Rivista di formazione e aggiornamento di pediatri e medici operanti sul territorio e in ospedale. Fondata nel 1982, in collaborazione con l'Associazione Culturale Pediatri.
Luglio 2004 - Volume VII - numero 7
M&B Pagine Elettroniche
Pediatria per l'ospedale
L'epatite
B
(parte
seconda)
Storia
naturale dell'epatite B
L'infezione
da virus dell'epatite B (HBV) in un soggetto suscettibile può
essere sia sintomatica che asintomatica. La seconda possibilità
è più comune della prima, specialmente nei bambini
piccoli. La maggior parte delle infezioni primarie del bambino e
dell'adulto, che siano sintomatiche o meno, sono a evoluzione
favorevole, con la clearance del virus dal sangue e dal fegato
e lo sviluppo di un'immunità permanente che dura tutta la
vita. Ma alcune infezioni primarie in adulti sani (meno del 5%) non
guariscono e passano a infezioni persistenti. In questi casi la
moltiplicazione virale continua nel fegato e nel sangue Ganem D,
Prince AM – Hepatitis B virus infection – Natural hystory and
clinical conseguences – N Engl J Med 2004, 350:1118-29
Anche le infezioni persistenti di HBV possono essere sintomatiche o asintomatiche. Le persone con le forme persistenti subcliniche hanno normali livelli di aminotransferasi e reperti normali o quasi normali alla biopsia epatica: esse vengono chiamate “portatori cronici di HBV”. Quelli che hanno funzioni epatiche anormali e manifestazioni istologiche sono chiamati “soggetti con epatite B cronica”.
La cirrosi, una patologia nella quale noduli rigenerativi e fibrosi coesistono insieme a un grave danno epatico, si sviluppa in circa il 20% delle persone con epatite B cronica. La conseguente insufficienza epatica e l'ipertensione portale rendono questo processo una delle conseguenze più pericolose dell'infezione cronica da HBV.
Anche le infezioni persistenti di HBV possono essere sintomatiche o asintomatiche. Le persone con le forme persistenti subcliniche hanno normali livelli di aminotransferasi e reperti normali o quasi normali alla biopsia epatica: esse vengono chiamate “portatori cronici di HBV”. Quelli che hanno funzioni epatiche anormali e manifestazioni istologiche sono chiamati “soggetti con epatite B cronica”.
La cirrosi, una patologia nella quale noduli rigenerativi e fibrosi coesistono insieme a un grave danno epatico, si sviluppa in circa il 20% delle persone con epatite B cronica. La conseguente insufficienza epatica e l'ipertensione portale rendono questo processo una delle conseguenze più pericolose dell'infezione cronica da HBV.
Infezione
primaria
Nell'infezioni
primaria l'HBsAg è ritrovabile nel sangue dopo un periodo
d'incubazione di 4-10 settimane, seguito poco dopo dalla comparsa
di anticorpi contro l'antigene del core dell'HBV (anticorpi
anti-HBc), che inizialmente sono di tipo IgM. Insieme si verifica una
viremia che nell'infezione acuta è molto alta, fino a
109-1010 virioni per millilitro. L'HBeAg compare in circolo in
molti casi: quando questo avviene fra il 75 e il 100% degli epatociti
è stato infettato. Non sorprende quindi che studi
epidemilogici mostrino alte percentuali di trasmissibilità sia
verticale che orizzontale durante le infezioni acute da HBV.
Quando l'infezione del fegato inizia nell'infezione primaria, i livelli di alaninoaminotransferasi non aumentano finchè l'infezione virale non si sia ben stabilita, per coprire il tempo necessario per il determinarsi della risposta immune mediata dalle cellule T, che sono responsabili delle lesioni epatiche. A questo punto i titoli di virus nel sangue e nel fegato cominciano ad abbassarsi. Il fatto che l'infezione possa essere vinta in tutti gli epatociti senza una massiva distruzione del fegato (nella maggioranza dei casi) è la testimonianza dello straordinario potere dei meccanismi diclearance non citolitica, sopra descritti. Con la scomparsa dell'infezione gli antigeni HBsAg e HBeAg scompaiono dal sangue e si ritrovano anticorpi liberi anti-HBs e anti-HBe.
