1 in entrambi i gruppi, con un range
interquartile compreso tra 1 e 2.
La
distrazione attiva è stata applicata con facilità e
accettata molto bene sia dai bambini sia dagli operatori.
Conclusioni:
La distrazione attiva non migliora l’analgesia già
fornita con EMLA per quel che riguarda le procedure di venipuntura e
incannulamento venoso, ciò nonostante è risultata
essere facilmente applicabile e apprezzata dai bambini. Potrebbe
essere utile indagare questa tecnica di distrazione in corso di altre
procedure dolorose.
Suscettibilità
di Escherichia coli ai maggiori antibiotici utilizzati nella terapia
delle infezioni delle vie urinarie in età pediatrica: utilità
nella conoscenza delle resistenze su base locale
1Dipartimento
Clinica di Laboratorio
2Struttura
Complessa di Pediatria
Ospedale
San Leopoldo Mandic, Merate (Azienda Ospedaliera di Lecco)
BACKGROUND
E SCOPO DELLO STUDIO. Escherichia coli (E. coli) è la causa
principale di infezione delle vie urinarie (IVU) nel bambino. Per una
corretta impostazione della terapia è necessario disporre di
dati epidemiologici e di farmaco resistenza, non solo su base
nazionale e internazionale ma anche locale. Studi recenti in bambini
ospedalizzati con IVU riportano un tasso di resistenza a E. coli per
ampicillina superiori al 50% e circa del 20% per co-trimoxazolo e
amoxicillina-clavulanico. In uno studio diverso compiuto su bambini
ambulatoriali con IVU, non si sono invece osservate resistenze ad
amoxicillina-clavulanico. Gli scopi del nostro studio sono stati: a)
valutare i tassi di resistenza di E. coli in una popolazione
pediatrica di bambini dai 2 mesi ai 3 anni, sia ricoverati che
ambulatoriali; b) rivalutare le indicazioni per una terapia
antibiotica empirica sulla base dei dati ottenuti sulle resistenze
locali.
MATERIALI
E METODI. Sono state considerate tutte le urinoculture del nostro
ospedale sia per soggetti ricoverati che ambulatoriali, in bambini di
età compresa tra i 2 mesi e i 3 anni, raccolte tra gennaio
2007 e dicembre 2008 per una prima sospetta IVU. La provenienza dei
soggetti era circoscritta tra le Province di Lecco, Como, Monza e la
periferia di Bergamo e Milano. Il nostro protocollo interno prevedeva
la raccolta urine con i tre metodi più frequenti: il mitto
intermedio, il catetere vescicale estemporaneo e il sacchetto
perineale. La presenza di tre specie batteriche differenti nello
stesso campione era considerato come inquinamento. Non è stato
possibile avere informazioni relative a precedenti terapie
antibiotiche per eventuali infezioni a organi e/o apparati eccetto
che per l’apparato urinario.
RISULTATI.
Le urinoculture totali sono state 966, di cui il 66% sono risultate
negative, l’8% inquinate e il 26% positive. Il metodo di
raccolta maggiormente utilizzato è stato il mitto intermedio
(N. 750), seguito dalla raccolta con sacchetto (N. 122) e catetere
(N. 94). Il microrganismo maggiormente isolato è stato E.
coli, nel 63% dei casi. Nei ricoverati il maggior tasso di resistenza
(=47%), si osservava nei confronti dell’ampicillina, seguita
dal co-trimoxazolo (=19%) e dall’amoxicillina clavulanico
(=6%). Simile risultato era presente nella popolazione ambulatoriale
con un alto tasso di resistenza all’ampicillina (= 48%),seguita
da cotrimoxazolo (= 11%) e amoxicillina clavulanico (=10%). Circa
l’8% delle urinocolture totali eseguite hanno dato esito di
inquinamento. Il maggiore tasso di inquinati si osservava nelle
raccolte eseguite con sacchetto perineale (14% dei 122 campioni da
sacchetto). La percentuale di inquinamento è stata dell’8%
delle 750 urinoculture da mitto, mentre nessuna urinocultura è
risultata inquinata in quelle eseguite da cateterismo vescicale (N.
94). CONCLUSIONI. I nostri dati sottolineano l’utilità
della conoscenza delle resistenze locali a E. coli per una corretta
impostazione della terapia empirica nella IVU del bambino. Questi
risultati confermano quanto riportato da altri Autori europei sulle
elevate resistenze di E. coli ad ampicillina e cotrimoxazolo. Per
l’amoxicillina-clavulanato abbiamo riscontrato un minor tasso
di resistenza nei bambini ospedalizzati rispetto ad altri studi,
mentre il tasso è risultato maggiore per i pazienti
ambulatoriali. Tale differenza può essere in parte spiegata,
oltre che dalla diversa zona geografica degli studi, da differenti
precedenti terapie antibiotiche effettuate.
Il metodo
migliore di raccolta risulta è risultato essere quello del
mitto intermedio e del cateterismo vescicale.
Un
lavoro retrospettivo sulla malattia di Kawasaki
IRCCS
“Burlo Garofolo”, Trieste
Background.
La MK è la seconda vasculite dell’infanzia (dopo la
porpora di Schönlein-Henoch), con coinvolgimento
linfomucocutaneo e possibile coronarite. Oltre all’eziologia, i
problemi ancora aperti riguardano la diagnosi di forme non classiche
di malattia e il trattamento dei casi refrattari alla prima dose di
Ig Vena. Il nostro studio retrospettivo vuole descrivere il
comportamento clinico della MK e definire la prognosi in base a
tempestività diagnostica e tipo di terapia.
Metodi.
Abbiamo revisionato le cartelle cliniche di tutti i pazienti con
diagnosi di MK ammessi presso la Clinica Pediatrica dell’ospedale
Burlo Garofolo dal 1988 al 2009.
Risultati.
Riscontrati 45 nuovi casi di MK (29 maschi, 16 femmine). L’età
media alla diagnosi è di 32 mesi (range 18-35), il 78% ha meno
di 5 anni. Forme atipiche e incomplete sono rispettivamente il 14% e
il 18% del totale. Le forme atipiche si associano a età
d’esordio più tardiva (75,8 mesi, SD=45,2; p=0,014) e a
maggior ritardo diagnostico (mediamente dopo il 10° giorno di
febbre) rispetto forme classiche e incomplete. Il 24% dei pazienti
sviluppa complicanze cardiache, soprattutto valvulopatia transitoria
(18%). Un paziente sviluppa aneurisma coronarico (2%). Fattori
associati a una maggior tendenza di coinvolgimento cardiaco risultano
età avanzata ed elevata PCR all’esordio, refrattarietà
di risposta alla prima dose di IgVena e uso di dosi iniziali <2
g/kg; la forma clinica d’esordio non risulta invece essere
discriminante. Le IgVena sono somministrate correttamente per
tempistica e dosi nel 70% dei casi, il corticosteroide viene
utilizzato in associazione nei casi non responders o gravi ab initio,
specialmente nel trattamento delle forme atipiche.
Conclusioni.
Forme atipiche e incomplete rappresentano oggi un terzo del totale;
quelle atipiche in particolare si associano a età d’esordio
più tardiva e vengono riconosciute più tardi. Non
risulta esserci correlazione tra forma clinica e rischio di
complicanze cardiache. Malgrado la bassa incidenza di coronarite, si
osserva un inaspettato coinvolgimento valvolare, che risulta comunque
transitorio. I corticosteroidi risultano efficaci, in associazione
alle IgVena, nei casi refrattari e gravi ab initio e non risultano
correlati all’incidenza di complicanze cardiache.
Cosa
è nascosto dietro uno schiaffo
1Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
2NPI,
IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
L. è
una bellissima bambina di 9 anni che arriva in PS camminando con
difficoltà. La piccola ha difficoltà a raccontare cosa
le è accaduto, ha un eloquio rallentato, per cui è la
madre che racconta: “dopo il pranzo a scuola, L. ha litigato
con delle compagne di classe e da una di loro ha ricevuto uno
schiaffo; quando subito dopo è tornata in classe ha riferito
all’insegnante di non sentirsi bene e poi ha mostrato
difficoltà sia a scrivere che a parlare”, per cui è
stata portata in PS. La bambina è vigile, presenta disartria,
deficit di forza del braccio dx, ha difficoltà a mantenere la
posizione eretta, la prova di Mingazzini tende a slivellare a dx, il
quadro è compatibile con EMIPARESI ACUTA Dx.
Vengono
subito eseguiti: visita neurologica che conferma l’emiparesi dx
ed eseguiti prelievo ematico (nella norma), EEG e TC che non sono
dirimenti. La piccola viene ricoverata e si avvia terapia steroidea x
ev.
Il giorno
successivo vengono eseguiti altri esami ematochimici (che
risulteranno tutti nella norma), l’ecocolordoppler dei vasi e
la RM cerebrale che evidenzia lieve asimmetria del ponte in cui in
sede paramediana sx è presente piccola alterazione del segnale
(iperintensità in T2 e FLAIR e isointensità in T1),
dopo mdc non presenta enhancement; il quadro non è di sicura
interpretazione, potrebbe essere una lesione ischemica recente o una
piccola malformazione vascolare o piccolo processo produttivo di
basso grado. Per escludere la natura neoplastica della lesione L. ha
eseguito presso altra sede spettroscopia che ha confermato la natura
ischemica della lesione con successivo avvio della terapia con
Aspirinetta. Attualmente, a distanza di un anno L. è in
terapia con antiaggregante (Clopidrogel), in ottime condizioni
generali. La peculiarità del caso è da riferire alla
comparsa della sintomatologia neurologica dopo un trauma lieve, lo
schiaffo.
Lo stroke
in pediatria è un evento raro, ma non rarissimo (incidenza
3-10/100.000), solitamente insorge acutamente, è di natura
embolica e si verifica anche in soggetti senza fattori di rischio. Il
gold standard per la diagnosi è la RM. La terapia si avvale di
antiaggreganti per lunghi periodi di tempo.
Dietro
il torcicollo, non solo muscoli
1Scuola
di specializzazione in Pediatria, Università di Trieste
2Pronto
Soccorso e Primo accoglimento pediatrico, IRCCS Burlo Garofolo,
Trieste
D, 3
anni, giunge in PS per torcicollo. Quella mattina ha presentato anche
2 vomiti e lamenta cefalea. Dall’anamnesi si evince che il
piccolo andava incontro a pousée di cefalea associata a
torcicollo da almeno 8 mesi. Negli intercritici presentava una
posizione deviata del capo, interpretata secondaria a torcicollo
congenito. Escluse patologie a carico del rachide, in altra sede
erano stati iniziati controlli e sedute con un osteopata e un
fisioterapista con transitori benefici per quel che concerneva il
collo mentre per la cefalea era stato suggerito (ma ancora mai
assunto) L-OH triptofano. Obiettivamente il bambino è molto
sofferente, mantiene il collo flesso sulla spalla sinistra, e alla
palpazione del muscolo sternocleidomastoideo destro è
dolorabile. All’esame neurologico si rileva difficoltà
nella marcia in tandem, modesto impaccio sia agli arti superiori che
inferiori nelle prove cerebellari, non deficit dei nervi cranici né
dell’oculomozione. Al fundus oculi si rilevava un lieve edema
della papilla. Questo, insieme ai dati clinici, poneva indicazione
per una RMN cerebrale che mostrava un processo espansivo in sede
cerebellare sinistra con idrocefalo triventricolare. Il bimbo è
stato operato con asportazione completa della massa, risultata un
astrocitoma pilocitico.
Anche se
il torcicollo è considerato un segno classico di presentazione
del tumore della fossa cranica posteriore, poca è la
letteratura sul tema in ambito ortopedico e spesso viene
misdiagnosticato. In realtà, come dimostra il nostro caso, un
esame obiettivo approfondito generale e neurologico insieme alla
valorizzazione di sintomatologia associata (cefalea e vomito, segni
tipici di ipertensione endocranica) insieme alla lunga durata della
storia, impongono approfondimenti diagnostici nel pensiero a tale
patologia.
