Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Ottobre 2002 - Volume V - numero 8
M&B Pagine Elettroniche
Pediatria per l'ospedale
L'infezione
da citomegalovirus*
(Parte
seconda)
Diagnosi
differenziali nel neonato
Come si
sa "il violino del neonato ha una sola corda": in altre
parole qualsiasi infezione che lo abbia colpito nella vita
intrauterina, si presenta clinicamente con lo stesso quadro, sia che
si tratti di una malattia da protozoi (toxoplasmosi), da spirochete
(sifilide), da virus (rosolia, virus citomegalico) o da funghi.
Inoltre
molti quadri clinici legati a errori congeniti del metabolismo si
associano in epoca neonatale a epatite, trombocitopenia,
epatosplenomegalia, encefalopatia e anemia, proprio come può
avvenire in corso di infezioni feto-neonatali.
Tuttavia,
anche se l'infezione congenita da virus citomegalico (CMV) non può
essere diagnosticata solo sulla base dei segni e dei sintomi clinici,
la presenza di microcefalia e soprattutto di perdita dell'udito
suggerisce una diagnosi d'infezione da CMV.
L'infezione
da citomegalovirus nell'ospite compromesso
Il CMV
rientra fra i patogeni opportunisti (come la Candida albicans,
la Pneumocystis carinii, la Pseudomonas aeruginosa e
tanti altri); esso preferisce i pazienti che dimostrino
un'alterazione dell'immunità cellulare (linfociti T),
principalmente nei soggetti sottoposti a trapianti o con infezione da
HIV o addirittura da AIDS.
In linea
di massima la maggior parte delle infezioni da CMV nei soggetti
immunocompromessi è dovuta a riattivazione del CMV, che ha
infettato l'ospite in un passato lontano, spesso in modo inapparente.
Altre volte, più di rado, il soggetto immunocompromesso
presenta un'infezione primaria da CMV, che costantemente si
accompagna ai segni e ai sintomi della malattia. Le più
importanti sorgenti di infezione da CMV sono da un lato le
trasfusioni di sangue intero o di derivati e dall'altra i trapianti
di organo da soggetto sieropositivo per il CMV: sono stati descritti
in letteratura molti casi di infezione primaria da CMV in soggetti
che avevano ricevuto un trapianto di rene da un soggetto
sieropositivo. Molte prove per stabilire la capacità
preventiva di vaccini contro il CMV, sono state condotte in soggetti
suscettibili, sottoposti a trapianto renale (Plotkin SA:
Cyomegalovirus vaccine, Am Heart J 138:S484-7, 1999).
Le
manifestazioni cliniche dell'infezione da CMV, sia essa primaria o da
riattivazione, si correlano in modo stretto con il grado di
alterazione immunologica dei soggetti trapiantati o con AIDS. Per
esempio fra i trapiantati la più grave malattia da CMV si
osserva nei trapianto di midollo allogenico e in pazienti trattati
con immunosoppressione aggressiva. Fra i pazienti con AIDS, la
maggior parte delle malattie da CMV avvengono in quelli in cui le
cellule CD4 positive siano meno di 100/ mcL.
Nei
pazienti trapiantati l'infezione primaria è caratterizzata da
febbre e leucopenia: inoltre spesso i pazienti sviluppano esantema,
artralgia e aumento delle aminotransferasi sieriche. Tra le
complicazioni più gravi nei soggetti trapiantati ricordo
l'interessamento della funzione dell'organo trapiantato, la
polmonite, le ulcere gastro-intestinali, l'epatite e le infezioni
fungine anch'esse opportunistiche. Mentre fra i soggetti con AIDS i
più frequenti problemi sono legati alla retinite,
all'esofagite e alla colite; altre complicazioni meno frequenti sono
l'encefalite, la neuropatia periferica, l'epatite e la polmonite.
Il
trattamento nei pazienti con AIDS è essenzialmente palliativo
e si basa sul ganciclovir, foscarnet e cidofovir per il controllo
della malattia, seguiti da una terapia di mantenimento con uno di
questi farmaci. La terapia di mantenimento è continuata fino a
quando non migliori la funzione, che si deve stabilizzare a livelli
sufficienti anche quando si sospenda il trattamento anti-CMV.
L'associazione della terapia antiretrovirale di elevata efficacia
(anti-HIV) porta a un miglioramento della funzione immune nei bambini
e negli adulti infettati da HIV e quindi riduce rapidamente
l'incidenza della malattia da CMV.