Sorprendentemente nelle infezioni autolimitantesi, definite sulla base della scomparsa degli antigeni virali e la comparsa degli anticorpi anti-HBs, bassi livelli di DNA HBV possono persistere nel sangue per molti anni, se non per la vita: non si sa se questo DNA contenga l'intero genoma dell'HBV. Tuttavia l'inoculazione di siero da 3 soggetti con persistenza dell'HBV DNA in chimpanzee non ha dimostrato alcuna infettività.
Quando l'infezione del fegato inizia nell'infezione primaria, i livelli di alaninoaminotransferasi non aumentano finchè l'infezione virale non si sia ben stabilita, per coprire il tempo necessario per il determinarsi della risposta immune mediata dalle cellule T, che sono responsabili delle lesioni epatiche. A questo punto i titoli di virus nel sangue e nel fegato cominciano ad abbassarsi. Il fatto che l'infezione possa essere vinta in tutti gli epatociti senza una massiva distruzione del fegato (nella maggioranza dei casi) è la testimonianza dello straordinario potere dei meccanismi diclearance non citolitica, sopra descritti. Con la scomparsa dell'infezione gli antigeni HBsAg e HBeAg scompaiono dal sangue e si ritrovano anticorpi liberi anti-HBs e anti-HBe.
Sorprendentemente nelle infezioni autolimitantesi, definite sulla base della scomparsa degli antigeni virali e la comparsa degli anticorpi anti-HBs, bassi livelli di DNA HBV possono persistere nel sangue per molti anni, se non per la vita: non si sa se questo DNA contenga l'intero genoma dell'HBV. Tuttavia l'inoculazione di siero da 3 soggetti con persistenza dell'HBV DNA in chimpanzee non ha dimostrato alcuna infettività.
Infezione
persistente
Nelle
infezioni persistenti da HBV, l'HBsAg rimane nel sangue ed è
presente la formazione di nuovo virus, spesso per tutta la vita.
Tuttavia i livelli di viremia rimangono fondamentalmente più
bassi di quelli che si hanno nella infezione primaria , anche se essi
variano notevolmente da persona a persona. Alti titoli di HBV nel
sangue sono spesso dimostrati dalla continua presenza di HBeAg nel
sangue. Classicamente in queste condizioni vi sono da 107 a 109
virioni per millilitro di sangue, altamente infettante. Tuttavia la
maggior parte delle persone con viremia persistente, specialmente
quelli con anticorpi anti-HBe, hanno in generale livelli più
bassi di viremia.
Un altro aspetto caratteristico delle infezioni croniche è la dinamicità della loro storia naturale. Anche se nella maggioranza dei casi l'HBsAg dura tutta la vita, i titoli di DNA virale tendono ad abbassarsi col tempo. Col tempo anche l'HBeAg scompare dal sangue, con una sieroconversione della positività per la comparsa di anticorpi anti-HBe, una variazione che avviene in una percentuale del 5-10% per anno nelle persone infettate in modo persistente. Spesso la scomparsa dell'HBeAg è preceduta o accompagnata da un aumento transitorio della alanina-aminotransferasi, chiamata “fiammata”, dovuta a un processo di distruzione immuno-mediato degli epatociti infetti. La riduzione dei livelli di viremia di circa 5 volte può accompagnarsi alla comparsa di anticorpi anti-HBe. Tutto questo suggerisce che c'è un attacco immune alle cellule infettate del fegato, che è usualmente inadeguato a eradicare l'infezione, ma che riduce il numero delle cellule infettate e abbassa il carico di virus circolante. La Figura 4 mostra il quadro delle modificazioni sierologiche e molecolari sia nell'infezione auto-limitantesi che nelle infezioni croniche da HBV.