Un
caso di infezione da virus H1N1 in un paziente affetto da
glomerulonefrite post-streptococcica
I
Clinica Pediatrica, Università di Cagliari
Un
bambino di 10 anni giunge alla nostra osservazione trasferito da
altro Presidio, dove era ricoverato da cinque giorni per edemi e
febbre di n.d.d. Presenta edemi localizzati agli arti inferiori e in
regione sovrapubica, senza fovea e accompagnati da dolore addominale.
Le condizioni sono lievemente scadute, i restanti reperti obiettivi
sono nella norma. Il tampone faringeo è positivo per
streptococco ?-emolitico, il titolo ASLO e la proteinuria delle
24h sono aumentati rispetto alla norma, mentre il C3 è
diminuito, dati che confermano il sospetto di glomerulonefrite
post-streptococcica. Persiste la febbre,compaiono dispnea, soffio
bronchiale all’emitorace di sn e rantoli sub crepitanti con
ottusità alla percussione. All’Rx del torace: opacamento
completo dell’emitorace di dx per la presenza di addensamento
parenchimale disomogeneo e abbondante versamento pleurico, inoltre è
presente un addensamento parenchimale irregolare paracardiaco sn, più
marcato in campo medio ed esteso a livello basale e superiore,
accompagnato da versamento pleurico a sn. Il quadro polmonare è
stato confermato dall’esame tc (diffuso addensamento
parenchimale sn, più marcato in sede postero-basale, e
ilo-apicale dx, con presenza di broncogramma aereo in realazione a
processo flogistico; si rileva versamento pleurico più marcato
a dx con spessore massimo di 25,5 mm, senza significative adenopatie
mediastiniche). Il tampone nasale e faringeo sono positivi per virus
influenzale di tipo A(H1N1).Viene somministrata terapia antibiotica a
base di cefalosporine, macrolidi e aminoglicosidi. Nei giorni
successivi si ha un rapido miglioramento del quadro clinico con
rilievo di murmure vescicolare ben trasmesso su tutto l’ambito
bilateralmente, supportato dai reperti strumentali. Abbiamo scelto
questo caso per l’interessante concomitanza dell’infezione
polmonare da virus H1N1 con la glomerulonefrite e per il repentino
miglioramento del quadro flogistico sia polmonare che renale dopo
qualche giorno di terapia.
Affari
di cuore
Il
tamponamento cardiaco è una sindrome clinica rara in età
pediatrica con un quadro clinico spesso sfumato e difficilmente
descrivibile dal bambino. Una paziente di 6 anni e 5 mesi giunge alla
nostra osservazione per astenia, dolore addominale e rifiuto
dell’alimentazione. Le condizioni generali sono scadute. È
presente leucocitosi neutrofila importante, gli altri indici di
flogosi nella norma, ipertransaminasemia, aumento di CPK e LDH
marcato. La paziente diviene irritabile e poco reattiva, compare un
modico ipertono nucale, dolorabilità muscolare diffusa,
accentuata dalla flessione ed extrarotazione degli arti inferiori, i
riflessi osteotendinei non sono evocabili. All’EEG: un’attività
di fondo diffusamente rallentata,come da sofferenza parenchimale
diffusa. Si eseguono una RMN e una rachicentesi che risultano
negative per processi flogistici in atto. All’ECG:
sopraslivellamento diffuso del tratto ST e dagli esami ematochimici
emerge un aumento di CPK e della troponina I. All’ecocardiogramma:
funzione ventricolare lievemente ridotta globalmente e un importante
versamento pericardico circumferenziale di circa 2 cm, soprattutto
inferiore, con segni di tamponamento cardiaco. Si esegue drenaggio
chirurgico e Rx torace di controllo da cui emerge un addensamento
parenchimale basale sx. Visto il quadro clinico di pericardite con
tamponamento cardiaco e broncopolmonite con versamento pleurico si
pratica una terapia antibiotica e con acido acetilsalicilico.
Nonostante siano state eseguite ricerche sul sangue e sul liquor non
si è arrivati a una precisa diagnosi eziologica. La paziente è
stata dimessa dopo miglioramento del quadro clinico.Il tamponamento
cardiaco rappresenta un’emergenza medica, se non trattato porta
a esito fatale, la diagnosi e il trattamento precoce sono
indispensabili per la sopravvivenza del paziente. (Cousineau A,
Savitsky E. Cardiac tamponade presenting as an apparent
life-threatening event. Pediatr Emerg care 2005;21:104-8).
Studio
osservazionale sulla persistenza del rischio di rosolia congenita in
mamme pugliesi
1ACP
Salento
2ACP
Puglia Basilicata
Il Piano
nazionale di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita
(PNEM) (1) persegue l’obiettivo di ridurre e mantenere
l’incidenza della rosolia congenita al di sotto di 1 caso su
100.000 nati vivi. Per ottenere questo risultato bisogna che il 95%
delle donne in età fertile sia protetto contro la rosolia
perché ha superato l’infezione naturale o perché
è stato vaccinato con successo.
A
distanza di 6 anni dal Piano abbiamo deciso di verificare lo stato
delle cose valutando in modo retrospettivo il titolo antirosolia
delle mamme che si presentano al pediatra di base per i “bilanci
di salute” dei bambini del primo anno di vita.
L’indagine
è stata condotta da 9 pediatri di libera scelta delle province
di Lecce, Taranto, Brindisi e Bari.
Sono
state controllate 473 mamme; 72 sono le mamme risultate sieronegative
per rosolia ai controlli fatti in gravidanza e quindi a rischio di
rosolia congenita, con una percentuale del 15,2% che è più
del triplo del 5% considerato accettabile. Solo una delle 72 mamme è
cittadina non italiana per cui il problema non può essere
attribuito alla immigrazione.
Tra le 69
mamme sieronegative di cui è stata rilevata la parità,
22 erano alla seconda gravidanza e 6 addirittura alla terza per un
totale di ben 103 gravidanze condotte a rischio.
Possiamo
quindi concludere che nonostante le buone intenzioni espresse dal
Piano nazionale di eliminazione del morbillo e rosolia congenita gli
obiettivi di eradicazione sono ancora molto lontani e rischiano di
non essere raggiunti. La previsione di copertura stabile con due dosi
di vaccino del 95% dei neonati è ancora non realizzata, così
come è insoddisfacente la percentuale di recupero degli
adolescenti non vaccinati. Mancano infine strategie chiare di
intervento sulla popolazione adulta in età fertile.
Un’insolita
zoppia
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Brescia
2Ospedali
Riuniti di Bergamo, USC Pediatria
Femmina,
30 mesi; dall’età di un anno rallentato accrescimento;
alvo sempre regolare. Zoppia e dolore ingravescente agli arti
inferiori fino a impossibilità alla deambulazione; ricoverata
in altra struttura: valutazione ortopedica ed esami (ecografia delle
anche, Rx bacino e anche, Rx ginocchia) negativi. Compare
addominalgia; ecografia e TC addome: torsione delle anse del tenue.
Trasferita presso la Chirurgia Pediatrica del nostro ospedale,
sottoposta a laparoscopia: doppia invaginazione tenue-tenuale;
laparotomia con svaginazione. Nel post-operatorio persiste coxalgia;
Rx bacino e anche: demineralizzazione ossea diffusa, non lesioni
osteostrutturali; RM bacino e femori: alterazione del segnale con
presa di contrasto diffusa a livello osseo, come da fratture da
insufficienza. Trasferita in Pediatria: calcemia e fosforemia nella
norma, PTH ai limiti superiori, moderata carenza di vitamina D;
anemia sideropenica. PET total body: assenza di lesioni
neoproduttive. Transglutaminasi positive; tipizzazione HLA: allele
DQ2 in eterozigosi. EGDS e biopsia: mucosa enterica atrofica, marcato
essudato misto della lamina propria; reperti compatibili con malattia
celiaca. Diagnosi di celiachia e avvio di dieta priva di glutine e
terapia di supporto con vitamina D, calcio, acido folico, vitamine
del gruppo B, boli di ferro per via endovenosa e poi terapia marziale
per os.
La
celiachia è una condizione autoimmune con alterata risposta
alla gliadina che conduce a danno della mucosa intestinale fino
all’atrofia dei villi, con malassorbimento e deficit
nutrizionale a carico di diversi componenti, tra cui la vitamina D.
La demineralizzazione ossea si riscontra in più del 70% delle
persone affette da celiachia; il meccanismo con cui si instaura è
duplice: da un lato, gioca un ruolo fondamentale il malassorbimento
di vitamina D, che condiziona un ridotto assorbimento di calcio.
L’attività osteoclastica è incrementata anche da
un meccanismo infiammatorio dovuto all’aumentata produzione di
citochine proinfiammatorie (IL-1, IL-6, TNF-alfa) che attivano i
monociti, precursori degli osteoclasti, con conseguente perdita
ossea. La terapia con vitamina D aumenta la calcemia e ha un’attività
immunomodulatrice che riduce il danno infiammatorio.
Non
solo corpo estraneo…
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Brescia;
2Ospedali
Riuniti di Bergamo, USC Pediatria
Maschio,
7 mesi, nato a termine da parto eutocico, perinatalità nella
norma. A 50 giorni bronchiolite trattata a domicilio. A 6 mesi
episodio di dispnea inspiratoria risoltasi nell’arco di 24 ore
con broncodilatatori. Ricoverato per dispnea ingravescente, in
apiressia, trattata con broncodilatatori per aerosol; presenta
importante impegno respiratorio, mantenendo comunque una buona
saturazione; Rx torace: ipoespansione polmone sinistro con stiramento
omolaterale delle strutture mediastiniche e iperespansione polmone
destro. Si esegue TC torace: anomalia vascolare con arteria polmonare
sinistra che circonda posteriormente la trachea (sling polmonare) con
carena nettamente dislocata a sinistra; la biforcazione tracheale è
subito distale all’origine anomala dell’arteria; presenza
di bronco anomalo destro a origine tracheale in sede apicale. La
broncoscopia conferma il quadro radiologico: trachea di lume ridotto,
con anelli verosimilmente completi. Trasferito presso il Centro per
le Cardiopatie Congenite del nostro ospedale, F. è sottoposto
a intervento di correzione della malformazione vascolare, con buon
esito.
Le
anomalie congenite dell’arco aortico e delle sue principali
diramazioni portano alla formazione di anelli vascolari attorno alla
trachea e all’esofago, con gradi variabili di compressione. Le
più comuni sono: arco aortico doppio, arco aortico destro con
legamento arterioso sinistro, arteria anonima anomala, arteria
carotide sinistra anomala, arteria polmonare sinistra anomala (sling
polmonare). In questo caso, il vaso anomalo origina da arteria
polmonare principale allungata o da arteria polmonare destra e
decorre tra trachea e esofago comprimendoli. I sintomi consistono in
affaticamento respiratorio e stridore; è evidenziata da
ecocardiografia, da RM o da TC; la broncoscopia è utile nei
casi più gravi per determinare l’entità della
stenosi delle vie aeree. L’intervento di correzione dello sling
polmonare consiste in distacco del vaso e reanastomosi dell’arteria
polmonare principale dopo averla portata al davanti della trachea.
Un
caso di “Pott’s puffy tumor”
USC
Pediatria, Ospedali Riuniti di Bergamo
15 anni,
sinusitico cronico. Giunto in altro centro per cefalea, rigor, febbre
e edema occhio sinistro con compromissione renale, epatica e
midollare, agitato e desaturante. Alla TC encefalo evidenza di
pneumoencefalo, raccolta intraorbitaria sinistra e sinusite etmoidale
e mascellare. Trasferitoci, esegue liquor (colturale negativo), RMN
cerebrale (interessamento infettivo meningeo e cerebrale
fronto-orbitario, non trombosi) e EEG (patologico). Intubato, inizia
terapia antibiotica ad ampio spettro e cortisonica. A seguito di
lavaggio del seno mascellare isolamento di streptococco ?-emolitico
multisensibile. Successivamente formazione di nuovi ascessi orbitari
e sovraorbitari, con evidenza radiologica di spandimento intracranico
e trombosi venosa. Dopo etmoidectomia e svuotamento degli ascessi,
ricaduta, con ricomparsa di edema palpebrale. Neuroimmagini
compatibili con osteomielite frontale e cellulite fronto-temporale;
eseguita toelettatura della lesione suppurativa ossea frontale con
asportazione di materiale osseo e drenaggio degli ascessi.