D'altra
parte nei soggetti trapiantati, negli ultimi 20 anni, l'incidenza
della malattia da CMV si è ridotta in modo significativo con
l'uso degli antivirali specifici sia nella profilassi che nel
trattamento.
Diagnosi
di laboratorio
L'infezione
congenita da CMV viene diagnosticata con la dimostrazione del virus
nelle urine o nella saliva del neonato. La dimostrazione con i
tradizionali metodi di coltura, può richiedere fino a 2
settimane per ottenere i risultati.
I metodi
di coltura rapida ("shell vial assay") usano la
centrifugazione per aumentare l'infettività e l'anticorpo
monoclonale per dimostrare immediatamente gli antigeni precoci nelle
cellule infettate di tessuto, per cui i risultati possono essere
ottenuti in 24 ore. La PCR (Polymerase Chain Reaction), con la sua
capacità di mettere in evidenza piccole quantità di
CMV-DNA, viene usata in qualche laboratorio, ma non è ancora
chiaro se essa offre effettivamente vantaggi nei confronti della
coltura, anche perché i neonati infettati con CMV, eliminano
con la saliva o con le urine quantità elevatissime di virus.
Non sono
usati, per la diagnosi d'infezione congenita da CMV, metodi per
dimostrare nel neonato la presenza di IgM specifiche: essi non
offrono alcun vantaggio sulla coltura virale o sulla PCR; sono
inoltre risultati meno sensibili e più soggetti a dare
risultati falsamente positivi.
Entro
quanto tempo dalla nascita un isolamento virale s'identifica con
un'infezione congenita ?
La
dimostrazione del CMV entro le 3 settimane di vita è da
considerare come una prova d'infezione congenita da CMV.
Infatti
il neonato o il lattante che acquisisce il CMV al momento della
nascita (attraverso le secrezioni materne presenti nel canale del
parto) o attraverso l'allattamento al seno, inizia ed eliminare virus
nei liquidi dell'organismo (urine e saliva) dopo molte settimane.
Un
isolamento dopo le 3 settimane dalla nascita non permette di
differenziare se il virus sia stato acquisito prenatalmente o
perinatalmente. La diagnosi d'infezione congenita al di là
delle 3 settimane di vita richiede una combinazione di dati clinici e
di laboratorio per il CMV.
La
distinzione fra infezione da CMV congenita o acquisita intrapartum o
con il latte del seno, ha un'importanza prognostica elevata, perché
l'infezione perinatale o postnatale non si associa a sofferenza del
sistema nervoso centrale (calcificazioni e altro) né a
conseguenze auditive, tipiche dell'infezione congenita.
La
diagnosi d'infezione in un soggetto immunocompromesso è molto
più difficile di quanto non sia la diagnosi d'infezione
congenita in un neonato. Il problema nell'immunocompromesso non è
tanto se il paziente ha un'infezione da CMV, quanto nel determinare
se il CMV che è stato trovato è o meno causa di
malattia. La maggioranza dei pazienti immunocompromessi elimina
infatti CMV nella saliva e nelle urine senza essere necessariamente
ammalato per questa ragione. Le modalità di diagnosi
d'infezione da CMV in soggetti immunocompromessi si basano di
preferenza su esami di laboratorio generali e locali.
La
sierologia dà risultati molto limitati. Fra i pazienti
infettati con HIV, quelli trapiantati e i donatori di organo, la
presenza di anticorpi IgG verso il CMV è un buon indicatore di
una passata infezione e di un aumentato rischio di una malattia da
CMV in presenza di una compromissione immunitaria. Questo esame
identifica la situazione problematica del donatore positivo/negativo
che comporta un alto rischio d'infezione primaria e di malattia da
CMV nell'immediato periodo posttrapianto.
La
dimostrazione del CMV nel sangue è un miglior predittore di
malattia nei soggetti immunocompromessi, che escretano virus nelle
urine e in altri liquidi corporei. La correlazione fra risultati di
laboratorio e malattia clinica viene rinforzata dalla quantità
di virus nel sangue.
La
tradizionale coltura virale serve a poco per la dimostrazione della
viremia e non permette la quantificazione del virus nel sangue.
Servono invece prove quantitive per la dimostrazione delle cellule
bianche positive per la ricerca degli antigeni del CMV mediante
l'immunofluorescenza (antigenemia), come serve anche la PCR
quantitiva.