La comune ipotesi che il DNA virale circolante scompaia quando compaiono gli anticorpi anti-HBe non è corretta; questa idea riflette il fatto che, per molti anni, il DNA dell'HBV venne misurato con metodi di ibridizzazione relativamente poco sensibili con un limite di sensibilità da 105 a 106 per millilitro. Grazie all'uso della polymerase chain reaction (PCR) , ora sappiamo che almeno il 70-85% delle persone con anticorpi anti-HBe hanno DNA virale dimostrabile in circolazione, classicamente fra 103 e 105 molecole per m millilitro e qualche volte di più. Sebbene questi livelli vadano considerati come relativamente bassi, essi sono quasi trascurabili. In seguito alla corta metà vita dei virioni HBV (circa 1 giorno) tali livelli possono essere legati solo a una evidente moltiplicazione virale. Ne consegue che ritenere che l'HBV entri in una fase non moltiplicativa più tardi nella sua storia naturale non è corretto. Per questa ragione, chi ha una prova positiva per HBsAg si deve pensare che abbia un qualche livello di viremia. Ne deriva che la decisione per l'immunoprofilassi di un soggetto che si sia bucato con un ago, sporco di sangue da un soggetto HBsAg positivo, deve essere presa sempre, indipendentemente dallo stato del paziente nei confronti dell'HBeAg.
I portatori negativi per l'HBeAg sono un gruppo eterogeneo. La maggior parte di essi sono portatori di bassi livelli di DNA virale, livelli relativamente normali di alanina-aminotransferasi e di DNA virale nel sangue. Il virus nella maggior parte di questi casi presenta una mutazione nella regione preC, che previene la produzione di HBeAg. E' stato suggerito che livelli persistentemente anormali di alaninaminotranferasi e livelli elevati di DNA virale possono essere la prova di un sottogruppo di portatori HBeAg negativi che possono ricevere un trattamento attivo antivirale.
Un altro aspetto caratteristico delle infezioni croniche è la dinamicità della loro storia naturale. Anche se nella maggioranza dei casi l'HBsAg dura tutta la vita, i titoli di DNA virale tendono ad abbassarsi col tempo. Col tempo anche l'HBeAg scompare dal sangue, con una sieroconversione della positività per la comparsa di anticorpi anti-HBe, una variazione che avviene in una percentuale del 5-10% per anno nelle persone infettate in modo persistente. Spesso la scomparsa dell'HBeAg è preceduta o accompagnata da un aumento transitorio della alanina-aminotransferasi, chiamata “fiammata”, dovuta a un processo di distruzione immuno-mediato degli epatociti infetti. La riduzione dei livelli di viremia di circa 5 volte può accompagnarsi alla comparsa di anticorpi anti-HBe. Tutto questo suggerisce che c'è un attacco immune alle cellule infettate del fegato, che è usualmente inadeguato a eradicare l'infezione, ma che riduce il numero delle cellule infettate e abbassa il carico di virus circolante. La Figura 4 mostra il quadro delle modificazioni sierologiche e molecolari sia nell'infezione auto-limitantesi che nelle infezioni croniche da HBV.
La comune ipotesi che il DNA virale circolante scompaia quando compaiono gli anticorpi anti-HBe non è corretta; questa idea riflette il fatto che, per molti anni, il DNA dell'HBV venne misurato con metodi di ibridizzazione relativamente poco sensibili con un limite di sensibilità da 105 a 106 per millilitro. Grazie all'uso della polymerase chain reaction (PCR) , ora sappiamo che almeno il 70-85% delle persone con anticorpi anti-HBe hanno DNA virale dimostrabile in circolazione, classicamente fra 103 e 105 molecole per m millilitro e qualche volte di più. Sebbene questi livelli vadano considerati come relativamente bassi, essi sono quasi trascurabili. In seguito alla corta metà vita dei virioni HBV (circa 1 giorno) tali livelli possono essere legati solo a una evidente moltiplicazione virale. Ne consegue che ritenere che l'HBV entri in una fase non moltiplicativa più tardi nella sua storia naturale non è corretto. Per questa ragione, chi ha una prova positiva per HBsAg si deve pensare che abbia un qualche livello di viremia. Ne deriva che la decisione per l'immunoprofilassi di un soggetto che si sia bucato con un ago, sporco di sangue da un soggetto HBsAg positivo, deve essere presa sempre, indipendentemente dallo stato del paziente nei confronti dell'HBeAg.