Risoluzione clinica completa dopo terapia antibiotica (sei mesi) e
terapia anticoagulante (un anno). Negativa la ricerca per
immunodeficienze congenite e acquisite. L’osteomielite
dell’osso frontale associata a ascesso subperiosteo è
nota come “Pott’s puffy tumor”, dal nome di Sir
Percival Pott che la descrisse nel 1768. L’era antibiotica ne
ha drasticamente ridotto l’incidenza, colpisce tutte le età
e può complicare traumi o quadri di sinusite frontale, con
estensione alla squama ossea frontale, sia a livello del tavolato
esterno che interno, con interessamento intracranico e possibile
diffusione ematogena tramite le vene diploiche con potenziali
tromboflebite del seno sagittale, empiema subdurale e ascesso
cerebrale. Agenti patogeni implicati sono streptococchi,
stafilococchi e anaerobi delle alte vie aeree. Si presenta con
cefalea, febbre, astenia, vomito, tumefazione periorbitaria e
fotofobia. La conferma diagnostica viene dall’esecuzione di RMN
e TC encefalo. La terapia è sia medica (antibiotici ad ampio
spettro per possibili multiple colonizzazioni per almeno 6-8
settimane) che chirurgica (drenaggio degli ascessi). Con l’adeguata
terapia il tasso di mortalità per le complicanze intracraniche
scende dal 60 al 3,7%.
Mamma,
non mi piacciono i dolci…
USC
Pediatria, Ospedali Riuniti di Bergamo
2 anni ½,
perinatalità nella norma. Allattamento fino ai 2 anni,
svezzamento al 6° mese; crescita al 10-25 %ile con deflessione
dopo i 9 mesi di vita; sviluppo neuromotorio adeguato. Giunge per
vomito, condizioni generali diminuite e scarsa reattività con
riscontro di ipertransaminasemia, iperuricemia, ipertrigliceridemia e
ipoglicemia non confermata al successivo monitoraggio glicemico, con
quadro ecografico di steatosi epatica. Coagulazione, albumina,
insulinemia e cortisolemia nella norma. Accertamenti metabolici
negativi (ammonio, acido lattico, amminoacidi plasmatici e urinari,
acidi organici urinari, valutazione qualitativa zuccheri urinari,
emogasanalisi). Dopo due settimane nuovo episodio di vomito con
sudorazione profusa e ipoglicemia accompagnata da episodio convulsivo
di breve durata a risoluzione spontanea. Tale episodio compare 30
minuti dopo l’assunzione di frutta. Da un’attenta
anamnesi alimentare emerge marcata spontanea selezione nella scelta
del cibo (mai frutta, verdura, alimenti zuccherati, né tè
o succhi) e storia di vomito dopo l’assunzione di frutta (anche
in occasione del ricovero precedente emerge assunzione di bevanda
contenente fruttosio). Nel sospetto clinico di fruttosemia avviata
ricerca per mutazioni del gene per fruttosio aldolasi B, con
riscontro di quadro di eterozigosi composita.
L’intolleranza
ereditaria al fruttosio è una malattia geneticamente
determinata dovuta a un deficit di fruttosio aldolasi B in fegato,
intestino e rene, il che determina rapido accumulo di
fruttosio-1-fosfato dopo l’assunzione di fruttosio, con
comparsa di ittero, epatomegalia, vomito, letargia, irritabilità
e convulsioni, coagulazione alterata, ipoalbuminemia, rialzo di
bilirubina e transaminasi, disfunzione tubulare prossimale e
soprattutto ipoglicemia. L’età di insorgenza è
dieta-dipendente. La diagnosi, oltre all’anamnesi, è
suggerita dalla presenza di sostanze riducenti nelle urine durante un
episodio acuto. La conferma si basa sul test da carico di fruttosio,
sulla biopsia epatica per dosaggio dell’enzima fruttoaldolasi B
o sull’indagine genetica per mutazioni di tale enzima. La
terapia si basa sulla dieta di esclusione che migliora sia il quadro
clinico che lo sviluppo staturo-ponderale. Buona la prognosi a lungo
termine.
Grave
malformazione arterovenosa cerebrale a esordio neonatale
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2Dipartimento
Integrato Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero Universitaria,
Policlinico di Modena
M. nasce
a termine di gravidanza a decorso fisiologico, da parto eutocico. Nei
primi giorni di vita lieve tachipnea e riscontro di soffio sistolico.
La sintomatologia rapidamente peggiora, con tachicardia, tachipnea e
necessità di ossigenoterapia. L’ecografia cardiaca
evidenzia aumento delle pressioni polmonari con marcata dilatazione
delle sezioni destre severa insufficienza della valvola tricuspide,
shunt a direzione dx-sin dal forame ovale e dal dotto arterioso. Tali
alterazioni di flusso inducono all’esecuzione dell’ecografica
cerebrale, che mostra estesa cavità vascolarizzata nella sede
della vena di Galeno. La RMN cerebrale conferma multiple immagini
vascolari, compatibili con malformazione arterovenosa della vena di
Galeno (VGM). Nelle ore successive severa ipertensione polmonare con
ricorso a ventilazione meccanica. Il quadro clinico peggiora
rapidamente nonostante farmaci vasodilatatori per il circolo
polmonare (iNO, prostacicline, Sildenafil), diuretici, amine
vasoattive. In 20° giornata di vita, M. viene sottoposta ad
angiografia e intervento di embolizzazione transfemorale di alcune
delle fistole artero-venose. L’anomalia vascolare è
caratterizzata da numerosissime fistole ad alto flusso tra rami
arteriosi derivanti dalle arterie cerebrali posteriori e grossi
gavoccioli venosi drenanti nella vena di Galeno e poi nel seno retto.
Si esegue cateterismo selettivo di 3 grossi rami arteriosi, le cui
fistole vengono occluse mediante applicazione di spirali metalliche e
colla. Nonostante il trattamento la malformazione viene rifornita da
flussi nei restanti tramiti fistolosi, con peggioramento
dell’ipertensione polmonare e marcato reverse flow dall’arco
aortico. Viene ripetuta l’embolizzazione con chiusura di altre
due fistole artero-venose. A causa della progressiva dilatazione
ventricolare, del crescente danno parenchimale e della persistente
turbolenza di flusso, associati a un aggravamento delle condizioni
cliniche, si esegue un nuovo intervento di embolizzazione, complicato
da emorragia endocranica massiva, cui segue progressivo
deterioramento cardiocircolatorio ed exitus in 65° giornata di
vita. La storia naturale della VGM a esordio neonatale, non trattata,
è il decesso nel 90-100% dei casi. La diagnosi ecografica
prenatale e/o postnatale ha permesso la pronta identificazione e il
precoce intervento terapeutico di embolizzazione ha permesso di
migliorare la sopravvivenza e l’outcome. La selezione dei
pazienti da sottoporre al trattamento si avvale del Bicetre neonatal
evaluation score, composto da 21 punti basati su funzionalità
cardiaca, cerebrale, epatica, respiratoria e renale. La
stabilizzazione delle condizioni cliniche pre-intervento è
essenziale per garantire un equilibrio emodinamico e consentire un
approccio interventistico. Nel nostro caso l’anomalia
vascolare, con caratteristiche neuroradiologiche di VGM atipica, è
stata diagnosticata in 4° giornata di vita tramite indagine
ecografica cerebrale, motivata dal quadro di scompenso cardiaco
destro. Il trattamento medico ha consentito di migliorare, pur solo
transitoriamente, il compenso emodinamico. L’estrema gravità
del nostro caso risiede nella complessità della malformazione,
nella sua spontanea tendenza ad autorifornirsi, e nella difficoltà
di controllare farmacologicamente lo scompenso cardiaco. Difficoltà
sfidate e in parte superate fino a consentire alla piccola di vivere
alcuni giorni con minimo supporto ventilatorio e farmacologico nelle
braccia della sua mamma, ma diventate infine incontrastabili fino a
determinarne l’exitus.
Sindrome
di Down e malattia di Hirschprung
Scuole
di Specializzazione di Pediatria1 e Genetica Medica2
Università
di Messina, Facoltà di Medicina e Chirurgia
Descriviamo
il caso di un bambino di 5 anni affetto da sindrome di Down. Alla
nascita è stata posta diagnosi di Sindrome di Down per la
presenza di dimorfismi caratteristici e DIA tipo ostium secundum. Sin
dai primi mesi di vita si evidenziava un alvo tendenzialmente
stitico, caratterizzato da evacuazioni solo dopo esecuzione di
clistere. Per tale motivo ha praticato diversi cicli di terapia con
lattulosio e fibre con beneficio ma ripresa della sintomatologia alla
sospensione del farmaco. Si è deciso per cui di procedere con
indagini di secondo livello. Un clisma opaco evidenziava: “Stenosi
segmentaria al passaggio sigma-retto, con distensione del sigma a
monte. La biopsia rettale per suzione (Gold standard nella diagnosi
della MH) e l’esame istologico con colorazioni isoenzimatiche
con evidenza di “Assenza di cellule gangliari del plesso
sottomucoso, presenza di fibre nervose ipertrofiche nel plesso
mucoso. Incremento dell’attività acetilcolinesterasica
nella lamina propria, nella muscularis mucosae e nella sottomucosa”.
Alla luce di tali dati è stata posta diagnosi di Aganglia
rettale (Hirschsprung classico). All’età di 5 anni e
6/12 il piccolo è stato sottoposto a intervento chirurgico in
laparoscopia (Pull-through sec. Georgeson – Soave
laparoscopico) con abbassamento del sigma per via endorettale e
anastomosi prossimalmente al canale anale, con completa risoluzione
della sintomatologia e regolarizzazione dei caratteri dell’alvo.
Il nostro
caso conferma quanto già descritto in letteratura, e cioè
come la sindrome di Down sia l’anomalia cromosomica più
spesso associata alla malattia di Hirschsprung (10% dei casi). La
malattia di Hirschsprung è una malformazione congenita
dell’intestino caratterizzata dall’assenza di gangli
intramurali nel plesso mienterico e sottomucoso in porzioni terminali
del colon di lunghezza variabile e dall’abnorme innervazione
della muscolatura liscia degli ultimi segmenti dell’intestino.
L’assenza di innervazione neuronale è una conseguenza
dell’arresto della migrazione dei neuroblasti dall’intestino
prossimale a quello distale. La porzione intestinale priva di gangli,
detta agangliare, crea un’ostruzione intestinale per mancato
rilasciamento durante la peristalsi e mancata progressione del
contenuto intestinale. L’etiologia genetica è sostenuta
da un aumentato rischio di ricorrenza per i fratelli affetti (4%);
prevalenza nei maschi; associazione con altre patologie genetiche;
sono stati mappati geni di suscettibilità in 3p21, 9q31e
19q12. Le forme sindromiche della MH sono associate con i geni LICAM,
SOX10, SIP1. Il trapianto di cellule staminali del sistema nervoso
enterico potrebbe essere quindi una valida alternativa ai
trattamenti.
Febbre
mediterranea familiare: correlazione fenotipo-genotipo
Suole
di specializzazione di Pediatria1 e Genetica medica2
Università
di Messina
L’FMF
è una febbre di natura genetica a trasmissione
autosomica-recessiva. La sintomatologia è caratterizzata da
febbre associata a polisierositi (monoartrite, peritonite, pleurite e
pericardite sterili) con positività degli indici di
flogosi,della durata di 2-3 giorni.Il periodo intercritico è
caratterizzato da benessere clinico e negatività degli indici
di flogosi. La complicanza più temibile è l’amiloidosi
renale. La terapia utilizzata è la colchicina. È ormai
prassi comune utilizzare per la diagnosi il Printo Score che calcola
la possibilità di febbre genetica in base a parametri
stabiliti (età del paziente, presenza di dolore addominale e
toracico, afte, diarrea e storia familiare). Lo score è
considerato ad alto rischio di febbre genetica se > 1,32.