Trattamento
Tre
agenti antivirali sono stati approvati negli USA per trattare le
infezioni da CMV in soggetti immunocompromessi: il ganciclovir
(Cytovirax o Cymevene), il foscarnet (Foscavir) e il citofovir (non
in commercio in Italia al 30 ottobre 2002). Il più studiato è
il ganciclovir, usato per il trattamento dell'infezione congenita da
CMV. Sebbene questi farmaci siano lontani dal farmaco ideale, per
indice terapeutico, costo, facilità di somministrazione,
tossicità e farmacodinamica, è importante riconoscere
che il loro uso ha ridotto il peso della malattia da CMV nei pazienti
immunocompromessi.
Il
trattamento d'induzione e poi di mantenimento nella retinite da CMV,
in pazienti in stadio avanzato di AIDS, hanno differito la perdita
della visione e hanno prolungato la vita. Nei pazienti con trapianto
di midollo, l'insorgenza di una grave malattia da CMV è
discesa dal 25% a meno del 5% nella maggioranza dei centri, in
seguito all'uso degli antivirali nella prevenzione della malattia da
CMV.
Nonostante
gli studi, ai quali accennavo in precedenza, nessun agente antivirale
è stato approvato negli USA per il trattamento delle infezioni
congenite da CMV. Tuttavia è già stata completata una
ricerca random in fase III con il ganciclovir verso nessun
trattamento nei neonati con grave infezione congenita, che ha
dimostrato risultati favorevoli. I soggetti trattati avevano
un'infezione sintomatica da CMV, con segni d'interessamento del
sistema nervoso centrale, come microcefalia, calcificazioni
intracraniche o alterazioni neurologiche. I pazienti vennero trattati
o per 6 settimane con ganciclovir o senza nessun trattamento;
l'obiettivo primario fu la valutazione dell'udito. I risultati
dimostrarono un'associazione altamente significativa fra trattamento
con ganciclovir e mancata progressione della perdita di udito, dopo
un controllo a distanza di 2 anni. La tossicità più
spesso dimostrata in questo studio fu la neutropenia, presente nel
63% dei soggetti che avevano ricevuto ganciclovir contro il 20% nei
soggetti che avevano ricevuto il placebo: non è chiaro quali
implicazioni cliniche abbia la neutropenia.
Rimane da
stabilire se questo beneficio si prolunghi nel tempo e se non si
associ a qualche tipo di rischio.
Per
esempio alcuni neonati presentarono un peggioramento della retinite
dopo la sospensione del ganciclovir. Inoltre il ganciclovir è
dotato di una potenziale tossicità riproduttiva e di
carcenogenicità, che può non dimostrarsi finchè
i soggetti non abbiano raggiunta la maturità.
D'altra
parte va anche tenuto conto che in questa prova sono stati arruolati
i soggetti più gravemente colpiti. Il rapporto
rischio/beneficio può essere sufficientemente basso per questi
pazienti, tale da giustificare il trattamento, mentre il rapporto
rischio/beneficio potrebbe essere maggiore per i pazienti che siano
asintomatici alla nascita o che siano colpiti in modo meno grave di
quelli che hanno partecipato alla prova.
I bambini
che hanno presentato un'infezione congenita da CMV sono a rischio di
sviluppare ritardi di sviluppo, alterazioni neurologiche, ritardo
mentale, alterazioni della vista e perdita di udito. Il loro
controllo a distanza prevede appuntamenti precisi per permettere una
precoce identificazione dei problemi.
Nella
Tabella 6 viene riportata una modalità per l'esecuzione dei
controlli a distanza.
Tutti i
neonati con infezione congenita da CMV debbono essere sottoposti alle
prove audiometriche e ad esami oculistici usando l'oftalmoscopia
indiretta. Il pediatra deve ricercare con accuratezza lo sviluppo
neurologico nel quadro delle visite di controllo. Quando venga
trovata un'alterazione, può essere utile consultare uno
specialista in neurologia e in neuropsicologia (negli USA come in
altri Paesi non esiste la figura del neuropsichiatra infantile).
Tabella
6 - Schema per i controlli a distanza di lattanti che abbino
presentato un'infezione congenita da CMV
Valutazione | Età
raccomandata |
Audiometria:
potenziali evocati auditivi o emissioni otoacustiche almeno a 12
mesi | Neonato,
3, 6, 9, 12, 18, 24, 30, 36 mesi, e poi ogni anno fino all'età
scolare |
Oftalmoscopia:
funzione visiva | Neonato,
12 mesi, 3 anni e prima di entrare a scuola |
Esame
neurologico/valutazione dello sviluppo da parte del pediatra | Ogni
controllo di salute prima di entrare a scuola |
Richiesta
di visita neurologica e/o neuropsicologica | A
seconda dei reperti clinici |
Una
precoce dimostrazione di sordità è particolarmente
importante per le sue conseguenze sul linguaggio. Se vengono
riscontrate alterazioni, viene raccomandata una più frequente
valutazione, finchè non sia stata ottenuta un'esatta
valutazione. Per bambini che abbiano una sordità prima
dell'anno di età, è consigliabile una valutazione due
volte per anno fino a 3 anni e poi annuale fino all'età della
scuola.