I portatori negativi per l'HBeAg sono un gruppo eterogeneo. La maggior parte di essi sono portatori di bassi livelli di DNA virale, livelli relativamente normali di alanina-aminotransferasi e di DNA virale nel sangue. Il virus nella maggior parte di questi casi presenta una mutazione nella regione preC, che previene la produzione di HBeAg. E' stato suggerito che livelli persistentemente anormali di alaninaminotranferasi e livelli elevati di DNA virale possono essere la prova di un sottogruppo di portatori HBeAg negativi che possono ricevere un trattamento attivo antivirale.
ingrandisci (60 K)
Livelli tipici di alanina-aminotransferasi (ALT), HBV DNA, antigene HBe e HBs (HBeAg e HBsAg), anticorpi anti-HBc, anti-HBe e anti-HBs nell'infezione da HBV autolimitantesi (quadro A) e nelle infezioni croniche (quadro B). L'intensità delle risposte, come funzione del tempo dopo l'infezione, viene indicata schematicamente. L'HBV DNA può persistere per molti anni dopo la risoluzione dell'infezione acuta autolimitantesi.
Carcinoma
epatocellulare
Un altro
aspetto della storia naturale dell'infezione da HBV è il suo
legame con il carcinoma epatocellulare primitivo. I soggetti
infettati cronicamente hanno un rischio di carcinoma epatocellulare
che è di 100 volte superiore a quello dei non portatori; nel
gruppo dei soggetti HBsAg positivi, i portatori di HBeAg sono a
maggior rischio, ma anche i portatori con anticorpo anti-HBe hanno
una probabilità superiore a quello della popolazione in
generale. Per questa ragione, va eseguito uno screening ogni due anni
dei pazienti cronicamente infetti, misurando la alfa-fotoproteina
sierica o con l'ECO epatico o ambedue. Vi è tuttavia ancora
un ampio dibattito su quale sia il momento migliore per iniziare lo
screening. D'altra parte questo screening non è perfetto,
perche le alfa fetoproteine hanno un elevato valore predittivo
negativo, mentre il loro valore predittivo positivo va dal 9 al 30%.
Implicazioni
per il trattamento
Lo scopo
del trattamento dei soggetti con infezione da HBV è quello di
ridurre e livelli di viremia e di migliorare la funzionalità
epatica. La maggior parte degli studi clinici è rivolta ai
pazienti infetti cronicamente con elevati livelli di aminotranferasi
e con HBeAg in circolo, nei quali il carico virale sia elevato. Al
contrario i soggetti asintomatici HBeAg negativi con un carico virale
inferiore a 105 genomi per millilitro e normali livelli di alanina
aminotransferasi non vengono usualmente sottoposti a trattamento. I
pazienti HBeAg negativi con elevata viremia e con livelli elevati di
alanina-aminotranferasi rientrano nel gruppo nei quali viene
consigliato il trattamento.
Gli obiettivi del trattamento sono:
Gli obiettivi del trattamento sono:
- La perdita della positività per HBeAg
- La sieroconversdione all'anti-HBe sierico
- La riduzione del carico virale circolante
Il
viraggio all'anticorpo anti-HBe nel siero di accompagna a un
miglioramento delle lesioni istologiche nel fegato e al mantenimento
di questo miglioramento si ottiene molto di rado (1-5 % dei
pazienti), con il regime corrente di trattamento. Nel caso di
pazienti con epatite cronica HBeAg negativa, non ci sono informazioni
sugli indicatori che possono misurare la risposta alla terapia.
Probabilmente la quantificazione della viremia, attraverso la PCR, sembra il mezzo migliore, ma non ci sono al momento studi sistematici che guidino l'interpretazione clinica dei risultati.
Probabilmente la quantificazione della viremia, attraverso la PCR, sembra il mezzo migliore, ma non ci sono al momento studi sistematici che guidino l'interpretazione clinica dei risultati.