Il grado
di severità di malattia si basa su un punteggio (PRAS Score)
che considera l’età del paziente (0-4; minore è
l’ età maggiore il punteggio), il numero di attacchi
mensili (1-3; è massimo se sono maggiori di 2/mese), la
presenza di artrite (2-3), l’amiloidosi (3) e la dose di
colchicina giornaliera (1-4). Si definisce malattia lieve se il
punteggio è tra 3 e 5, intermedia tra 6 e 8 e severa se >
di 9. La diagnosi genetica è positiva se vengono identificate
due mutazioni del gene MEFV, anche se sono riportate in letteratura
mutazioni in eterozigosi. In tal caso bisogna valutare la risposta
alla terapia continuativa con colchicina per un periodo di almeno sei
mesi. La remissione degli attacchi durante il trattamento con
colchicina e una ripresa dei sintomi alla sua sospensione conferma la
diagnosi. Il nostro studio è basato sulla correlazione
genotipo-fenotipo dell’ FMF in base alla nostra casistica. Dal
2007 a oggi sono giunti nei nostri ambulatori 97 pazienti con febbre
periodica. In ciascun paziente sono state indagate le principali
cause di febbre (infettive, autoimmuni, MICI, neoplastiche) risultate
negative. Abbiamo quindi selezionato 51 pazienti con alto rischio di
febbre genetica che sono stati sottoposti al test genetico per FMF;
tra questi 24 sono risultati positivi al test genetico: 6 per la
mutazione in omozigosi del gene MEFV, 2 in eterozigosi composti, 16
in eterozigosi (E 148Q). In due paziente è stata effettuata
diagnosi di FMF in assenza di mutazione (risposta alla sintomatologia
con colchicina e ripresa dei sintomi con la sospensione del
farmaco).Nel restante gruppo di pazienti è in corso l’
indagine molecolare per le altre forme di febbre periodica (HIDS e
TRAPS). Il fenotipo clinico dei nostri pazienti è stato
calcolato come intermedio-severo; con attacchi febbrili 1-2 volte al
mese, sempre con dolori addominali, a volte artromialgie transitorie
e artriti acute, 1 paziente con sacro ileite, nessun paziente con
erisipela-like; rispondono bene alla colchicina, solo 2 con risposta
parziale al farmaco. L’età della diagnosi in alcuni
pazienti è stata tardiva, in alcuni di loro è stato
posto in prima ipotesi, sospetto di malattia infiammatoria
intestinale e altri sono stati appendicectomizzati o
colecistectomizzati per l’addome acuto.
Inoltre
abbiamo constatato che la mutazione in eterozigosi E148Q è
associata a un fenotipo moderato-severo (PRAS score 7-8-9).
Supponiamo che la manifestazione fenotipica della mutazione in
eterozigosi sia secondaria a una forma di pseudodominanza o a una
mutazione non ancora indagata.
La nostra
casistica sottolinea la notevole eterogenicità genetica della
FMF associata ad altrettanta eterogenicità fenotipica.
Dermatomiosite
amiotonica con calcificazioni
Scuole
di specializzazione di Pediatria1 e Genetica medica2, Università
di Messina
Descriviamo
il caso di una bambina di 7 anni con familiarità per malattie
autoimmuni (madre con tiroidite di Hashimoto).
La
sintomatologia esordisce all’età di 4 anni con
manifestazioni eritematose ed eczematose diffuse inquadrate in prima
ipotesi in una dermatite atopica severa. All’età di 6
anni giunge alla nostra attenzione. Riscontriamo la comparsa di
lesioni eritemato-atrofiche sulla cute sovrastante le articolazioni
metacarpo falangee e interfalangee prossimali e distali con presenza
di piccole ulcerazioni a carico di alcune estremità
riconducibili a papule di Gottron. A livello delle ginocchia erano
presenti numerose manifestazioni nodulari di consistenza dura,
riferibili a calcificazioni. L’Rx ginocchia evidenziava
calcinosi lobulata dei tessuti molli perirotulei bilateralmente. Gli
esami ematochimici evidenziavano un incremento degli indici di
flogosi e dell’ LDH e ANA positivi (1:1280). L’
elettromiografia era negativa.
La
dermatomiosite giovanile è una rara malattia autoimmune,
cronica che spesso esordisce durante l’infanzia. Si tratta di
una vasculopatia sistemica classificata come una delle miopatie
infiammatorie idiopatiche. L’ eziologia è
multifattoriale: vi è una predisposizione genetica (HLA2 DQ
A10501); La cronicità della forma giovanile è associata
all’allele Tnf-alfa a308 con aumento di produzione di tnf-alfa
le infezioni (SBEGA, coxsackie virus B, enterovirus, Toxoplasma,
parvovirus) possono essere fattori scatenanti. L’incidenza è
pari a 0,8/4 casi per milione/anno.
Le
manifestazioni cliniche a livello cutaneo sono: papule di Gottron
(57-100%), Rash eliotropo (66-100%), rash malare (42-73%), calcinosi
(6-10%) e lipodistrofia (10-14%). Altri sintomi possono essere:
febbre (16-65%), adenopatia (20%), dispnea (7-43%), disfonia o
disfagia (18-44%), astenia (95%), mialgia o artralgia (25-73%),
fenomeno di Raynoud (9-14%).
La
calcinosi in genere esordisce 1-3 anni dopo l’insorgenza della
malattia, ma può insorgere prima come dopo 20 anni
dall’esordio. Si riconoscono 4 sottotipi di calcificazioni:
noduli o placche cutanee o sottocutanee, depositi muscolari,
calcinosi lungo le fasce muscolari, deposizione generalizzata. La
prognosi in caso di calcinosi è peggiore, anche se è
possibile una regressione spontanea delle lesioni.
Le papule
di Gottron, quasi sempre presenti, sono delle papule
eritemato-violacee presenti a livello delle articolazioni
interfalangee e metacarpofalangee, delle ginocchia e dei gomiti. Il
segno di Gottron è caratterizzato da macule o placche
eritemato-violacee, simmetriche, spesso atrofiche nella stessa
distribuzione delle papule.
La
dermatomiosite amiopatica è un sottotipo non comune di
dermatomiosite giovanile caratterizzato dalla negatività degli
enzimi muscolari e della elettromiografia. La prognosi è buona
anche se in un piccolo gruppo di pazienti ha sviluppato
successivamente la malattia con interessamento muscolare.
La
terapia si avvale di: ciclosporina e microfenolato mofetile per
l’interessamento cutaneo, corticosteroidi, Ig sostitutive
anti-TNF alfa. Le calcificazioni sono trattate con bifosfonati,
Probenecid, infiltrazione locale di triamcinolone o escissione
chirurgica se i noduli sono troppo grandi o limitano la motilità
articolare.
Le
condizioni cliniche della nostra paziente sono migliorate in seguito
alla terapia con ciclosporina e Probenecid.
Intolleranza
ereditaria al fruttosio: sempre sintomatica?
Clinica
pediatrica, Sezione di Gastroenterologia ed Epatologia, Azienda
Ospedaliero-Universitaria Pisana
L’intolleranza
ereditaria al fruttosio (HFI) è una malattia autosomica
recessiva del metabolismo dei carboidrati dovuta al deficit
dell’enzima fruttosio-1-fosfato aldolasi, normalmente presente
nel fegato, rene e intestino. La prevalenza della HFI è
sconosciuta, ma alcuni studi epidemiologici suggeriscono che oscilli
tra 1:10.000 e 1:100.000 nati. La carenza dell’enzima
determina, in caso di ingestione di fruttosio, un accumulo di
fruttosio-1-fosfato che determina un danno metabolico dell’epatocita;
tale danno è responsabile di una sintomatologia generalmente
grave, specie nel lattante, caratterizzata da ipoglicemia, vomito,
letargia, irritabilità, convulsioni fino all’insufficienza
epatica acuta tale da poter richiedere un trapianto di fegato in
urgenza. Esistono tuttavia anche casi che sono diagnosticati
tardivamente, in età adulta, la cui storia naturale non è
conosciuta. Abbiamo recentemente osservato 4 pazienti che si sono
presentati per il riscontro occasionale, in benessere, di
epatomegalia isolata, di alterazioni modeste degli enzimi epatici o
dell’imaging ecografico. In tutti inoltre era segnalato dai
genitori un precoce disgusto per la frutta omogeneizzata che aveva
comportato una quasi completa eliminazione, nello svezzamento, di
cibi dolci e/o di frutta. In tutti i pazienti l’analisi
molecolare ha dimostrato la presenza di mutazioni patogenetiche nel
gene della aldolasi B in entrambi gli alleli.
In
conclusione, in tutti i pazienti riportati, la diagnosi di HFI è
stata suggerita da alterazioni asintomatiche degli enzimi epatici,
dalla presenza anche isolata di una iperecogenicità del
fegato, o dal riscontro occasionale di epatomegalia in presenza di
una anamnesi di disgusto per frutta e cibi dolci. La diagnosi è
stata poi confermata dalla presenza di mutazioni patogenetiche del
gene dell’adolasi B. L’HFI può risultare quindi
clinicamente silente anche nel primo anno di vita e non
necessariamente sintomatica anche moderatamente (vomito). Per
l’importanza che può avere una diagnosi precoce in
quanto l’HFI espone comunque e a ogni età al rischio di
complicanze anche mortali se non diagnosticata, in presenza di
alterazioni anche modeste degli enzimi epatici o dell’imaging
ecografico, va sempre ricercato anamnesticamente un disgusto precoce
per la frutta o comunque per dolciumi e caramelle; tale condizione è
eccezionale nel bambino sano e se presente va confermato il sospetto
diagnostico di HFI tramite la ricerca di mutazioni del gene
dell’aldolasi B.
Ematoma
subdurale acuto intrauterino
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria
2UO
di Neonatologia, Dipartimento Integrato Materno-Infantile
3Servizio
Formazione e aggiornamento, Azienda Ospedaliero-Universitaria,
Policlinico di Modena
4UO
di Neuroradiologia, Dipartimento Integrato di Neuroscienze, AUSL di
Modena
M. (36+4)
nasce da TC d’urgenza per alterazioni cardiotocografiche e
riduzione dei movimenti fetali, dopo gravidanza caratterizzata da
importante iperemesi e severo calo ponderale materno. Non riferiti
traumi, infezioni e alterazioni degli esami materni peripartum. Alla
nascita depressione respiratoria e pallore, con necessità di
rianimazione primaria. EGA cordonale nella norma. Apgar: 3-8. Peso:
2200 g (10°p), lunghezza 44.5 cm (10°p), CC 34.5 cm (90°p).
Ricovero in TIN. Persistono condizioni scadenti, ipotonia, scarsa
motilità spontanea, pallore cutaneo. FC e PA nella norma. Gli
esami ematici evidenziano severa anemia e grave alterazione di PT
(<10%), PTT (>120’’), fibrinogeno (347 mg/dl). Le
condizioni generali peggiorano rapidamente: fontanella ipertesa e
crisi convulsive. Si somministrano emazie e plasma, e terapia
antiepilettica. Ecografia e TC encefalo documentano ematoma subdurale
acuto bilaterale sovra-sottotentoriale con spandimento tentoriale e
interemisferico. Il quadro è confermato dalla RMN: segnale
diffusamente ipointenso nelle aree fronto-temporo-parietali
posteriori a sede cortico-sottocorticale profonda (T1W) con
coefficiente di diffusione apparente ridotto, e diffusa iperintensità
della sostanza bianca periventricolare (T2W). A 27 h di vita
intervento di asportazione-decompressione. Le condizioni neurologiche
persistono gravi: ipocinesia, ipertono ai cingoli, ipotonia assiale,
iporeattività. All’EEG: severa depressione dell’attività
di base. I successivi controlli RMN rilevano deviazione delle
strutture della linea mediana, dilatazione ventricolare ex-vacuo
sovratentoriale, ed encefalomalacia multicistica biemisferica. A 1
mese di vita, per incrementato spessore delle falde ematiche, nuovo
intervento evacuativo. Indagini dell’assetto coagulativo di M.
in fase subacuta e dei genitori risultate negative per deficit
congeniti. M. ha sviluppato quadro di tetraparesi spastica grave ed
epilessia esordita a 9 mesi, attualmente sotto buon controllo
farmacologico (topiramato).
Gestione
delle convulsioni febbrili: qual è l’atteggiamento degli
operatori sanitari?
Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
*Pediatra
di famiglia, Mesagne (Brindisi)
Background:
La temperatura raggiunta nel corso di un episodio febbrile è
stata considerata per molti anni la condizione principale di rischio
per l’insorgenza delle convulsioni febbrili (CF). Almeno 5 RCT
hanno documentato un mancato effetto preventivo dei farmaci
antipiretici sull’evento convulsivo, anche utilizzando dosi
elevate e intervenendo all’esordio della febbre. Le linee guida
di diverse società scientifiche riportano che gli antipiretici
non sono utili per prevenire la ricorrenza delle CF. Nella pratica
clinica non si conosce quanto queste evidenze siano correttamente
applicate da parte del personale sanitario, sia in termini pratici
che informativi della famiglia. Non è sufficientemente noto
quale sia l’approccio complessivo al problema delle CF
Obiettivi:
Verificare le conoscenze e i comportamenti da parte del personale
sanitario in caso di CF, con riferimento particolare all’uso
dei farmaci antipiretici, alla tempistica dell’uso clisma di
diazepam e all’incidenza e ricorrenza delle CF.
Metodi:
Abbiamo somministrato un questionario cartaceo conoscitivo a 408
pediatri. Partendo da uno scenario clinico (bambina di 1 anno e mezzo
con primo episodio di CF semplice) si richiedevano le conoscenze e le
informazioni da dare alla famiglia in merito a: incidenza delle CF
nei bambini tra 6 mesi e 5 anni; probabilità di un secondo
episodio; efficacia degli antipiretici sulla prevenzione delle CF;
tempistica sull’utilizzo del diazepam rettale nelle crisi
successive.
Risultati:
L’età media dei compilatori era di 47,9 aa, (range
25-72); 67,9% erano pediatri di famiglia (PdF), 15,3% specializzandi,
13% ospedalieri, 3,7% altro. L’incidenza di CF, pari al 3-5%, è
stata correttamente indicata dal 68% dei pediatri. La ricorrenza di
un nuovo episodio di CF (in merito al caso presentato), pari al
20-30%, è stata riportata in maniera esatta dal 62% dei
pediatri. L’inefficacia dei farmaci antipiretici nella
prevenzione delle CF è stata indicata nel 82% dei pediatri. La
tempistica corretta dell’utilizzo del diazepam è stata
riportata nel 75% dei casi. Complessivamente i questionari con tutte
le risposte corrette sono stati 137 (33,6%). Per quanto riguarda
l’informazione sulla inefficacia preventiva degli antipiretici
le risposte corrette sono state fornite dal 63% degli specializzandi,
dall’84% dei PdF e dal 90% dei pediatri ospedalieri.
Conclusioni:
I risultati dello studio evidenziano che le conoscenze dei pediatri
nei confronti delle CF sono complessivamente adeguate, anche se vi è
un chiaro margine di miglioramento conoscitivo, e pertanto
informativo nei confronti delle famiglie, attuabile tramite campagne
ad hoc rivolte al personale sanitario.
Ottimizzazione
della terapia insulinica basal-bolus in bambini e adolescenti affetti
da diabete mellito tipo 1 (DMT1): il calcolo dei carboidrati (CHO)
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Ferrara
2UO
Pediatria, Ravenna
3UO
Dietologia, Ravenna
Introduzione:
Il trattamento del DMT1 mira a prevenire le complicanze vascolari,
migliorare la qualità di vita, ridurre gli eventi avversi.
Studi clinici dimostrano che la terapia insulinica intensiva con
schema basal-bolus permette di raggiungere tali obiettivi anche in
età evolutiva, e l’emoglobina glicosilata (HbA1c) resta
il principale indicatore di rischio di complicanze a lungo termine.
Nel 2008 abbiamo organizzato corsi mirati a educare in gruppo pz e
genitori al calcolo dei CHO, per migliorare il controllo metabolico e
la flessibilità nella gestione del DMT1.
Scopi:
Valutare andamento glicometabolico dopo adeguata istruzione e
compliance al metodo.
Metodi: I
corsi erano rivolti a 3 gruppi di pz: genitori di bimbi piccoli (I
gruppo, età media 6,7), pz di 9-12 aa (II gruppo, età
10,3) con i genitori, adolescenti di 12-18 aa (III gruppo, età
14,8). Contenuti dei corsi sono stati: piramide alimentare,
individuazione dei cibi con CHO, quantificazione dei CHO, stima delle
porzioni, compilazione del diario alimentare, verifica dei rapporti
insulina/CHO. Abbiamo calcolato la media delle ultime 4 HbA1c
pre-corso e delle 4 successive (eseguite ogni 3 mesi).
L’apprendimento è stato valutato con test a risposta
multipla prima e dopo il corso.
Risultati:
44 pz su 56 hanno aderito ai corsi (78,6%); ha partecipato 85% del I
gruppo (17/20), 75% del II (9/11), 75% del III (18/24). Gli
extracomunitari sono 19.6% (11/56) di cui 5 partecipanti (45%).
L’HbA1c media complessiva è passata da 7.34% a 7.23%. La
riduzione maggiore si è avuta nel II gruppo (7.61-7.41%:
-0.2%). Nel III gruppo si è ridotta di 0.14%, mentre nei
piccoli la riduzione non è stata rilevante (7.01-6.93%). I
test di apprendimento hanno mostrato aumento delle conoscenze
significativo (da 17,5 a 19,5 risposte esatte su 20). Nei 41
partecipanti ancora seguiti dal nostro centro si è avuta
compliance buona (uso quotidiano del metodo) in 23 pz (56%) e
discreta (uso saltuario) in 7pz (17%); 11pz (26.8%) hanno abbandonato
il metodo.
Conclusioni:
Nonostante la casistica limitata, emergono risultati incoraggianti
per la riduzione dell’HbA1c. Esiste margine di miglioramento
sia in pz con controllo glicometabolico ottimale, sia negli
adolescenti, tipicamente poco complianti. Il metodo è stato
accettato e gradito (73% dei pz lo usa).
Conclusioni:
Nonostante la casistica limitata, emergono risultati incoraggianti
riguardo alla riduzione dell’HbA1c. Esiste margine di
miglioramento sia nei pz con controllo glicometabolico ottimale, sia
negli adolescenti, tipicamente poco complianti. I pz extracomunitari
costituiscono un target con ridotta compliance. Complessivamente il
metodo è stato accettato e gradito (73% dei pz lo usa), con
buon apprendimento.
Uno
strano “ballo”
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2UO
Pediatria, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Az. Osp.
Universitaria, Policlinico di Modena
La
malattia reumatica (MR) è in fase di recrudescenza a partire
dagli anni ottanta. Insorge dopo 2 settimane da un episodio di
faringite streptococcica, per danno anticorpale da anticorpi diretti
contro la proteina M del SBA che cross reagiscono con proteine delle
articolazioni, endocardio, e SNC. La diagnosi della MR si basa
tutt’oggi sui criteri di Jones (revisionati nel 1992), mentre
l’ecocardiografia costituisce il principale strumento per
monitorare le lesioni valvolari mitraliche e aortiche che
costituiscono la più grave complicanza della MR, pur essendo
ancora controverso il ruolo dell’ecocardiografia nella diagnosi
di lesioni non clinicamente evidenti. La terapia si basa sulla
profilassi primaria con trattamento della faringite e sulla
profilassi secondaria con benzatin-penicillina, la cui durata è
variabile a seconda dell’entità dell’interessamento
cardiaco da 5 anni a tutta la vita. F. 10 anni, giungeva presso la
nostra Accettazione per la comparsa da due giorni di disartria con
deviazione della rima buccale a destra, mioclonie palpebrali con
ammiccamento dell’occhio e movimenti involontari all’emisoma
destro. Riferiva inoltre peggioramento del rendimento scolastico e
comparsa di dolore alle caviglie, che coinvolgeva successivamente i
polsi e le interfalangee della mano destra. Un mese prima, per la
comparsa di un soffio cardiaco, aveva eseguito ecocardio che mostrava
la presenza di lieve insufficienza aortica e mitralica. F. si
presentava in buone condizioni generali, soffio cardiaco 2/6, dolore
alla mobilizzazione della caviglia, del ginocchio, dell’anca
destra, del polso e delle articolazioni interfalangee della mano
destra. All’esame neurologico erano presenti movimenti
coreiformi diffusi, prevalentementi a destra. Nel sospetto di MR
iniziava terapia con benzatin-penicillina ogni 21 giorni. Per la
presenza di corea veniva inoltre eseguita RM cerebrale che risultava
priva di anomalie così come la lampada a fessura e l’EEG.
Veniva impostata terapia con acido valproico, ben tollerata. Veniva
inoltre eseguita ecocardiografia che mostrava insufficienza mitralica
e aortica moderata, per cui veniva intrapresa terapia steroidea per
os e terapia antipertensiva con enalapril. F. attualmente è in
terapia con enalapril, acido valproico e in profilassi secondaria con
benzatin-penicillina, in buon compenso cardiocircolatorio e assenza
di corea. Il trattamento della corea appare controverso,
l’aloperidolo, la carbamazepina e l’ac.valproico sembrano
trovare il maggior consenso. Recenti studi sembrerebbero suggerire
una buona risposta alla terapia cortisonica. Nel caso qui descritto
la bambina ha ben risposto alla terapia con acido valproico.
Una
strana addominalgia
L.
Baroni1, G. Tediosi1, P. Bruzzi1, C.
Bonvicini1, E. Balestri1, G. Di Fazzio1,
A. Guerra1,2, L. Iughetti1,2
1Scuola
di specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2U.O.
Pediatria, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Azienda
Ospedaliero-Universitaria, Policlinico Modena
L’angioedema
ereditario è una rara patologia autosomica dominante causata
da deficit congenito dell’inibitore di C1 esterasi. Questo
deficit porta ad aumento del rilascio locale di mediatori vasoattivi,
soprattutto la bradichinina, con maggior permeabilità dei
piccoli vasi, accumulo di liquido extravascolare e quindi edema.
Caratteristica dell’angioedema è il ripetersi di episodi
che interessano il sottocute (estremità, volto, tronco e
genitali) o la sottomucosa (intestino e laringe). L’episodio
acuto può essere scatenato da un trauma, uno stato d’ansia,
o insorgere spontaneamente. Quando è colpito il tratto
gastrointestinale i pazienti presentano nausea, vomito e dolore
addominale. T., 5 anni, affetto da angioedema ereditario, giungeva
alla nostra osservazione inviato da ospedale periferico per eseguire
consulenza chirurgica per il riscontro di versamento pelvico
all’ecografia addome, eseguita per addominalgia, associata a
episodi di vomito. Gli esami ematici evidenziavano leucocitosi a
prevalenza neutrofila e indici di flogosi aumentati (Proteina C
Reattiva 12,2 mg/dl). All’arrivo presso la nostra Accettazione
T. si presentava sofferente, con intenso dolore addominale.
L’ecografia addominale confermava la presenza di abbondante
versamento liquido addominale, soprattutto in sede pelvica, con
un’ansa intestinale a pareti marcatamente ispessite (circa 1
cm). Il Chirurgo Pediatra ascriveva il quadro clinico alla presenza
di angioedema intestinale, senza indicazione chirurgica urgente.
Veniva contattato il Centro di Riferimento per l’angioedema
ereditario, che consigliava la somministrazione di inibitore della C1
esterasi (Berinert-P) alla dose di 20 U/kg. Il giorno seguente T. era
in buone condizioni generali, con parametri vitali nella norma; si
alimentava regolarmente, non lamentava sintomatologia dolorosa di
rilievo. Al controllo ematologico si riscontrava diminuzione della
Proteina C Reattiva (3,75 mg/dl) con normalizzazione degli altri
parametri. L’ecografia addome di controllo risultava nella
norma. Nell’angioedema ereditario la terapia convenzionale con
antistaminici e corticosteroidi é generalmente inefficace
nella gestione dell’episodio acuto. Tra i farmaci di ultima
generazione che hanno radicalmente cambiato la gestione dell’episodio
acuto, troviamo: Berinert-P, C1-inibitore di derivazione plasmatica;
Rhucin, C1-inibitore ricombinante; Dyax (ecallantide), inibitore
della callicreina; Jerini (icatibant), antagonista del recettore
della bradichinina. Come dimostra il nostro caso, Berinert-P è
risultato efficace e sicuro.