Prevenzione
della donna in gravidanza e dell'infezione congenita da
CMV
Le
principali sorgenti d'infezione nella donna in gravidanza sono i
contatti con i bambini più piccoli e i contatti sessuali.
Tutti i bambini in età prescolare vanno considerati come delle
potenziali fonti di infezione. Perché avvenga la trasmissione
è necessario che ci sia un contatto con le secrezioni per cui
è necessario avitore ogni contatto con i liquidi organici dei
giovani bambini, insieme all'esecuzione di un lavaggio accurato delle
mani, nel caso in cui dovesse avvenire questo contatto.
Per
evitare la trasmissione per via sessuale viene consigliato alle donne
in stato di gravidanza di avere contatti sessuali con un nuovo
partner solo se questo è provvisto di preservativo.
E'
indispensabile poter disporre di un vaccino efficace per prevenire le
infezioni delle donne e quindi le malattie congenite.
Il
vaccino
I vaccini
contro il CMV sono stati preparati con virus vivo attenuato e con
sub-unità di virus virus uccisi (G. Bartolozzi, Vaccini e
vaccinazioni, Masson, Milano, 2002. pag. 704-8).
- a) Vaccini a virus vivi
- Sono stati studiati due vaccini vivi:
- - un vaccino preparato nel Regno Unito usando il ceppo AD-169 , con il quale vennero vaccinati soggetti adulti, che non è stato successivamente più studiato (Elek DS e Stern H, 1974)
- - un vaccino, preparato da Plotkin (Plotkin SA et al, 1975, Plotkin SA, 1999), partendo da un ceppo isolato in un neonato con infezione congenita (ceppo Towne) e coltivato su fibroblasti di embrione umano per 125 passaggi.
- Quando questo secondo vaccino venne impiegato per via sottocutanea o intramuscolare in soggetti adulti, fu riscontrata una sieroconversione nel 100% dei volontari e una risposta cellulare specifica. Fu notata una reazione locale, dopo 7 giorni dall'inoculazione, che perdurò per altri 7 giorni; non si ebbero reazioni sistemiche.
- Da studi successivi è stato concluso che il vaccino Towne determina un'infezione abortiva nella sede d'inoculazione, che stimola la produzione di anticorpi e una risposta cellulare, come dopo l'infezione naturale. Non venne notata escrezione virale dopo la vaccinazione (Plotkin SA, 1984).
- Una delle prime applicazioni pratiche di questo vaccino fu quella nei soggetti sieronegativi che erano in procinto di essere trapiantati per il rene, ottenuto da donatori sieropositivi (Blazer JP et al, 1979). Lo studio venne fatto in doppio cieco; dopo 6 settimane dalla vaccinazione i candidati al trapianto ricevettero il rene non appena questo fu disponibile; dopo il trapianto tutti i soggetti vennero studiati sia da un punto di vista clinico, che virologico e sierologico per il CMV. Nonostante una scarsa risposta in anticorpi e in immunità cellulare, in conseguenza della stessa uremia, il vaccino sembrò fornire una parziale protezione, simile a quella dell'infezione naturale, che, come abbiamo visto, è essa stessa parzialmente protettiva (Plotkin SA et al, 1994).
- Venne fatto inoltre un rilievo importante: mentre i pazienti che ricevettero il vaccino Towne e furono sottoposti a trapianto da soggetti sieronegativi, non escretarono il virus, quelli che ricevettero il rene da soggetti siero positivi eliminarono virus nelle orine, ma non si trattava del virus vaccinico, quanto piuttosto del virus selvaggio, che era ancora presente nel rene trapiantato (Plotkin SA e Huang ES, 1985). Viene concluso che il ceppo Towne non induce latenza, come il CMV selvaggio.
- In questo il ceppo Towne di CMV si differenzia nettamente dal ceppo OKA del VVZ che presenta costantemente il fenomeno della latenza, come il VVZ selvaggio.
- Uno studio è stato condotto anche in soggetti sani sierologicamente negativi per il CMV, sottoposti a un carico di virus selvaggio (Plotkin SA et al, 1985a): venne osservato che la vaccinazione di soggetti normali, li rendeva resistenti a un carico artificiale, dato per via parenterale, in modo lievemente inferiore ai soggetti che erano stati resi immuni naturalmente. Risultò una volta di più che anche l'immunità naturale non era completa e che la resistenza dipendeva strettamente dalla quantità di virus somministrata.