Interferon
Per molti
anni la somministrazione di interferon alfa (5-10 milioni di unità
per via sottocutanea, 3 volte alla settimana, per almeno 3 mesi) è
stata la principale terapia. Buoni risultati sono stati raggiunti nel
30% dei soggetti trattati, ma gli effetti collaterali (febbre,
mialgie, trombocitopenia e depressione) rendono difficile la
prosecuzione del trattamento in molti pazienti. In molti pazienti si
manifesta durante la somministrazione dell'interferon alfa, una
fiammata di sofferenza epatica, prima o durante la clearance
dell'HBeAg. D'altra parte il trattamento con interferon alfa è
controindicato quando vi sia una lesione epatica di grado avanzato,
perché in questi casi la fiammata può associarsi alla
comparsa di un'insufficienza epatica.
Farmaci
antivirali
Lamivudina
Negli
ultimi 10 anni sono stati usati farmaci che bloccano la
moltiplicazione del genoma dell'HBV. Si tratta di farmaci che
agiscono selettivamente sulla transcriptasi inversa. La lamivudina
determina un abbassamento della viremia di 3-4 logaritmi dei livelli
circolanti di HBV DNA nei primi 3 mesi di terapia. Questo
abbassamento si associa a una più rapida perdita dell'HBeAg,
alla sieroconversione all'anti-HBe e a un miglioramento dei livelli
dell'aminotranferasi. La lamivudina può essere usata anche
in pazienti con grave sofferenza epatica, non essendo una sostanza
immuno-modulatrice. Nonostante questa constatazione va riconosciuto
che con la lamivudina si assiste a un aumento nella risposta immune
del paziente, come viene evidenziato da un innalzamento della alanina
aminotransferasi di 2-5 volte.
Un limite all'uso di questo famaco è la facile insorgenza di una farmaco-resistenza: alla fine di un anno di terapia il 15-20% dei pazienti hanno varianti resistenti dell'HBV, che raggiungono il 40% dopo 2-3 anni e il 67% dopo 4 anni. Il significato clinico di questa resistenza non è ancora ben chiaro, perché il processo di guarigione può aver luogo anche con virus resistenti. Perciò viene consigliato da molti ricercatori di continuare il trattamento con lamivudina anche in pazienti con varianti resistenti.
Un limite all'uso di questo famaco è la facile insorgenza di una farmaco-resistenza: alla fine di un anno di terapia il 15-20% dei pazienti hanno varianti resistenti dell'HBV, che raggiungono il 40% dopo 2-3 anni e il 67% dopo 4 anni. Il significato clinico di questa resistenza non è ancora ben chiaro, perché il processo di guarigione può aver luogo anche con virus resistenti. Perciò viene consigliato da molti ricercatori di continuare il trattamento con lamivudina anche in pazienti con varianti resistenti.
Altri
analoghi dei nucleotidi
Di
recente la Food and Drug Administration ha approvato un altro farmaco
antivirale, l'adefovir, per trattare le infezioni da HBV. A dosi
basse (10 mg al giorno) è scarsamente nefrotossico ed è
risultato molto efficace, tanto da ridurre di 3-4 log la viremia. E'
aumentata anche la sieroconversione ad anti-HBe e al miglioramento
delle lesioni istologiche. Risultati simili sono stati ottenuti anche
in pazienti HBeAg negativi, ma con alterazioni degli enzimi epatici e
con elevati livelli di DNA virale. Il farmaco inibisce la
moltiplicazione delle varianti di >HBV resistenti alla lamivudina.
Fino a oggi non è stata dimostrata una resistenza
all'adefovir.
Sono in studio altri farmaci della stessa famiglia.
E' probabile che la somministrazione di farmaci diversi possa essere importante, come è essenziale stabilire per quanto tempo debba essere somministrata la terapia.
Sono in studio altri farmaci della stessa famiglia.
E' probabile che la somministrazione di farmaci diversi possa essere importante, come è essenziale stabilire per quanto tempo debba essere somministrata la terapia.
Trapianto
di fegato
Il
trapianto di fegato per malattia da HBV viene eseguito in pazienti
con infezioni virali ricorrenti. L'uso di immunoglobuline
iperimmuni e di lamivudina migliora i risultati post-trapianto.
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