Solo
febbre e tosse?
1Scuola
di specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2U.O.
Pediatria, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Azienda
Ospedaliero-Universitaria, Policlinico Modena
Il
pneumomediastino spontaneo (PMS) viene definito come il passaggio di
aria o gas nel mediastino non conseguente a trauma e in assenza di
una patologia polmonare di base. M., 5 anni, giungeva alla nostra
osservazione per febbre da due giorni, faringodinia e tosse secca
insistente, in terapia con amoxicillina+ac.clavulanico e
beclometasone. All’esame obiettivo: vigile e reattivo,
apiretico, tachicardico e dispnoico; petecchie al volto, crepitii
alla palpazione della base del collo, MV ridotto posteriormente a
destra, lassità ligamentosa delle articolazioni degli arti
inferiori. Rx torace: sottile falce aerea delimitante mediastino, con
enfisema sottocutaneo a livello del collo e della parete toracica
superiore e addensamento parenchimale in sede retro cardiaca destra.
Agli esami ematici: leucocitosi con incremento della CRP e del
fibrinogeno e lieve acidosi respiratoria. Si iniziava terapia con
ceftriaxone ev e antidolorifica. In prima giornata peggioramento
clinico con aumento dell’enfisema sottocutaneo, rantoli diffusi
all’auscultazione toracica e riferita sensazione di peso al
collo. Si poneva M. in ossigenoterapia in maschera e si ripeteva Rx
torace che mostrava un aumento dell’enfisema sottocutaneo in
assenza di falde di pneumotorace. Nei giorni successivi graduale e
progressiva riduzione dell’enfisema sottocutaneo e
miglioramento del quadro radiologico fino alla completa
normalizzazione. La sierologia ha evidenziato positività per
infezione in atto da HVS-1 e da enterovirus. In conclusione anche
situazioni molto comuni e banali, come un’infezione delle vie
aeree associata a tosse insistente, in assenza di fattori
predisponenti evidenti tranne, come nel nostro caso, una lassità
ligamentosa degli arti inferiori, possono accompagnarsi a PMS e
necessitare di attento follow-up per il rischio di sviluppo di
complicanze, come pneumomediastino tensivo, pneumotorace e
pneumopericardio, che, sebbene rare, possono richiedere procedure
invasive d’urgenza. Raccomandazioni follow-up: limitazioni
immediate, no voli aerei per 6 mesi o sport o attività fisiche
violente; limitazioni potenzialmente a vita, attività con
variazioni pressorie repentine, subacquea, paracadutismo ecc.
Stroke
in paziente con drepanocitosi con precedente riscontro di infarti
silenti e deficit cognitivi
1Scuola
di specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2UO
Pediatria, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Azienda
Ospedaliero-Universitaria, Policlinico Modena
3UO
di Pediatria a indirizzo Oncoematologico, Dipartimento Integrato
Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena
4UO
Neuroradiologia, AUSL di Modena
Le
complicanze neurologiche della drepanocitosi sono relativamente rare
in età pediatrica. Tra queste l’infarto silente è
definito come una sofferenza vascolare del parenchima cerebrale con
formazione di un’area malacica di dimensioni inferiori a 1,5
cm, senza deficit neurologici focali. A distanza si possono
presentare deficit neurocognitivi, di apprendimento e scarso
rendimento scolastico, con un aumento del rischio per stroke
manifesti.
A.,
affetta da drepanocitosi omozigote, in assenza di sintomatologia
veniva sottoposta all’età di 33 mesi al test della scala
di Griffith che evidenziava un profilo disomogeneo, con un quoziente
globale di sviluppo di 97 (valore normale per età: 100). I
quozienti nelle sottoscale locomotoria, personale e sociale, udito e
linguaggio, occhio-mano, performance e ragionamento pratico
risultavano rispettivamente di: 97, 103, 103, 90, 85, 79. A. veniva
sottoposta a RMN cerebrale che mostrava segni di sofferenza
microangiopatica cronica ed esiti malacici lacunari, compatibili con
infarti silenti, con aspetto lievemente stenotico dell’origine
dei tratti A1 delle arterie cerebrali anteriori. All’età
di 39 mesi, la bambina tornava per comparsa di episodio
caratterizzato da scosse tonico-cloniche a livello dell’arto
superiore sinistro con ipossia e successiva assenza con desaturazione
e bradicardia, risoltosi in pochi secondi. Da circa due giorni S.
presentava iperpiressia e tosse. All’arrivo in PS si
riscontrava SaO2 98% con O2, FC 136 bpm, TC 39.8 °C ed emiplegia
destra. Veniva eseguita TAC cerebrale che evidenziava area ischemica
cortico-sottocorticale fronto-parietale sinistra e piccole aree
ischemiche a livello del nucleo caudato. La radiografia del torace
mostrava addensamento parenchimale a carico del lobo superiore destro
e gli esami ematici leucocitosi, anemia emolitica marcata,
iperbilirubinemia, HbS 63%; inizialmente trattata con trasfusione,
poi per il persistere di grave anemia e aumento della % di emoglobina
S (HbS 83%), veniva sottoposta a exsanguinotrasfusione, con
miglioramento delle condizioni generali, in persistenza di lieve
deficit stenico dell’arto superiore destro.
Il caso
da noi illustrato pone il quesito se trattare precocemente con
transfusioni croniche/exanguinotrasfusione o terapia con idrossiurea
pazienti con riscontro di deficit cognitivi e infarti silenti.
Quando
il vomito persiste
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2U.O.
Pediatria, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Az. Osp.
Universitaria, Policlinico Modena
3U.O.
Chirurgia Pediatrica, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Az.
Osp. Universitaria, Policlinico Modena
Il vomito
è un evento comune in età pediatrica ed espressione
clinica di numerose condizioni. Si riconoscono diverse cause più
o meno frequenti a seconda dell’età. La causa più
comune è quella infettiva. Altre cause: RGE, malattie
metaboliche, endocrinologiche, renali, alterazioni endocraniche,
stenosi ipertrofica del piloro (SIP), ostruzioni intestinali a vario
livello.
A. 20
giorni di vita, maschio, giungeva alla nostra osservazione per vomito
postprandiale e scarso accrescimento. Precedente ricovero presso
altro reparto a 10 giorni di vita per la stessa sintomatologia; in
tale occasione erano state eseguite 2 ecografie addome risultate
negative per SIP. Alla valutazione clinica si riscontrava obiettività
generale nella norma. Veniva eseguita ecografia addome che
evidenziava marcata ectasia gastrica e del duodeno senza segni di
SIP. Accertamenti infettivologici: negativi. Per il persistere del
vomito, veniva eseguito Rx tubo digerente che mostrava arresto del
transito del mdc a livello della I-II porzione duodenale e
gastroscopia che mostrava stenosi completa del lume, non progressione
dello strumento a livello del duodeno II porzione. A. veniva
sottoposto a intervento laparotomico, che documentava compressione
estrinseca da pancreas anulare e richiedeva l’esecuzione di
duodeno-duodenostomia.
Le
stenosi duodenali in età pediatrica sono più
frequentemente di origine congenita, possono essere complete
(atresia) o incomplete. Nelle incomplete si ha un restringimento del
lume duodenale di natura intrinseca o estrinseca. Le cause più
frequenti sono il diaframma duodenale, il difetto di rotazione, le
briglie di Ladd e il pancreas anulare. Il pancreas anulare è
caratterizzato da una banda di tessuto pancreatico che circonda la
seconda parte del duodeno in continuità con la testa del
pancreas restringendo il lume intestinale a tale livello. La
sintomatologia principale è rappresentata dal vomito che si
manifesta precocemente nelle stenosi complete; nelle forme incomplete
la sintomatologia può essere più sfumata e tardiva
quindi la diagnosi può rimanere misconosciuta a lungo. Di
fronte alla presenza di vomito persistente è quindi
importante, una volta escluse le cause più frequenti per età,
proseguire con le indagini al fine di escludere quadri malformativi.
Essere
“maschio” talvolta aumenta la “fragilità”
1UO
Pediatria II
2Medico
Genetista, UO Citogenetica e Genetica Molecolare, Dip.to
Materno-Infantile
Azienda
Ospedaliero-Universitaria Pisana
G. è
nato da parto eutocico a termine di gravidanza normodecorsa. Il peso,
la lunghezza e la circonferenza cranica sono risultate nella norma
(>50° centile). La deambulazione autonoma è stata
acquisita a 17 mesi. G. ha frequentato il nido dove ha presentato un
lieve ritardo delle tappe psicomotorie. G. è giunto alla
nostra osservazione a 2 aa e 11 m, presenta un’altezza, una
circonferenza cranica e un peso al 50° centile. Non sono
evidenziabili particolari note dismorfiche; ha una cute “soffice”
e una lieve lassità legamentosa; fa movimenti a “battito
d’ali” quando è eccitato e pronuncia qualche
parola. Nel sospetto di una sindrome del cr X fragile, è stato
eseguito l’esame molecolare del gene FMR1 situato sul cr X che
ha evidenziato la mutazione completa del gene in G. Tale sindrome è
una delle forme più comuni di ritardo mentale su base
ereditaria. Lo sviluppo psicomotorio dei bambini affetti è
variabile: possono presentare scarso tono muscolare, lieve ritardo
psicomotorio; disturbi del comportamento come iperattività,
movimenti ripetitivi, difficoltà di attenzione, ritardo
nell’acquisizione del linguaggio e nell’espressione
verbale. La sindrome colpisce più frequentemente i maschi; le
femmine hanno due cr X e quindi il quadro clinico è
generalmente meno grave spesso difficoltà nell’apprendimento.
L’alterazione del gene consiste nell’espansione di tre
basi nucleotidiche (CGG). Nei soggetti sani queste basi sono ripetute
da 6 a 55 volte, mentre nelle persone affette sono ripetute più
di 200 volte. Alcune persone hanno un numero di ripetizioni
intermedie (da 56 a 200), che non provocano alcun effetto.
Quest’alterazione è detta “pre-mutazione” e
gli individui che la possiedono sono portatori sani. Nelle
generazioni successive le ripetizioni possono aumentare, se trasmesse
da una femmina portatrice di pre-mutazione, ovvero espandersi
causando la mutazione completa. La mamma di G. è
verosimilmente portatrice di una pre-mutazione del gene FMR1.
Esito
della nutrizione parenterale a lungo termine nei bambini affetti da
insufficienza intestinale cronica
IRCCS
Burlo Garofolo, Università di Trieste
In questo
studio abbiamo confrontato l’esito e le complicanze della
nutrizione parenterale totale (NPT) a lungo termine (più di 2
anni) in bambini affetti da insufficienza intestinale cronica dovuta
a cause diverse: intestino corto (SBS), enteropatia cronica (EC)
(strutturale e autoimmune) e disordini della motilità (MD),
seguiti presso l’IRCCS Burlo Garofolo dal 1998 a oggi. Dei 22
bambini valutati (8 con SBS, 8 con MD, 6 con EC), con NPT della
durata mediana di 91.4 mesi, 8 pazienti (5 con SBS) hanno raggiunto
l’autonomia intestinale; 4 pazienti sono stati sottoposti a
trapianto d’intestino (1 con EC, 2 con SBS, 1 con MD). Il
numero medio di ricoveri e l’incidenza di complicanze legate al
catetere venoso centrale (sepsi e trombosi) non è
significativamente differente nei 3 gruppi; i bambini con EC hanno
però sostituito in media un numero minore di CVC (p<0.05).
Il numero medio di episodi di squilibrio idroelettrolitico è
maggiore nei bambini con disturbi della motilità (p<0.05).
12 bambini hanno sviluppato epatopatia (2/6 affetti da EC, 4/8 SBS,
6/8 MD). 11 bambini hanno sviluppato osteopenia (5/6 EC, 2/8 SBS, 4/8
MD). In conclusione l’esito e le complicanze della NPT
dipendono in gran parte dalla patologia di base. Il trapianto
d’intestino rappresenta un’efficace soluzione a lungo
termine in caso di sviluppo di complicanze irreversibili.