- In uno studio simile, condotto da altri ricercatori, il vaccino Towne fallì completamente: questa volta l'esperimento venne condotto per prevenire l'infezioni in madri sieronegative che erano in contatto con figli che escretavano il CMV. Una prova controllata non mostrò nessuna riduzione nella percentuale d'infezione fra donne vaccinate con Towne e donne trattate con il placebo (Adler SP et al, 1995). Il livello di anticorpi neutralizzanti dopo vaccinazione risulta da questo studio 20 volte inferiore a quello che si riscontra dopo l'infezione naturale.
- La differenza riscontrata nei risultati dei due studi può derivare dal diverso genoma, presente in diversi ceppi di Towne (Cha TA et al, 1996): comunque sono necessarie ulteriori ricerche per esprimere un giudizio corretto su questo vaccino.
- b) Vaccini a virus uccisi interi, a sub-unità e da ingegneria genetica
- Gli studi per la preparazione di vaccini di questo genere sono stati inizialmente rivolti alle 3 principali proteine dell'involucro: gB, gH e gCII. Fra queste la scelta è caduta sulla proteina gB, verso la quale è diretto il 50% degli anticorpi neutralizzanti il CMV nei soggetti siero-positivi. L'impiego nell'uomo di questa proteina, altamente purificata, ha prodotto risposte sia in anticorpi che cellulari (Hudecz F et al, 1985; Gonczol E et al, 1990), ma a livelli non sufficientemente alti per ritenere che questa proteina possa essere utilizzata per la vaccinazione . Il gene di questa proteina è stato inserito in molti vettori (adenovirus 5, canarypox e altri) per indurre risposte immunitarie negli animali (Gonczol E et al, 1995). Ulteriori ricerche sono state eseguite con la proteina gB ricombinante nelle cellule di ovaio di hamster cinese, somministrata in un forte adiuvante, come l'MF-59 (Pass RE et al, 1995): lattanti, vaccinati con questo vaccino, in 3 dosi a 0, 1 e 6 mesi, hanno presentato titoli di 1/638, più elevati di quelli presentati dall'adulto (Frey SE et al, 1999). Importante è risultata la presenza di anticorpi specifici della classe IgA, a livello delle mucose, nella maggior parte dei soggetti vaccinati. Durante questa esperienza non sono stati notati effetti collaterali spiacevoli (Mitchell DK et al, 1997).
- La preparazione di un vaccino a partenza della proteina gB è complicata dal fatto, che in base alle ricerche eseguite esistono 4 diversi genotipi di questa proteina.
- Nell'ambito della cosiddetta "rivoluzione verde" il gene della glicoproteina B è stato introdotto nella pianta del tabacco con buoni risultati (Tackaberry ES et al, 1999).
- La recente possibilità di preparazione di vaccini a DNA allarga ancora le prospettive di poter avere a disposizione un vaccino efficace nei prossimi anni.
Prevenzione
delle infezioni nosocomiali e opportunistiche
Le
precauzioni, di cui è stato già parlato, nei confronti
delle secrezioni organiche e l'utilità del lavaggio accurato
delle mani sono molto utili anche per prevenire la diffusione del CMV
dai pazienti al personale di assistenza e dai un paziente a un altro
suscettibile.
Nella
pratica i bambini con infezione da CMV non debbono essere considerati
in modo specifico, né debbono essere prese nei loro confronti
delle specifiche procedure di controllo; piuttosto tutti i bambini
debbono essere considerati come potenziali diffusori del CMV.
Le
infezioni acquisite tramite le trasfusioni possono essere prevenute
limitando ai pazienti sieronegativi l'uso di prodotti del sangue, se
non da donatori sieronegativi o allontanando i leucociti e le
piastrine dal sangue intero, mediante speciali filtri. Questi
provvedimenti valgono ancora di più per i bambini prematuri e
per i soggetti immunocompromessi.
Tuttavia
va ripetuto che nei soggetti immunocompromessi le infezioni da CMV
sono la conseguenza di una riattivazione del virus endogeno. Sebbene
queste infezioni non possano essere prevenute, un trattamento
antivirale profilattico e l'immunizzazione passiva con preparazioni
di immunoglobuline anti-CMV sono state usate isolatamente per
prevenire la malattia dopo il trapianto.
* Pass
R.F.: Cytomegalovirus infection, Pediatr Rev 23:163-78, 2002
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