Proposta
di un protocollo di screening e follow-up della TAM (Transient
Abnormal Myelopoiesis) nei neonati con Sindrome di Down
1Clinica
Pediatrica, IRCCS Burlo Garofolo, Università di Trieste
2Ematologia,
Dipartimento di Scienze Pediatriche, Università di Torino
I neonati
con sindrome di Down hanno un rischio stimato intorno al 10% di
andare incontro a un disordine mieloproliferativo transitorio (TAM)
nei primi giorni di vita. La TAM generalmente regredisce
spontaneamente. È associata a un rischio di trasformazione
leucemica: un quarto dei casi entro 8 mesi-3 anni evolve in leucemia
mieloide acuta (LAM), con maggior frequenza megacarioblastica M7
(Massey 2005).
La TAM e
la LAM rappresentano una forma specifica di mielodisplasia
pediatrica, classificata separatamente dalle altre forme (Hasle
2003).
È
stata riportata la correlazione tra rischio di progressione a LAM,
versamento pleurico e trombocitopenia (Massey 2006).
A partire
dal 2005 sono state applicate delle linee guida per il follow-up
ematologico delle TAM diagnosticate nei neonati con Sindrome di Down
presso l’Ospedale Infantile Regina Margherita (OIRM): studio
morfologico, citogenetico e immunofenotipico dei blasti; analisi
molecolare quantitava dell’oncogene WT1; ricerca traslocazioni
mieloidi; studio funzionale dell’apoptosi delle cellule
staminali periferiche (CD34+/annessina) e analisi mutazioni del gene
GATA-1. In tutti i 5 pazienti studiati finora (diagnosi tra l’inizio
del 2005 e marzo 2010): elevato numero di copie di WT-1 e blasti
immunofenotipo M7.
In
letteratura i dati sull’incidenza di TAM e sui fattori
predittivi negativi del rischio di trasformazione leucemica sono
scarsi.
Proponiamo
un protocollo di screening, già in atto presso l’OIRM,
da applicare a tutti i neonati con Sindrome di Down asintomatici:
esame emocromocitometrico, striscio e stoccaggio di sangue periferico
alla nascita.
l’incidenza
della TAM, le correlazioni tra caratteristiche biologiche e
comportamento clinico e identificare i fattori di rischio di
trasformazione leucemica.
Analisi
genetica di DOCK8 in due pazienti con sindrome da Hyper-IgE (HIES):
correlazione genotipo-fenotipo
Clinica
Pediatrica, Università di Brescia
La
sindrome da Hyper-IgE (HIES) è una forma di immunodeficienza
primitiva caratterizzata da livelli elevati di IgE in associazione a
un ampio spettro di manifestazioni cliniche: eruzioni cutanee,
polmoniti e candidiasi muco-cutanea ricorrenti; facies
caratteristica; lesioni scheletriche; ritardo di caduta dei denti
decidui. La forma più comune, autosomica dominante, è
associata a mutazione in eterozigosi di STAT3. Un numero minore di
varianti risulta autosomica recessiva, e tra queste è stata
identificata una mutazione a carico del gene Tyk 2. Studi recenti
hanno identificato mutazioni a carico del gene DOCK8 (dedicator of
cytokinesis 8). Allo scopo di caratterizzare Hyper-IgE negative per
STAT3 abbiamo sottoposto ad analisi di sequenza le regioni
codificanti del gene DOCK8 in due pazienti con un quadro clinico
compatibile alle Hyper-IgE. La paziente 1 presenta un quadro di
polisensibilizzazione ai RAST, dermatite atopica, zoster recidivante,
sintomi respiratori ricorrenti, almeno un episodio accertato di
polmonite. Dagli esami ematici emerge un marcato aumento delle IgE
(>5000 KU/l) e degli eosinofili, lieve riduzione alla stimolazione
con PHA, TRECs nella norma con repertorio ristretto e linfopenia. La
paziente 2 presenta un quadro di grave dermatite con note di atopia,
otiti medie acute recidivanti, bronchite asmatiforme ricorrente, 2
polmoniti, linfoadenomegalie generalizzate e facies sindromica. Gli
esami ematici mostrano un marcato aumento delle IgE e degli
eosinofili nonchè un quadro di polisensibilizzazione al RAST,
ridotta risposta ai mitogeni, TRECs marcatamente ridotti e in calo
nel tempo e linfopenia. L’analisi genetica ha identificato una
delezione a livello dell’esone 5 e dell’esone 14 e uno
SNP chr9 276593 (rs529208) nella paziente 1; nella paziente 2 è
stata riscontrata una delezione che coinvolge la regione compresa tra
l’UTR-5’ e l’esone 7. I risultati ottenuti
permettono quindi di ipotizzare una correlazione tra le delezioni in
Dock8 e il quadro clinico delle due pazienti.
Atopia,
ipereosinofilia, patologia esofagea
UO
di Pediatria e Neonatologia, Ravenna
A., 13
aa. Storia recente (4 mesi) di senso di costrizione retrosternale e
sincope, successivamente disfagia con sensazione di mancata
progressione del bolo alimentare con vomito. Anamnesi: rigurgiti nei
primi mesi di vita;storia di rinite perenne e asma intermittente con
allergia a inalanti. Crescita regolare. Condizioni generali buone con
obiettività nella norma. Kg 59, cm 170. Eco cardio, ECG e
visita cardiologica nella norma, bradicardia sinusale 52 bpm. Rx
colonna e coste negativo. Esami ematici: emocromo normale con 520
eos/mmq, negativi TTG, normale assetto tiroideo e indici di flogosi.
IgE tot 320 e RAST positivo per inalanti, negativo per alimenti. Nel
sospetto di esofagite eosinofila (EE), esegue EGDS che mostra
iperemia esofagea con piccole erosioni isolate al III inferiore
(esofagite di grado B). L’esame istologico evidenzia la
presenza di eosinofili intraepiteliali >20/HPF, microascessi
eosinofili, iperplasia basale e lieve infiltrato linfoplasmacellulare
e neutrofilo. Si avvia terapia con fluticasone topico, IPP e dieta
senza allergeni maggiori (latte, uovo, pollo, manzo, grano, pesce,
frutta secca e soia) per 6 settimane. Ai controlli clinici successivi
A. non ha più sintomi. Sta proseguendo la terapia con steroide
topico e IPP e ha iniziato la graduale reintroduzione degli alimenti.
A distanza di 6 mesi programma di eseguire EGDS di controllo.
La storia
di A. che inizialmente era stata interpretata come episodi sincopali,
ci è sembrata fortemente suggestiva per esofagite eosinofila
per via della sintomatologia disfagica con sensazione di «food
impaction». Anche l’anamnesi personale per allergia
indirizza verso tale ipotesi. Dai dati della letteratura emerge
infatti come oltre il 60% dei soggetti con EE abbiano una storia
personale di allergia o familiarità per atopia. Infatti si
ipotizza che l’EE rappresenti un comune end-point per diversi
processi infiammatori che coinvolgono allergeni alimentari e
respiratori e interazioni tra il tratto digerente e tratto
respiratorio.
Un
caso dubbio: MICI o colite allergica?
UO
di Pediatria e Neonatologia, Ravenna
A. 8 aa.
Diarrea mucoematica con dolore addominale pre-evacuativo, pregressi
episodi di ematochezia su feci formate,senza dolore; arresto di
crescita da 2-3 mesi. Lieve rialzo di indici di flogosi, AST, ALT,
GGT; diminuzione di sideremia, ferritina; negativi ANCA, ASCA,
amilasi, lipasi, ceruloplasmina, TTG, marker epatite immune e
infettiva. Ricovero per sospetta MICI. Pz magro, P<3° c, H
10°<25° c, massa dolente in FID, ano indenne. In attesa di
endoscopia inizia dieta senza PLV e terapia antibiotica con
ceftazidima e metronidazolo per 14 giorni, con miglioramento del
quadro,scomparsa di ematochezia, feci più formate.
Coprocolture, ricerca parassiti e virus fecali negative. Normali Hb e
protidemia; normalizzati indici di flogosi, AST, ALT. Ecoaddome: anse
intestinali non ispessite, linfonodi ingrossati a emiaddome dx, non
segni di colangite. L’esame endoscopico è suggestivo per
RCU:al colon iperemia e fragilità mucosale, edema, aspetto
granulare, attenuazione del disegno vascolare,erosioni isolate;al
retto lieve iperemia; ileo indenne. In attesa dell’esame
istologico.viene dimesso con dieta senza PLV e mesalazina per os
L’esame istologico, mostra marcata infiltrazione eosinofila
della mucosa colica con mucosecrezione conservata, lieve distorsione
ghiandolare, molto suggestivo per colite allergica. Prick test
negativi per alimenti e positivi per graminacee. Emerge lieve e
dubbia positività del RAST per latte, uovo, grano, soia,
pesce, frutta secca. Si inizia dieta priva di tali alimenti e si
sospende mesalazina nella convinzione di una colite allergica. Ai
controlli buone condizioni, non dolore addominale, ripresa della
crescita, alvo regolare, esami normalizzati. Il quadro istologico e
la risposta alla dieta sembrano confermare una colite allergica. In
letteratura sono descritti casi di colangiopatia colestatica in corso
di colite allergica, che regrediscono con dieta. Sarà
necessario un attento follow-up che ci potrà confermare un
quadro di colite allergica o un quadro iniziale di MICI: in effetti
il quadro endoscopico è compatibile con RCU e l’infiltrato
eosinofilo in questo caso potrebbe essere un marker di flogosi
trattandosi di un pz atopico.
Se
non è Guillain-Barré... ?!?
1Scuola
di specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2U.O.
Pediatria, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Azienda
Ospedaliero-Universitaria Policlinico Modena
F., 2
anni, è giunta presso l’Accettazione Pediatrica per
ipostenia e rifiuto alla deambulazione da circa 4 giorni. In anamnesi
riferito recente episodio di flogosi delle vie aeree trattato con
antibioticoterapia. All’esame obiettivo neurologico si
evidenziava reazione di fuga alla palpazione dell’anca destra,
con incapacità di mantenere autonomamente la postura eretta e
ROT achillei difficilmente evocabili. Oltre a esami ematochimici, nel
sospetto clinico di S. di Guillain-Barré, si eseguiva
rachicentesi con fuoriuscita di liquor limpido, a pressione normale
con pleiocitosi, da verosimile contaminazione ematica,
proteinoracchia e glicoracchia nella norma, e si intraprendeva
terapia con immunoglobuline ev. La RMN encefalo e midollo spinale
mostrava aspetto diffusamente rigonfio, edematoso e iperintensità
di segnale in T2, estesa da C6 a T10 come da quadro di mielopatia
acuta trasversa (MAT). Si iniziava quindi metilprednisolone ev ad
alto dosaggio (17 mg/kg/die), con graduale miglioramento della
sintomatologia, ripresa della deambulazione autonoma, e ricomparsa
dei ROT. Le indagini per malattie autoimmuni e l’EMG-ENG sono
risultate negative; le indagini sierologiche hanno documentato
infezione recente da adenovirus. A distanza di un mese, con recupero
neurologico completo, il quadro neuroradiologico ha mostrato netto
miglioramento con regressione del rigonfiamento del midollo spinale
cervico-dorsale.
La MAT è
una sindrome clinica neurologica provocata da infiammazione del
midollo spinale, monofasica e monofocale, che si presenta
isolatamente o nell’ambito di un’altra malattia
(infettiva, autoimmune, infiammatoria, demielinizzante, neoplastica,
paraneoplastica, vascolare). L’esordio è improvviso, con
deficit neurologico (a rapida evoluzione, dipendente dal livello
midollare interessato), dolore addominale o lombare, debolezza e
parestesie degli arti inferiori, compromissione della sensibilità
termo-dolorifica al di sotto del livello interessato e disfunzioni
autonomiche. Il trattamento specifico è rappresentato da alte
dosi di cortisosteroidi, associate a terapia di supporto di eventuali
disturbi autonomici e a fisioterapia, da intraprendere precocemente.
L’esame neuroradiologico consente la diagnosi di MAT tra le
patologie a presentazione simile (Sdr. di Guillain-Barré,
neoplasie del midollo spinale e dell’osso, Sdr. della cauda
equina e cono midollare, disturbo demielinizzante, malformazioni
vascolari), fornendo gli strumenti per l’opportuno intervento
terapeutico.
Prevenzione
nel danno renale in due recenti casi di rabdomiolisi
Struttura
Complessa di Pediatria, Ospedale San Leopoldo Mandic, Merate (Azienda
Ospedaliera di Lecco)
Background.
La rabdomiolisi è una sindrome causata da danno acuto della
muscolatura striata con conseguente liberazione nel plasma di ingenti
quantità di ioni intracellulari ed enzimi, tra cui la
mioglobina che escreta in quantità elevata nelle urine, può
essere causa di tossicità tubulare diretta fino
all’insufficienza renale acuta. L’eziologia della
rabdomiolisi è molteplice: infezioni virali (virus influenzale
A e B), eccessivo esercizio fisico, traumi, ipopotassiemie,
convulsioni e malattie metaboliche. La clinica è
caratterizzata dalla presenza di mialgie, debolezza e urine scure.
La
diagnosi si basa sulla presentazione clinica e sulla conferma da
parte del Laboratorio di incremento delle CPK (diagnostico un valore
4 x N) associato a presenza di mioglobinuria.
Caso
clinico 1: S., 7 anni. In pieno benessere ha presentato iperpiressia,
faringodinia con comparsa successiva di dolori agli arti inferiori
fino a impossibilità alla deambulazione, inappetenza marcata e
astenia profonda. Gli esami ematici mostravano importante aumento
delle CPK = 12.557 U/L (vn < 365) con modico incremento delle
transaminasi e normalità degli indici di flogosi. All’ingresso
impostata terapia idratante con soluzione fisiologica alla velocità
di 20 ml/kg/h, aumentata a 35 ml/kg/h per poi essere progressivamente
ridotta in relazione al ridursi delle CPK. La mioglobinuria era di 24
mcg/L (vn< 6) con positività del tampone nasale per
influenza B.
Caso
clinico 2: A., 8 anni. Giunge in PS per dolore ai polpacci tali da
impedire l’appoggio dei piedi. Nell’anamnesi prossima
iperpiressia associata a tosse e faringodinia. Esami: incremento CPK
(4.110 U/L) in assenza di alterazioni degli indici di flogosi.
Mioglobinuria 21 mcg/L. Impostata terapia e.v. con diuresi forzata si
assiste a rapido decremento delle CPK. Negativi i tamponi nasali per
influenza A e B.
Discussione
e Conclusioni: in coincidenza con la stagione influenzale, abbiamo
riscontrato negli ultimi 2 mesi 2 casi di rabdomiolisi acuta (in 1
caso confermata l’associazione a influenza B) con valori di CPK
> 4000 < 12000 in assenza di urine scure ma in presenza di
mioglobinuria; nessuno ha esitato o presentato nel decorso danno
renale. Pilastro della prevenzione è stata un’aggressiva
idratazione con soluzione fisiologica con target di mantenere una
diuresi > 6 ml/kg/h fino a quando i valori di CPK fossero <
1000 U/L.
Diagnosi
prenatale di sclerosi tuberosa
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2U.O.
Pediatria, Dipartimento Integrato Materno-Infantile, Az. Osp.
Universitaria, Policlinico Modena
La
sclerosi tuberosa è una malattia genetica multisistemica che
causa lesioni circoscritte, non invasive, in vari organi (SNC, cuore,
reni, fegato, occhi, cute...); l’incidenza è pari a
1/6000 nati. La trasmissione è autosomica dominante, ma 2/3
dei pazienti presentano mutazioni sporadiche1. I geni
coinvolti sono TSC1 (9q34-amartina, circa 45% dei casi) e TSC2
(16p13.3-tuberina, circa il 55% dei casi)2. Esistono
criteri di diagnosi maggiori e minori: la diagnosi si effettua quando
sono presenti 2 criteri maggiori oppure uno maggiore associato a due
minori. La diagnosi può essere prenatale, tramite ecografia e
RMN fetali che sono in grado di mostrare lesioni cardiache e
cerebrali, permettendo intervento e trattamento precoci 1.
N., maschio, nato a termine da parto spontaneo con buon adattamento
alla vita extrauterina, a 3 mesi di vita giunge a ricovero per
episodio critico caratterizzato da clonie al capo e ipertono degli
arti. In anamnesi si segnala: diagnosi ecografica prenatale (30°
settimana di età gestazionale) di rabdomiomi cardiaci, reperto
confermato dopo la nascita. L’ecografia cerebrale evidenzia
inoltre presenza di “rilievi” a livello del pavimento
ventricolare sinistro e la RMN encefalo, eseguita a 12 giorni di
vita, documenta molteplici formazioni sub-ependimali, con analoghe
alterazioni a carico della sostanza bianca emisferica e nella regione
cortico-subcorticale (> frontale destra). L’ecografia
addominale mostra invece rene sinistro a contorni bozzuti con minima
distensione della pelvi. I controlli EEG e il FOO effettuati nei
primi due mesi di vita, risultano nella norma. L’EEG,
effettuato durante il ricovero, documenta un quadro di ipsaritmia. La
valutazione dermatologica evidenzia chiazze ipocromiche in assenza di
altre alterazioni. Si pone quindi diagnosi clinica di sclerosi
tuberosa. La terapia anticonvulsivante con vigabatrin, permette una
completa risposta clinica ed elettroencefalografica in assenza di
effetti collaterali. Sono in corso i test genetici per sclerosi
tuberosa. La diagnosi precoce permette l’immediata presa in
carico e un follow-up altrettanto precoce volto al riscontro e al
trattamento dei danni multisistemici della malattia. Il nostro
protocollo prevede controlli annuali (prima se indicato) clinici
(neurologico, dermatologico e oculistico) e strumentali (ecografia
addominale e cardiaca, EEG e RMN encefalo).
Bibliografia
1.
Curatolo P, Bombardieri R, Jozwiak S. Tuberous Sclerosis. Lancet
2008;372:657-68.
2.
Morrison PJ. Tuberous Sclerosis: Epidemiology, Genetics and Progress
towards Treatment. Neuroepidemiology 2009;33:342-3.
Protocollo
per la valutazione di disfagia nel bambino con patologia neurologica
grave presso l’UO di Pediatria dell’Azienda
Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria
2Scuola
di Specializzazione in Otorinolaringoiatria, Università di
Modena e Reggio Emilia
3UOC
di Otorinolaringoiatria
4UOC
di Pediatria, Policlinico di Modena
Sebbene
non sia tuttora conosciuta la reale incidenza del problema, il
riscontro di disturbi dell’alimentazione, in particolare di
disfagia oro-faringea, nel bambino con patologia neurologica grave è
frequente. Secondo uno studio di Reilly (1996) il riscontro di
disfunzioni motorie orali nei soggetti con PCI arriva fino al 90%, e
la prevalenza di compromissione della fase orale e faringea è
del 38%. Presso la nostra struttura afferiscono circa 100
bambini/anno con patologia neurologica grave, per cui abbiamo
ritenuto opportuno adottare un protocollo per l’approfondimento
diagnostico-terapeutico. Dopo l’iniziale valutazione mediante
un’attenta anamnesi delle abitudini alimentari (tipologia dei
cibi, modalità di somministrazione, presenza di ausili o
facilitatori, stima delle calorie introdotte) e un accurato esame
obiettivo per ricercare i segni e i sintomi di disfagia, la
valutazione nutrizionale di ogni bambino viene completata con lo
studio della curva di crescita e l’esecuzione di esami
emato-chimici. In caso di riscontro di disturbi dell’alimentazione,
le valutazioni successive vengono effettuate da un’equipe
composta dal Neurologo Pediatra, ORL e logopedista, con la
collaborazione del collega Radiologo. Un membro dell’équipe
assiste al pasto del bambino. In relazione al grado di disfagia e del
sospetto di reflusso gastroesofageo associato, si decide poi per
l’effettuazione di una o più delle seguenti indagini
strumentali: valutazione fibroendoscopica della deglutizione (FEES),
studio della deglutizione con video-fluoroscopia, studio radiologico
di esofago-stomaco-duodeno. In seguito alla valutazione del grado di
disfagia, l’equipe informa la famiglia sui possibili
provvedimenti terapeutici da adottare, che variano in base alla
gravità del quadro patologico, alla tipologia e alla prognosi
della patologia di base. Nella popolazione di pazienti indagata dal
2004 al 2009, abbiamo rilevato un disturbo dell’alimentazione
in 81 bambini di cui 55 con PCI, 18 con patologia genetico-metabolica
e 8 con patologia neuromuscolare. La diagnosi clinica è stata
confermata nel 50% dei casi dalle indagini strumentali. In 36 bambini
è stata diagnosticata disfagia, in 4 bambini è stata
riscontrata inalazione all’indagine radiologica e in 3 bambini
un ritardo della fase faringea. Nei casi di lieve entità
abbiamo fornito presidi posturali, consigli per la somministrazione
del cibo ed esercizi di riabilitazione logopedica per la stimolazione
dei movimenti orobuccali. Per condizioni legate a una patologia acuta
o con prognosi favorevole a breve termine, abbiamo utilizzato il SNG
e/o la riabilitazione logopedica. Per patologie a carattere
progressivo o passibili solo a lungo termine di miglioramento,
abbiamo posto indicazione alla PEG associata a fundoplicatio in caso
di reflusso gastroesofageo.
Complessivamente,
nella nostra casistica, 52 bambini sono stati sottoposti a terapia
medica con gastroprotettori, 13 hanno seguito terapia logopedica e 29
bambini sono stati sottoposti a intervento di gastrostomia. Il
follow-up prevede controlli seriati a intervalli di 3-6-12 mesi,
stabiliti in relazione alla patologia di base e al grado di
interessamento patologico.
Afasia
talamica post-encefalitica
1Scuola
di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e
Reggio Emilia
2UOC
di Pediatria, Settore di Neurologia Pediatrica, Policlinico di Modena
N. 3 aa,
nata a termine da parto spontaneo, dopo gravidanza normodecorsa,
sviluppo psicomotorio nella norma; assenza di patologie di rilievo.
Gentilizio negativo per patologie neurologiche o cardiovascolari.
Giunta alla nostra osservazione per febbre, stato confusionale,
difficoltà di linguaggio espressivo e tendenza
all’assopimento, vennero rilevate in EEG attività lente
prevalenti nelle regioni temporali (sospetta encefalite), alla RMN
encefalo riscontro di lesioni ischemiche in fase acuta in regione
talamica bilateralmente. Le indagini microbiologiche, virologiche e
dell’isoimmunoelettroforesi su sangue e liquor diedero esito
negativo. La bambina venne sottoposta a ecodoppler transcranico che
non documentò alterazioni vascolari e a ecocardiografia
risultata negativa per forame ovale pervio. Le condizioni generali
della bambina migliorarono rapidamente consentendo l’invio
della bambina in permesso domiciliare. Dopo circa 20 giorni
dall’evento acuto, i genitori hanno notato comparsa di episodi
pluriquotidiani di afasia/parafasia anche per parole semplici e di
uso comune. L’afasia talamica appartiene alle sindromi
talamiche e si manifesta con riduzione dell’espressione
autonoma, incoerenza del discorso con parafasie verbali,
perseverazione o agrammatismo. Abbiamo eseguito valutazione
audiologica e delle abilità comunicative con riscontro di
povertà del linguaggio espressivo sotto il profilo fonologico
e lessicale. La valutazione neuropsichiatrica è risultata
nella norma. L’EEG di controllo non ha evidenziato anomalie
irritative. La RMN encefalo eseguita a 7 mesi dall’esordio ha
mostrato aspetto parzialmente cavitato delle lacune talamiche.
Le
sindromi talamiche si presentano nell’adulto come quadri
lesionali specifici legati all’insulto ischemico. In
letteratura sono segnalati pochi casi di afasia talamica successivi a
infarti ischemici nel bambino. Il caso in esame riconosce punti di
somiglianza con i quadri più conclamati dell’adulto e,
insieme, caratteristiche di peculiarità correlate alla fase
evolutiva del linguaggio, costituite principalmente da ritardo
dell’acquisizione di nuovi vocaboli e importante disturbo
fonologico. Per il ritardo di linguaggio la bambina è stata
presa in carico dal Servizio di NPI del territorio per programma di
riabilitazione logopedica.
Vuoi citare questo contributo?